Anche l’Europa fa i conti “nero su bianco” con il carbone

Quando si parla di combustibili fossili, troppi analisti escludano completamente l’enorme problematica che queste fonti hanno sulla salute umana e sugli ecosistemi, con risvolti e costi sociali elevatissimi e di grandissimo impatto, praticamente mai compresi nelle valutazioni complessive


Proprio un anno fa avevo trattato specificatamente il tema delle esternalità energetiche con uno specifico post “A proposito di esternalità energetiche”. Un tema questo, che vede impegnata con grande competenza Greenpeace, che proprio poche settimane fa, si era prodotta in un esercizio riferito al nostro paese, e specificatamente all’ex Ente di stato ENEL, sulle morti equivalenti derivanti dall’esercizio delle centrali termoelettriche a carbone (vedi post “Carbone ed energia: le valutazioni di Greenpeace”).

In quella circostanza io avevo tenuto a rimarcare come, proprio ENEL, nonostante tutto, sia stato nel tempo il soggetto energetico industriale italiano ad esprimere i massimi valori di cultura ambientale, anche per la genesi di certe normative nate quando ancora ENEL era l’Ente nazionale per l’energia elettrica. Una cultura ambientale che proprio ENEL a saputo riversare in modo meritorio in tutti i livelli, compreso il controllo dell’inquinamento delle città di competenza delle ARPA regionali. Oggi ritorno sull’argomento e su Greenpeace per alzare lo sguardo dal livello nazionale a quello europeo.

Secondo un nuovo rapporto di Greenpeace dal titolo “Silent Killers”, in Europa il carbone determina 22.300 decessi all’anno, di cui 521 in Italia, con una spesa per i governi stimabile in miliardi di euro in termini di terapie sanitarie e giorni lavorativi persi. Se fosse dato corso alle 50 nuove centrali a carbone in predicato di essere costruite nel Vecchio Continente, tale bilancio si incrementerebbe di ulteriori 2.700 morti premature all’anno. Volendo anche non considerare l’altra faccia della medaglia, costituita dai cambiamenti climatici, la produzione di energia con utilizzo del carbone appare davvero come un pessimo e perverso affare, dal momento che, come dicevamo, è competitivo rispetto alle fonti concorrenti solo perché scarica i costi delle esternalità negative sulla collettività in termini pesantissimi ed assolutamente intollerabili.

Vediamo un po’ più da vicino i dati contenuti nello studio commissionato ed appena pubblicato da Greenpeace e realizzato dall’Istituto di economia energetica dell’Università di Stoccarda, scaricabile in calce al post. Il rapporto evidenzia che al carbone è imputabile oltre il 25% delle emissioni di CO2 europee, con le circa 300 centrali a carbone del continente responsabili del 70% del biossido di zolfo (una delle principali sostanze precursori è responsabili dell’inquinamento da particolato), del 40% degli ossidi di azotodi circa la metà delle emissioni di mercurio dell’industria e di un terzo di quelle di arsenico. Sui particolati, mi ripeterò fino alla nausea (vedi figura seguente), sulla loro natura subdola ed insidiosa, perché sono chimicamente anonimi (vengono classificati solo in base al concetto fisico di granulometria) potendosi insinuare fino al sistema respiratorio profondo, fino agli alveoli polmonari, e da lì arrivare fino al sistema circolatorio ed al sangue.

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Pesantissimo il bilancio 2010, quando il carbone in Europa ha sottratto alla collettività circa 240mila anni di vita con la perdita di circa 5 milioni di giorni di lavoro, con alcuni paesi in cui tale impatto supera quello dei morti da incidenti stradali e, per dare un eloquente metro di riferimento, producendo l’impatto equivalente al fumo di 22 milioni di sigarette.

Entrando nel merito dei singoli paesi bersagli del carbone, sono Polonia, Germania, Romania, Bulgaria, e Regno Unito a scontare il peso delle esternalità negative, come ben evidenziato nel grafico seguente, davvero chiaro ed esauriente, che illustra il rapporto fra vittime del carbone e vittime della strada. In Italia, nel 2010,, sono stati 521 i morti equivalenti provocati dal carbone, con la sottrazione di 5.560 anni di vita e la perdita di 117mila giorni lavorativi.


Venendo ai gestori di impianti a carbone e quindi alle grandi compagnie elettriche europee, abbiamo la polacca PGE, la tedesca RWE, la greca PPC, la svedese Vattenfall e la ceca ČEZ con impianti che presentano l’impatto sanitario più rilevante. Per quanto riguarda il nostro paese, la nostra partecipata pubblica Enel si colloca invece in undicesima posizione, con i propri impianti italiani ma anche bulgari e spagnoli, impianti che, complessivamente hanno avuto costi equivalenti a 7.310 anni di vita e 155mila giorni di lavoro. Una serie di dati da rivedere al rialzo, visto l’incremento dell’uso del carbone dell’11% verificatosi in Europa dal 2009 al 2012 e a fronte di 50 nuove centrali che si vorrebbero costruire che farebbero innalzare il conto di 2.700 morti premature con il taglio di 32mila anni di vita all’anno.

Davvero una corsa la massacro che ha veramente del masochismo puro, viste la grandi alternative che oggi l’universo dell’energia pulita mette a disposizione, escludendo da queste il cosiddetto “Clean coal”, che nonostante le ottimizzazioni dei processi termoelettrici a carbone più recenti, si presenta come una autentica contraddizione di termini. Una conclusione che viene esplicitata bene nel grafico seguente.


Un ulteriore spinta a proseguire nella migrazione verso un modello energetico distribuito, fatto di energie pulite e micro generazione, fondamentale quindi non solo per evitare gli effetti devastanti dei cambiamenti climatici e del riscaldamento globale, ma anche e soprattutto, come sottolineato dalla OMS (Organizzazione Mondiale per la Sanità), perché rappresenta la via più diretta ed immediata per ridurre mortalità e costi sanitari. Secondo Greenpeace quindi, un motivo in più per chiedere a gran voce alla Commissione Europea di procedere con obiettivi vincolanti per il 2030, per almeno il 45% del fabbisogno energetico da rinnovabili ed un taglio delle emissioni del 55%.

Sauro Secci

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