Lettera alla Sardegna dai giovani che non vogliono vederla bruciare

Alla Sardegna. Da parte di giovani che non vogliono vederla bruciare

Il futuro fa schifo. Agli occhi di un giovane sardo, ancora di più. Lo stato sociale, il più grande lascito delle generazioni che ci hanno preceduto, sta venendo smantellato pezzo a pezzo – lasciando spazio ad una società sempre più privatizzata e individualista. Gli Stati tornano ad armarsi, avvicinando il mondo a scenari di guerra totale che speravamo essere passati. Sopra tutto questo, il deterioramento delle condizioni climatiche ed ecosistemiche mette in pericolo quel poco benessere che rimane e la nostra stessa sopravvivenza. E la nostra isola, piazzata al centro del Mediterraneo, soffre più di altri incendi, siccità, eventi meteorologici estremi.

Per chi scrive questa lettera, la paura del futuro è tanto maggiore quanto più riconosciamo che le diverse fazioni politiche che si alternano al potere sono distanti anni luce dal voler risolvere questi problemi. Solo poche forze resistono, lottando con le unghie e con i denti per una Sardegna diversa. Parliamo delle organizzazioni della sinistra, ecologiste, anticapitaliste, indipendentiste. Sono le realtà a cui rivolgiamo questa lettera.

C’è un tema, centrale per il prossimo futuro, nel quale sentiamo manchi nella nostra area il dibattito necessario: l’energia. Peggio, abbiamo la sensazione che si proceda a traino di altri – quotidiani, forze pseudo-ecologiste del Continente, interessi industriali – spesso senza rendersene conto. Per questo vi scriviamo. Vorremmo, nel nostro piccolissimo, aprire il dibattito su cinque punti che riteniamo cruciali. Sappiamo che non tutti i destinatari di questa missiva concorderanno col nostro approccio, e lo rispettiamo. Quello che vi chiediamo e di parlarne finalmente ad alta voce. Sapendo che siamo tutti nella stessa tempesta, e che nessuno di noi ha interessi da difendere se non uno: la propria vita.

  1. Prima questione, il negazionismo. Sappiamo che per fortuna nessuna organizzazione della sinistra e dell’indipendentismo abbraccia posizioni che negano l’esistenza della crisi climatica o la sua origine antropica. E tuttavia non possiamo non notare come – nei comitati, nell’associazionismo, nei mille spazi della nostra comune area – posizioni del genere si stiano facendo sempre più spazio. A volte nella loro forma nuda e cruda – il riscaldamento globale non esiste. Più spesso. e questo è un pericolo maggiore, in modi più obliqui – posizioni del tipo È colpa della Cina, cosa possiamo fare noi? Chi vi scrive ritiene che questo genere di sentimenti vada compreso e analizzato – chi porta avanti in buona fede queste idee è esso stesso vittima della propaganda fossile. Ma in nessun caso gli va data cittadinanza: coi negazionisti non si fanno alleanze, nemmeno nei territori, nemmeno su battaglie specifiche. Benché meno li si candida, e neppure gli si fanno generici ammiccamenti. Anche a costo di perdere qualche voto e qualche applauso. Chiediamo a voi, siete disponibili a prendervi questo impegno?
  1. Seconda questione, l’analisi. Sappiamo di entrare in un terreno delicato, e proveremo a farlo con la dovuta attenzione. La transizione alle rinnovabili, pur necessaria, è un’operazione politica e quindi giustamente passibile di critiche. I comitati contro la speculazione stanno avendo l’indiscutibile merito di porre delle questioni centrali e non aggirabili. Quanta energia deve produrre la Sardegna? Chi deve trarne profitto? Chi gestisce – e assicura – la fine dell’era fossile? Si tratta, nell’insieme, di un forte bisogno di democrazia. Sono domande su cui torniamo nel quinto punto, e che crediamo meritino risposte chiare. Ma dalle stesse aree spesso vengono anche critiche che, in altre latitudini, sono appannaggio esclusivo delle destre. Peggio, critiche che rendono di fatto impossibile qualunque transizione: non questioni radicali, ma al contrario posizioni conservative, che nei fatti assicurano la permanenza dello status quo. È il caso, secondo chi scrive, della retorica paesaggistica ormai sempre più popolare – e non a caso portata avanti da quotidiani e realtà pseudo-ecologiste che riteniamo distanti da qualsivoglia posizione radicale. Chiedere una transizione che non impatti sul paesaggio significa, di fatto, non chiedere la transizione. Cioè lasciare che tutto rimanga com’è: carbone, petrolio, gas. E del resto, non è neppure possibile pensare che il paesaggio resterà tale e quale a come lo conosciamo: eventi climatici estremi saranno sempre più diffusi e sempre più devastanti se non saremo in grado di realizzare la transizione ecologica. Il Montiferru ha visto stravolgere il suo passaggio in modo quasi irrimediabile nel giro di pochi giorni estivi, come sappiamo. Lo stesso vale per il chiedere, come troppo spesso si legge, una transizione senza eolico – impossibile secondo qualunque esperto, e peraltro assolutamente antiecologica nelle sue conseguenze. Abbiamo paura che la fretta di accodarsi alle pulsioni che vengono ora da sindaci in cerca di consenso, ora da certa stampa, impedisca alla nostra area di fare analisi puntuale, ragionata, tecnicamente fondata della transizione che vogliamo. E un’analisi fallace è il miglior regalo che possiamo fare all’avversario. Siete disposti ad abbandonare le critiche suggerite dal mondo del fossile, di carattere conservativo, anche quando rese popolari dalla stampa mainstream o dalla politica di palazzo? Al contempo, siete disposti a formulare una proposta di transizione energetica basata su dati, evidenze e scelte praticabili nell’immediato, che sia, in una parola, una proposta di governo?
  1. Terza questione, la moratoria. Da tempo i comitati chiedono lo stop per legge all’installazione di tutti gli impianti rinnovabili. Una posizione che, nemmeno troppo lentamente, sta diventando egemone in larghi pezzi dello scenario politico. E d’altronde nell’altra isola, la Sicilia, il centrodestra al governo cavalca da mesi proposte simili. Ecco, siamo sempre più convinti che questo strumento sia non solo inefficace agli scopi di un progetto ecologista e democratico, ma addirittura dannoso. Cercheremo di spiegare il perché nel breve spazio di questa lettera.

In primis, i tempi. Qualunque scenario di decarbonizzazione esistente (sia esso studiato sull’Europa, sull’Italia, sulla Sardegna) prevede una crescita vigorosa e immediata della potenza rinnovabile installata. La moratoria va esattamente nella direzione opposta, almeno nel breve termine. Non solo: la Sardegna ha di fronte a sé degli appuntamenti tanto importanti quanto dimenticati. Nel 2025 è prevista la chiusura delle rimanenti centrali a carbone, e l’energia che forniscono deve essere sostituita da pale e pannelli – non dal gas. L’obiettivo, ricordiamolo, è quello di raggiungere la neutralità carbonica nel 2035. Non solo elettricità pulita, ma la fine dei combustibili fossili in Sardegna – comprese auto, fornelli, industrie. Capiamo le paure che inevitabilmente la gestione emergenziale di un problema provoca – e quanto spesso le emergenze siano usate da chi è al potere per scavalcare il processo democratico. Ma una crisi esiste, e va affrontata nei tempi che l’ecosistema impone.

C’è poi la costruzione della moratoria stessa. Alcune delle formulazioni in atto prevedono lo stop a tutte le infrastrutture energetiche. Una proposta che egualmente non ci convince per i motivi di cui sotto e sopra, ma che ha il merito di porre al contempo un argine al dilagare del metano. Ma da più parti si parla – anche nei programmi elettorali della sinistra – di moratoria specifica sulle rinnovabili, e in questo terreno viene posta la questione nei media. Capite bene il paradosso di un simile provvedimento: diverrebbe illegale installare energia pulita, ma legalissimo investire su quella sporca. Un caso più unico che raro a livello mondiale.

Infine, il tema della costruzione di senso comune. Da un lato manca una proposta chiara per l’energia in Sardegna – o meglio, ne esistono mille contraddittorie anche nel nostro campo. Dall’altra l’unica vera policy sul campo è la moratoria. Questo fa sì che la sinistra, l’autonomismo e l’indipendentismo si caratterizzino sempre più come quelli-contro-l’eolico. Non solo: il dilagare degli argomenti conservatori di cui sopra – le pale che son brutte, le rinnovabili che non funzionano, la Sardegna che produce già tutta l’energia di cui ha bisogno – crea l’humus per l’opposizione anche alla transizione che vorremmo.

Se noi per primi andiamo nei territori a parlare di sventramento e stupro – per usare due termini molto diffusi nel lessico delle proteste – di fronte a delle pale sulla collina, come pensiamo che possano reagire quelle stesse comunità quando noi per primi proporremo nuove pale – anche se pubbliche e non delle multinazionali? E in questo la scelta di spendere tutto il capitale politico di cui si dispone non sulla transizione, non su un’agenzia sarda dell’energia, non sulla chiusura del fossile, ma sulla moratoria alle rinnovabili, pone un chiaro problema di egemonia.

La politica si gioca con le carte che ci da in mano la storia, e questa partita ci impone di essere terribilmente realistici. Un conto è uno stop provvisorio alle autorizzazioni quando si è nella stanza dei bottoni, per riscrivere il PEARS e realizzare strutture pubbliche ad hoc. Un conto è chiedere all’avversario – oggi Solinas – di fermare le rinnovabili, regalando un gol a chi la transizione la vuole fermare e basta. Vi domandiamo, dunque, siete disponibili a ragionare su come sbloccare la realizzazione degli impianti rinnovabili, e farlo al meglio, anziché su come fermarne il maggior numero possibile?

  1. Quarto, arriviamo al fossile. Che l’orizzonte sia quello di una Sardegna libera da petrolio, gas e carbone è per fortuna un dato acquisito nella nostra area. Ma a molti, troppi, manca ancora il necessario senso di urgenza. Nel mondo dell’autodeterminazione, ad esempio, resistono forti timidezze sulla questione metano. Non tutte le organizzazioni sono riuscite a schierarsi nettamente contro qualunque opera relativa al gas – senza sé o ma. Un problema peraltro comune a parte della scena sindacale. Non solo: il tema dell’elettrificazione – cioè la necessità di far sparire motori termici, caldaie a gas, fornelli – è sostanzialmente assente nel dibattito sardo. La chiusura delle centrali a carbone prevista per il 2025 rischia giorno dopo giorno di essere rimandata, e il silenzio della nostra area è assordante. Per non dire di certi temi ancora tabù, come l’alimentazione, la lotta agli allevamenti intensivi, la decrescita. Non entriamo nei singoli argomenti, ma registriamo la fortissima timidezza su settori cruciali per la decarbonizzazione. Troppo spesso la lotta al fossile è poco più di una riga inserita in fondo ad un comunicato, una spunta da aggiungere ad un elenco di rivendicazioni. Siamo convinti serva l’esatto opposto. L’epoca storica che viviamo richiede che la decarbonizzazione sia al centro della nostra elaborazione politica, e sia letta nel modo più realistico possibile – ovvero in modo radicale. Siete pronti a dichiarare con nettezza la vostra contrarietà ad ogni infrastruttura climalterante, in primis quelle relative al gas metano, e a creare mobilitazione su questo tema?
  1. Quinto ed ultimo punto, il progetto. Perché ciò di cui davvero abbiamo paura è che le forze d’alternativa subiscano l’egemonia altrui, invece di creare la propria. E il miglior antidoto è inevitabilmente un progetto autonomo, chiaro, popolare. Noi siamo convinti l’energia debba essere pulita, pubblica, sarda.

Pulita significa 100% a basse emissioni da qui al 2035, con un processo di decarbonizzazione che inizi immediatamente. Non solo l’elettricità come da consumi attuali, ma tutta l’energia consumata nell’isola – distinzione questa spesso dimenticata nelle analisi, ma fondamentale. Un obiettivo assieme ambizioso ma indispensabile. Raggiungerlo significa non rinunciare a nessuna fonte rinnovabile – solare, eolico in-shore e off-shore, idroelettrico, geotermico – oltre che adeguare le reti, creare accumuli, elettrificare i consumi. Una sfida a tutto tondo che tocca l’edilizia, i trasporti, il lavoro.

Pubblica significa in mano alle persone. Tramite le comunità energetiche, che devono conoscere una spinta senza precedenti nei finanziamenti. Tramite un’Agenzia Sarda dell’Energia – slogan da riempire di contenuto.

Sarda è la logica conseguenza dei primi due punti. Solo le rinnovabili possono rendere la Sardegna sovrana dal punto di vista energetico. Solo sistemi di proprietà condivisi e pubblici possono garantire che i profitti vadano ai cittadini – e siano redistribuiti in bolletta o nel welfare. Solo una regia pubblica può garantire che all’avanzare delle energie pulite corrisponda una diminuzione di quelle sporche – e non si vadano, invece, ad affiancare come nello scenario attuale. Solo una guida democratica e non di mercato, infine, può ragionare su quanta energia serva alle persone, per che scopi, con che livelli di consumo. Senza paura di termini tabù come decrescita.

Questo è il programma che vorremmo leggere in liste elettorali che si dicano di sinistra, ecologiste, anticapitaliste, indipendentiste. E fintanto che nella stanza dei bottoni ci sono altri, su questo vorremmo vedere la lotta: democrazia energetica, contrattazione su royalties e condivisione dei profitti, stop al fossile e sblocco delle rinnovabili.

Lo status quo ci fa orrore. L’installazione di rinnovabili in mano al mercato senza il minimo controllo pubblico non è la nostra soluzione, e per almeno due ragioni. Primo, lascia in mano alle multinazionali quello che dovrebbe essere un diritto: l’energia. Secondo, è inefficace nel decarbonizzare nei tempi e nei modi necessari. Ma inseguire l’opposizione delle destre, palesi o mascherate che siano, non ci aiuta. Nel migliore dei casi la lotta anti-eolico, per dire del fenomeno più comune, diventa una battaglia di retroguardia. Nel peggiore, un involontario regalo al sistema fossile. E non basta un accenno all’importanza della lotta alla crisi climatica in coda ad ogni comunicato per lavarsi la coscienza.

Da chi vuole davvero cambiare il mondo ci aspettiamo molto di più. Perché alla Sardegna, a tutte e tutti noi, serve molto di più.

Per ulteriori adesioni scrivere all’indirizzo allasardegna@gmail.com

  • Salvatore Cadone, 25 anni
  • Elisabetta Careddu, 18 anni
  • Marzio Chirico, 25 anni
  • Martino Corrias, 24 anni
  • Matteo Dettori, 23 anni
  • Matteo Lepuri, 23 anni
  • Dalila Manai, 19 anni
  • Riccardo Marcetti, 21 anni
  • Fabrizio Marello, 25 anni
  • Silvio Keivan Nemati Fard, 28 anni
  • Luca Pirisi, 25 anni
  • Marco Saba, 19 anni
  • Filippo Sotgiu, 23 anni
  • Lorenzo Tecleme, 22 anni
  • Renato Marcello Tidore, 34 anni
  • Mattia Uzzau, 23 anni
  • Minerva Uzzau, 23 anni
  • Alina Voronevska, 19 anni

Leggi anche L’energia democratica di una transizione giusta – Ecquologia²

Redazione

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