DECEMBER 11: NGO participants for Greenpeace International action during the UN Climate Change Conference COP28 at Expo City Dubai on December 11, 2023, in Dubai, United Arab Emirates. (Photo by COP28 / Stuart Wilson)

Cop28. Una lettura ragionata dell’accordo di Dubai

Cop28, tra realismo e timidezza. Una lettura ragionata dell’accordo di Dubai a cura di Roberto Venafro, Head of Environment and Climate Change presso Edison SpA, e autore di “Un Mutamento Reversibile”. 

I giorni previsti per il confronto negoziale nell’ambito della 28^ Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (30 novembre – 12 dicembre 2023), non sono stati sufficienti per trovare una sintesi fra le differenti posizioni emerse dai Tavoli di lavoro. È stato necessario prolungare di un giorno la chiusura della COP 28, al fine di consolidare un testo che rispecchiasse le posizioni e le richieste delle diverse delegazioni dei paesi partecipanti. Il 13 dicembre, il presidente della COP 28, Sultan Ahmed Al Jaber (Ministro dell’industria e delle tecnologie, nonché Amministratore Delegato della principale azienda petrolifera degli Emirati Arabi Uniti – ADNOC), annuncia, con soddisfazione, il raggiungimento di un accordo condiviso che rispecchia la visione della presidenza emiratina, orientata fin dall’inizio a incoraggiare le Parti a essere flessibili per realizzare un documento finale, equilibrato e ambizioso.

Per arrivare al risultato e rimuovere gli ostacoli, ancora presenti alla fine della prima settimana dei lavori, il presidente Al Jaber ha messo in campo la strategia “majlis”, pratica adottata nei Paesi arabi per superare i contrasti e incentrata su specifiche assemblee dove si affrontano i problemi, attraverso una conversazione trasparente e sincera e si cerca di trovare una soluzione.

Strategia vincente che ha dato i suoi frutti. Esito non scontato, considerato che sul Tavolo dei negoziatori erano presenti temi complessi come il “Global Stocktake”: la prima verifica, prevista dall’Accordo di Parigi, delle azioni collettive intraprese e da intraprendere per non fallire l’obiettivo di tenere l’aumento della temperatura media terrestre entro 1,5 °C. Su questo punto, si prende atto che gli impegni assunti dai paesi con i propri “Nationally Determined Contributions – NDCs” hanno consentito di limitare la crescita della temperatura entro un intervallo di 2,1 °C – 2,5 °C, al di sotto delle proiezioni antecedenti agli NDCs (4 °C), anche se ancora insufficienti a traguardare l’obiettivo di 1,5 °C. Altri argomenti da finalizzare hanno riempito, inoltre, l’agenda dei negoziati. Il primo ha riguardato il completamento delle regole per l’attuazione del meccanismo cosiddetto delle perdite e dei danni “Loss & Damage”, approvato a Sharm El-Sheikh nella COP 27 del 2022. 

Meccanismo necessario

Uno strumento che consentirà ai paesi in via di sviluppo colpiti da eventi estremi innescati dalla crisi climatica di ottenere le risorse necessarie per riparare i danni subiti. Un’altra grande questione connessa alla vulnerabilità dei Paesi più esposti alla variabilità del clima è stata oggetto di dibattito: definire un obiettivo globale sull’adattamento (Global Goal on Adaptation). Altri aspetti inerenti agli strumenti di attuazione dell’Accordo di Parigi (finanza climatica, sviluppo e trasferimento tecnologico, capacity building) hanno alimentato la discussione che si è intensificata proprio sulle attività di mitigazione e, in particolare, sul “Global Stocktake”.

È su questo argomento che si è registrata una dialettica spinta, con al centro della discussione il problema della fuoriuscita dai combustibili fossili che ha condotto a una polarizzazione del dibattito. Da una parte l’UE pretendeva di inserire nel testo un riferimento esplicito sia sul picco delle emissioni da raggiungere entro il 2025 sia un impegno concreto sull’abbandono dei combustibili fossili. Questa esigenza ha raccolto il favore dei piccoli Stati insulari e dei paesi in via di sviluppo ed è stata sostenuta anche dagli USA. L’altro schieramento, composto essenzialmente dai Paesi dell’OPEC, ha manifestato la completa contrarietà a qualsiasi disposizione inerente a una limitazione dell’uso dei combustibili fossili. Il dibattito sulle parole “phase-out” e “phase-down” è stato molto serrato.

Alla fine è emerso un compromesso che ha accontentato tutti: con un rocambolesco capolavoro diplomatico e lessicale, infatti, il presidente Sultan Ahmed Al Jaber ha annunciato che per rimanere coerenti con le indicazioni della scienza e per raggiungere la “Net Zero” al 2050, le Parti si impegneranno per un «transitioning away from fossil fuels» in maniera giusta, ordinata ed equa. Questa formulazione ha reso possibile l’adozione dell’Accordo di Dubai. Un Accordo che si muove nell’alveo del trattato di Parigi del 2015 e che ne attua le disposizioni, senza introdurre sostanzialmente elementi di novità, se non quelli di dichiarare alcune iniziative necessarie ad accelerare la transizione energetica… Continua a leggere gratis su L’ECOFUTURO MAGAZINE

Redazione

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