Comunità energetiche, le forme giuridiche consolidate dalla prassi

Comunità energetiche, le forme giuridiche consolidate dalla prassi. Un articolo di Ludovica Terenzi e Ilaria Careddu dello studio legale GreenSquare Italia, originariamente pubblicato su DirittoPolitecnico.it – Rivista Telematica

Abstract

Nonostante, ad oggi, si inizi ad accumulare parte del know-how tecnico e legale necessario per la costituzione e l’attivazione di forme di autoconsumo diffuso (e, più nello specifico, di comunità di energia rinnovabile) alcuni quesiti di natura giuridica continuano a rimanere senza risposta. I c.d. casi “pilota” di comunità di energia rinnovabile oggi presenti sono spesso caratterizzati dalla presenza di impianti di piccola taglia e, spesso, trainati e promossi dalla pubblica amministrazione (nella maggior parte dei casi dal comune di riferimento).

L’elemento della territorialità e l’investimento di somme modeste hanno, dunque, caratterizzato i primi esperimenti di condivisione dell’energia. L’installazione frammentata e la produzione/condivisione legata ad impianti di piccola taglia non sono assolutamente in linea con il raggiungimento della riduzione delle emissioni nette del 55% entro il 2030. Come conseguenza delle modeste dimensioni, lo strumento maggiormente utilizzato dal punto di vista giuridico è stato, nella maggior parte dei casi, l’associazione non riconosciuta.

Premesse: i primi tentativi di comunità di energia rinnovabile a confronto

Le attuali configurazioni di comunità di energia rinnovabile già attivate coinvolgono principalmente comuni ed una parte della cittadinanza. Spesso si tratta di iniziative auto finanziate oppure attivate mediante ricorso bandi di carattere regionale o territoriale per avviare i primi studi di fattibilità. Dall’altra parte, invece, i grandi operatori del mercato, i fondi di investimento per le rinnovabili e le utilities si sono maggiormente concentrate su progetti più “ad ampio respiro” che hanno superato il limite territoriale legato al perimetro della cabina secondaria (o medio-bassa tensione) – attualmente ancora operativa e relativa al regime transitorio – per andare a concentrarsi su progetti e pianificazioni di carattere strutturale. Questo è stato possibile proiettandosi nel futuro di medio termine, vale a dire sul progetto definitivo del legislatore italiano e dell’amministrazione competente in materia, relativo al perimetro della cabina primaria (e poi, come vedremo, alla zona di mercato).

Normalmente, salvo ulteriori elementi di rilievo specifici e non inizialmente preventivabili, l’individuazione della forma giuridica idonea, delle modalità di governance ed il contenuto dell’atto costitutivo e dello statuto richiede uno studio approfondito sulla base principalmente di cinque variabili imprescindibili:

  • tipologia di funding necessario per la costituzione della comunità di energia rinnovabile;
  • soggetti membri della comunità di energia rinnovabile;
  • cashflow prospettato;
  • modalità di messa a disposizione degli impianti all’interno della comunità di energia rinnovabile;
  • utilizzo del cashflow derivante dall’attività prospettata per l’ente comunità energetica.

Sulla base degli elementi sopra prospettati, risulta chiara la necessità di abbandonare, una volta per tutte, la volontà di ricerca di un modello giuridico “standard” per l’attivazione di una comunità di energia rinnovabile. Come sopra anticipato, il modello transitorio proposto dall’articolo 42-bis del D. L.vo 162 del 2019 aveva previsto il limite della valorizzazione dell’incentivo alla cabina c.d. secondaria (o di medio-bassa tensione), la quale comprendeva un perimetro territoriale ben più limitato rispetto all’estensione prevista dal limite definitivo (c.d. cabina primaria). Questo ha portato, in un primo periodo di attivazione dei progetti pilota, a situazioni estremamente frammentate e di governance distinta.

Tuttavia, recenti interventi di carattere pubblico sembrano aver, in parte, semplificato il problema dell’eccessiva frammentazione giuridica delle comunità di energia rinnovabile. Al fine di poter, in parte, semplificare la scena attuale, provvediamo a fornire un breve riassunto di alcune delle forme giuridiche attualmente utilizzate nel contesto dell’autoconsumo diffuso (1), per poi andare a fornire, nelle conclusioni, un’analisi complessiva.

1) Così come indicate dal Testo Integrato sull’Autoconsumo Diffuso (T.I.A.D.), più precisamente Testo Integrato delle disposizioni dell’autorità di regolazione per energia reti e ambiente per la regolazione dell’Autoconsumo Diffuso, contenuto all’interno dell’Allegato A alla Delibera del 27 dicembre 2022 727/REEL/2022.

Forme giuridiche della CER – breve analisi di alcune forme previste

Per quanto concerne le forme giuridiche che una comunità energetica può assumere, le norme di riferimento sono la Direttiva UE 2018 del 2001, la Delibera ARERA n. 318 del 2020 (2), gli art. 31-32 D. L.vo. 199 del 2022, del D.L. 162 del 2019 ed il TIAD3. Queste norme richiedono delle caratteristiche che devono necessariamente essere rispettate relativamente al “soggetto giuridico”, prescelto. In particolare, con la Delibera ARERA n. 318/2020 viene specificato che ai fini dell’accesso alla valorizzazione e incentivazione dell’energia elettrica condivisa, la CER deve essere un soggetto giuridico, quale a titolo di esempio un’associazione, ente del terzo settore, cooperativa, cooperativa benefit, consorzio, partenariato, organizzazione senza scopo di lucro, costituito nel rispetto dei requisiti.

2) Più precisamente Regolazione delle partite economiche relative all’energia elettrica condivisa da un gruppo di autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente in edifici e condomini oppure condivisa in una comunità di energia rinnovabile, contenuto all’interno dell’Allegato A alla Delibera del 4 agosto 2020 318/2020/REEL.

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Redazione

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