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Prezzo del gas: speculazioni e maxi profitti

Prezzo del gas. Continua ad aumentare e la situazione diventa sempre più drammatica. Ma sembra che non interessi ad alcuno. Un approfondimento di Altreconomia.

Prezzo del gas

La tabella che segue, ipotizzata su un consumo annuo di 1.400 Smc (standard metri cubi), che secondo l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) è il consumo medio annuo di una famiglia standard, fornisce un’indicazione di quello che è costato il gas, per un’utenza residenziale in mercato tutelato, nei primi nove mesi dell’anno. E che costerà nell’ultimo trimestre che sarà “bollettato” nel prossimo mese di gennaio. La tabella compara anche l’anno 2022 con il 2021, quando, tra giugno e luglio, è iniziato l’aumento dei prezzi Ttf e l’anno 2020. (in questo approfondimento il funzionamento tutto speculativo del mercato del gas).

Il costo dell’ultimo trimestre potrebbe variare in quanto calcolato sul mese di agosto (aggiornato al 23 agosto) con un prezzo Ttf di 269,05 euro/MWh. E potrebbe modificarsi in aumento o diminuzione. Già il 24 agosto il prezzo Ttf è stato di 292,150 euro/MWh.

Prezzo del gas

La riga del “totale lordo” riporta il costo del gas per ognuno dei tre anni. Con un aumento del 123,71%, pari a 2,24 volte il costo del 2021. E un aumento del 159,8%, pari a 2,6 volte il costo del 2020.

Come faranno le famiglie con un costo annuo di 2.580 euro, che in molti casi è corrispondente a due stipendi mensili? Considerando poi che manca il costo dell’energia elettrica! La cosa più paradossale, però, sarà, per effetto dell’attuale andamento dei prezzi all’ingrosso del gas, il costo dell’ultimo trimestre 2022, evidenziato in colore rosso. Potrebbe essere quasi pari al costo dei nove mesi precedenti. 2,91 volte quello dello stesso periodo 2021 e 4,24 volte quello del 2020.

Tutti i partiti, in questa strana campagna elettorale, stanno promettendo aumenti salariali. Forse saranno utilizzati per pagare il costo dell’energia degli ultimi mesi del 2022. Ammesso che siano sufficienti.

Non facciamoci ingannare dal fatto che le bollette, in questo periodo, sono basse. È solo l’effetto stagionale dei bassi consumi, come evidenziato dal grafico che segue. Non confondiamo, come fa invece il presidente di Arera, la spesa con il costo. La spesa è bassa ma il costo per Smc è alto e farà sentire i suoi effetti nei prossimi mesi. Tenendo ben presente che il grafico riporta il costo del periodo in cui avviene il consumo. Mentre le bollette, generalmente bimestrali, dovranno essere pagate il mese successivo al bimestre.

Prezzo del gas

Se le tariffe fossero state determinate con il prezzo indicizzato al costo del petrolio, il costo annuale del 2022 avrebbe potuto essere di 1.053,29 euro. Un aumento rispetto al 2020 del 6%.

Per utenti domestici in mercato libero la situazione, molto probabilmente, sarà peggiore. Per le imprese, in particolare quelle energivore, la situazione non è drammatica, è ben peggio. E porterà alla cessazione se non al fallimento con tutte le ricadute negative sui livelli occupazionali. Se un’impresa pagava 30mila euro al mese nel giugno 2021, nel giugno 2022 ha pagato 110mila euro al mese. Ed il prossimo settembre, sempre che gli aumenti non continuino, pagherà 230mila euro al mese. Il Paese così salterà per aria e gli speculatori avranno finito di arricchirsi perché non avranno più utenti cui cedere il gas e l’energia elettrica. Ma avremo risolto anche la questione della pressione fiscale troppo alta perché, altro paradosso, non ci saranno più redditi da tassare.

Arera sembra aver trovato la soluzione, come illustrato nel comunicato stampa del 29 luglio scorso, recepito con giudizio positivo dai media nazionali. In primis quelli economici. La soluzione dell’Autorità sarebbe quella di sostituire i prezzi del Ttf olandese con quelli del mercato finanziario italiano, il Psv. C’è un “piccolo” particolare che nessuno ha però considerato: il Psv è praticamente identico al Ttf. Come si può notare dal grafico qui sotto, le linee dei due indici finanziari, la rossa (Psv) e la blu (Ttf), si sovrappongono. Il grafico inizia dal gennaio 2021, per ragioni di dimensioni, ma la condizione non cambierebbe se iniziasse dal gennaio 2018.

Prezzo del gas

Il comunicato di Arera, del resto, pur essendo intitolato “Incertezza e prezzi alti impongono nuove modalità di aggiornamento del costo della materia prima per utenti in tutela”, tra le righe specifica che “l’intervento adottato, pur non potendo agire strutturalmente sugli eccezionali livelli dei prezzi di mercato, mira a rendere più sicure le forniture ai consumatori”. È la solita Autorità, anche confusionaria. D’accordo che la sicurezza della forniture è un problema ma l’abnorme aumento dei prezzi crea povertà, con tutte le conseguenze che è facile immaginare. Chissà che cosa si aspetta a eliminare un organismo pubblico che giudico, a ragion veduta, inutile e dannoso.

talk show televisivi sono intanto utili per comprendere il livello di improvvisazione e impreparazione di politici, opinionisti e strani economisti. Molti motivano l’aumento dei prezzi con il dopo Covid-19, cosa non vera. Sarebbe sufficiente analizzare i dati mensilmente pubblicati dal ministero della Transizione ecologica dal 2019 a oggi per rendersi conto che la pandemia non c’entra nulla. Altri attribuiscono la responsabilità alla guerra russo-ucraina. Nulla di più falso perché i contratti ultra-annuali non sono scaduti e nemmeno disdettati. E i prezzi contrattualizzati e indicizzati al costo del petrolio sono un decimo di quelli Ttf o Psv.

Si fa però fatica a studiare le carte. È più facile il ricorso a fatti che hanno sconvolto la quotidianità delle persone ed emotivamente creare uno stato di rassegnazione negli utenti. Bloccare gli assurdi aumenti dei prezzi si può. Anche con modalità diverse da quelle oggi ipotizzate nei programmi elettorali. Dipende solo dalla volontà politica che deve scegliere chi proteggere: gli speculatori o i cittadini.

Remo Valsecchi, cittadino, già commercialista Link articolo su Altreconomia

Tassa sugli extra profitti energetici: cosa non ha funzionato. Un approfondimento dal sito ultimavoce.it

Lo ha ricordato anche Mario Draghi al meeting di Rimini. Quei 10 miliardi devono essere redistribuiti. Questa era la cifra che il governo aveva preventivato di ricavare dalla tassa sugli extra profitti delle aziende energetiche che producono o importano gas in Italia.

Inizialmente la tassazione doveva ammontare al 10% degli utili, ma con il decreto Aiuti-bis di giugno 2022 la percentuale è stata alzata al 25%. Il pagamento sarebbe dovuto avvenire in 2 tranche. La prima, da versare entro il 30 giugno, avrebbe dovuto corrispondere al 40% del totale. L’altra, da saldare entro fine novembre, avrebbe dovuto coprire il restante 60%. Ad oggi, la somma versata è di 1,23 miliardi. Una cifra di gran lunga inferiore alle aspettative del governo.

Come si è arrivati a questa situazione? Lo Stato ha fatto male i calcoli? Oppure ha introdotto una tassa eludibile?

Proviamo a fare chiarezza.

Come si calcola il costo dell’energia

Il 44% dell’energia italiana è prodotta tramite il gas, mentre il resto è diversificato tra eolico, idroelettrico, fotovoltaico e metaniere. Essendo così importante nella produzione, un aumento del prezzo del gas porta a rialzo il prezzo generale dell’elettricità. Ora, il prezzo del gas viene stabilito alla borsa Ttf di Amsterdam, dove vengono trattati i c.d. “futures”. Parliamo di contratti in cui la consegna del bene e il pagamento della cifra pattuita sono rimandati ad una data futura prestabilita.

Ciò significa che il contratto è stipulato in base alle previsioni dei prossimi andamenti di mercato del gas. Solitamente si tratta di futures a 3 mesi. Ma ne esistono anche di più a lungo termine. In un periodo di incertezza come il nostro (basti pensare alla chiusura del Nord Stream 1) il prezzo schizza alle stelle. Non c’è alcuna certezza su quanto gas avremmo a disposizione nel prossimo periodo. In altre parole, il prezzo del gas dipende in gran parte dalla speculazione degli operatori finanziari.

E il prezzo che paghiamo in Italia?

Il gas utilizzato oggi dalle aziende elettriche è stato acquistato precedentemente. Attraverso dei contratti a lungo termine nei quali il prezzo era molto più basso di quello attuale. Se a ciò aggiungiamo che Arera stabilisce il prezzo finale dell’elettricità in base alla quotazione media del trimestre precedente presso il Ttf (e questa si sta alzando costantemente da febbraio a questa parte) si capisce perché gli extra profitti sono aumentati così a dismisura.

Quanto hanno guadagnato le aziende energetiche?

Dal momento che è molto difficile trovare il bandolo di quella matassa che è il mercato del gas, il governo ha cercato di trovare una strada più semplice. Ovvero il differenziale IVA. Si tratta di calcolare la differenza tra quanto hanno guadagnato le aziende nel periodo che va dal 1° ottobre 2021 al 30 aprile 2022 e lo stesso periodo dell’anno precedente. Il saldo tra queste cifre corrisponde, secondo il Mef, all’extra profitto ricavato dalle imprese. 

Consideriamo che Enel, nel primo trimestre 2022, ha quasi raddoppiato il suo fatturato rispetto allo stesso periodo del 2021, passando da 18 a 34 miliardi. I suoi utili netti invece, sono passati da 2,1 a 2,3 miliardi. Eni, a fronte di un aumento del fatturato di quasi 18 miliardi rispetto al primo trimestre 2021, ha avuto un aumento notevole degli utili. Da 1,3 a 5,2 miliardi. Anche Edison, altro colosso energetico, ha visto salire il suo fatturato fino a 7,2 miliardi nel primo trimestre 2022. 

A quanto corrisponde realmente la tassa sugli extra profitti?

Fa strano vedere le cifre messe in bilancio dai grandi colossi energetici per pagare la tassa sugli extra profitti. Eni ha stimato di dover versare 550 milioni, Enel 100 ed Edison 78. Come è possibile raggiungere la cifra di 10 miliardi se insieme i 3 colossi energetici non arrivano neanche ad uno?

Secondo il Mef, la tassa avrebbe dovuto coinvolgere circa 11 mila aziende. Di queste, il 98% sono aziende medio piccole che avrebbero dovuto coprire circa la metà di quei 10 miliardi preventivati. Il resto sarebbe dovuto ricadere sulle spalle delle grandi aziende come quelle citate precedentemente. 

Ad ogni modo, dei 4 miliardi che sarebbero dovuti arrivare entro il 30 giugno, poco più di 1 miliardo è arrivato a destinazione. Come è potuto accadere?

La verità è che molte aziende hanno deciso di non pagare, adducendo almeno tre tesi alle loro ragioni.

Il differenziale IVA e la tassa sugli extra profitti

In primis, sono state criticate le modalità di calcolo degli extra profitti. In quanto il differenziale IVA (la variazione della cifra imponibile da un anno all’altro) è influenzato da diversi fattori che non riguardano solamente il costo delle fonti energetiche. Come, per esempio, un banale aumento della quota di mercato. Questioni di diritto tributario che vanno lasciate agli esperti del settore.

Il periodo del lockdown

In secundis, è stato ricordato come il periodo preso in considerazione per calcolare il differenziale (ottobre 2020-aprile 2021) sia stato anche quello del lockdown. In cui quindi c’è stata una riduzione dei consumi. Di conseguenza, un aumento del fatturato ci sarebbe stato indipendentemente dall’aumento del prezzo dell’energia. A ciò si potrebbe replicare che il prezzo del gas è aumentato di circa 10 volte rispetto all’anno precedente. Insomma, se è vero che ci sarebbe stato comunque un aumento dei consumi, pare quasi ininfluente rispetto alla variabile del prezzo del gas.

L’incostituzionalità della tassa sugli extra profitti.

L’ultimo argomento a sostegno del mancato pagamento è quello costituzionale. Diverse aziende infatti sono inadempienti perché presuppongono l’incostituzionalità della tassa. In questo senso, il precedente della Robin tax ha influito sulle loro valutazioni. Introdotta nel 2008, la norma prevedeva una tassa sugli extra profitti derivanti dagli aumenti del prezzo del petrolio avvenuti quell’anno. Ed è rimasta in vigore fino al 2015, quando è stata dichiarata incostituzionale. Seppur con qualche differenza, la manovra finanziaria sostenuta dall’allora ministro del tesoro Giulio Tremonti mirava agli stessi obiettivi di questa tassa.

Anche in questo caso evitiamo di addentrarci in trame giuridiche da cui sarebbe difficile districarsi. Sottolineiamo solo come al meeting di Rimini Mario Draghi non sembrasse affatto spaventato dalla possibile incostituzionalità della norma mentre sollecitava le aziende a pagare quanto dovuto.

Aldilà di ciò, rimangono i numeri, e parlano chiaro. 40 miliardi di extra profitti non possono ammuffire nelle grandi tasche delle aziende energetiche. Una redistribuzione di questa ricchezza è doverosa e necessaria. In nome della tutela di tutti quei cittadini e quelle imprese che sono messi alle corde dal rincaro dell’energia.

Daniele Cristofani

Leggi anche Emergenza climatica e crisi economica: cosa serve?

Redazione

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