TAR sospende Decreto che inseriva CBD tra stupefacenti

È stato accolto dal TAR il ricorso delle associazioni di categoria riguardante la libera vendita del CBD per uso orale. Nel frattempo, una nota ministeriale, pubblicata prima che si sapesse dell’accoglimento del ricorso, ribadisce la possibilità di coltivare la canapa per diversi usi, pur lasciando elementi di criticità ed ambiguità.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater) ha pronunciato la presente ORDINANZA sul ricorso numero di registro generale 8818 del 2024 accogliendo l’istanza cautelare e, per l’effetto sospende l’efficacia del gravato Decreto del Ministero della Salute del 27 giugno 2024.

Il commento di Leonardo Fiorentini, segretario di Forum Droghe

Il Dipartimento Antidroga ha pubblicato ieri una nota riguardante il provvedimento – inserito con un emendamento del Governo al DdL sicurezza – che vieta la produzione e l’uso di infiorescenze di cannabis light (canapa a basso contenuto di THC provenienti da semi certificate dall’Unione Europea). Oggi invece il TAR del Lazio ha sospeso, per la seconda volta, l’efficacia del Decreto che inseriva le preparazioni orali a base di Cannabidiolo (CBD) nelle tabelle dei medicinali stupefacenti.

Per Leonardo Fiorentini, segretario di Forum Droghe, «il Dipartimento Antidroga si arrampica sugli specchi, svelando il fine puramente ideologico della norma che vorrebbe vietare la cannabis light e del Decreto che inserisce i preparati a base di CBD fra le medicine stupefacenti.».

«La nota del DPA – spiega Fiorentini – quando parla, riferendosi alla cannabis light, di “prodotti che favoriscano alterazioni dello stato psicofisico” omette di dire che le infiorescenze di cui si vuole vietare produzione e uso contengono una percentuale minima di THC (massimo 0,2% secondo la legge 241/2016 mentre la normativa europea consente lo 0,3%) ed eventualmente un più alto contenuto di CBD. Ebbene proprio sulla pericolosità del CBD si è espressa la comunità medica al più alto livello. Secondo le conclusioni della 41^ sessione del Comitato degli Esperti su Droghe e Dipendenze (ECDD) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) – ricorda Fiorentini – il CBD “non è psicoattivo e non vi è evidenza di dipendenza o abuso”. Proprio per questo, dopo svariati anni di revisione della letteratura scientifica, la raccomandazione inviata dall’OMS nel 2020 alla Commissione droghe dell’ONU esplicitava che le “preparazioni farmaceutiche che contengono meno dello 0,2% di THC non devono essere sotto il regime di controllo delle convenzioni ONU”. Eppure, questo Governo ha pervicacemente inserito le preparazioni ad uso orale contenenti CBD nelle tabelle del Testo Unico sugli Stupefacenti, ricevendo oggi per la seconda volta l’intervento sospensivo del TAR del Lazio».

(…) «Anche la citazione della decisione della Corte Suprema di Cassazione sull’illiceità del commercio della cannabis light omette di considerare che quella stessa sentenza si conclude con la formula “salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività”. Principio che, insieme a quelli della proporzionalità, tipicità e ragionevolezza, sarebbero evidentemente compromessi dall’assoggettare un prodotto non stupefacente alla normativa sugli stupefacenti. Inoltre, con la norma inserita nel ddl Sicurezza il Governo crea un loop normativo e giurisprudenziale: si rinviano le condotte legate alle infiorescenze di cannabis light al Testo Unico sulle droghe che però esplicitamente consente la coltivazione delle piante da cui derivano (art. 26), mentre la giurisprudenza tossicologica ritiene ormai unanimemente non stupefacente – e quindi non penalmente rilevante ai sensi dello stesso Testo Unico – la sostanza contenente meno dello 0,5% di THC.».

(…) «Anche sull’asserita ininfluenza della norma sul settore agroindustriale della canapa la nota del Dipartimento è mistificatoria: l’impossibilità di usare parti della pianta legalmente coltivata perché esclusa dalle convenzioni, dalla normativa UE e da quella italiana limita fortemente la filiera, in modo ingiustificato. Non c’è solo la cannabis light come possibile sbocco commerciale per l’infiorescenza di canapa: usi alimentari, cosmetici, anche farmaceutici laddove coltivata secondo le norme previste, sarebbero certamente criminalizzati. E questo limita la redditività della coltivazione a monte, e quindi mette a rischio l’intero settore della coltivazione della canapa in Italia».

«Incurante della scienza, delle indicazioni dell’OMS, delle Convenzioni internazionali, dello stesso Testo Unico sulle droghe e della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea, della Corte Suprema di Cassazione e della Giustizia Amministrativa il Governo Meloni con la sua ricerca continua di un nemico crea un non senso giuridico. Vuole vietare la vendita di fiori che non hanno nulla di stupefacente, ostacolare la filiera della canapa e l’uso dei suoi derivati non psicoattivi esclusivamente per motivazioni ideologiche. Ma non ha nemmeno il coraggio di dirlo.»

Il Commento del sito CannabisTerapeutica.info

Come in un film già visto, il Tar del Lazio ha sospeso (in via cautelare) il decreto del governo che voleva inserire le preparazioni orali di CBD tra i farmaci stupefacenti. 

È la terza volta che accade negli ultimi 4 anni, ed è un segnale chiaro sul fatto che il cannabinoide, per la scienza (Oms), per le istituzioni europee (sentenza della Corte di Giustizia Europea) e anche per la giustizia amministrativa italiana, non possa essere considerato come uno stupefacente. 

Era il 2020 quando l’allora ministro Speranza emanò il primo decreto che inseriva il CBD tra gli stupefacenti, e che venne sospeso prima dell’entrata in vigore a causa delle proteste. 

L’anno scorso il governo Meloni aveva eliminato la sospensione, rendendolo di nuovo attivo, ed era stato nuovamente sospeso (d’urgenza) ad ottobre 2023 in seguito al ricorso dell’ICI (Imprenditori Canapa Italia), con il tribunale regionale che aveva spiegato che: “Non appaiano configurarsi, allo stato di fatto, imminenti rischi per la tutela della salute pubblica”.

Il 24 settembre 2024 sarebbe dovuta arrivare la sentenza, ma il governo Meloni, con una mossa a sorpresa, nell’agosto 2024 decide di ritirarlo e di pubblicarne uno nuovo, sostenuto dai pareri dell’Istituto Superiore di Sanità e del Consiglio Superiore di Sanità.

Ieri, 10 settembre, c’è stata la decisione in Camera di consiglio al Tar, dopo che le associazioni Canapa Sativa Italia e Imprenditori Canapa Italia avevano fatto ricorso: ebbene, è stato sospeso nuovamente, quindi il CBD in vendita libera torna ad essere completamente legale, affiancando quello in vendita nelle farmacie dietro prescrizione medica. 

Il comunicato di ICI – Imprenditori Canapa Italia

ICI – Imprenditori Canapa Italia comunica con viva soddisfazione che il TAR del Lazio ha accolto l’istanza cautelare presentata, con l’assistenza degli Avvocati Dario De Blasi, Alberto Gava e Francesco (Prestige Legal & Advisory), contro il Decreto Ministeriale del Ministero della Salute del 27.06.2024, che inserisce le composizioni orali contenenti CBD nella tabella dei medicinali contenenti sostanze psicotrope o stupefacenti. Il Giudice amministrativo ha riconosciuto la fondatezza delle nostre argomentazioni, rilevando il grave ed irreparabile danno che l’applicazione del decreto comporta all’intero settore e ha deciso di sospenderne l’efficacia in attesa del giudizio di merito.

Questa decisione rappresenta un’importante vittoria per il settore della canapa industriale, che rischiava di subire gravi danni sociali, occupazionali ed economici. I giudici hanno ritenuto che l’applicazione del decreto avrebbe infatti potuto comportare per gli operatori economici significative ed irreparabili conseguenze, anche di natura penale, legate alla possibile contestazione di reati in materia di stupefacenti.

Nell’ambito del giudizio, anche attraverso la relazione tecnica a firma del Prof. Ciallella (già Direttore dell’istituto di medicina legale dell’Università La Sapienza di Roma), ha dimostrato come il CBD non determini dipendenza psicofisica e non possieda effetti psicoattivi che possano giustificarne l’inclusione tra le sostanze stupefacenti.

Il ricorso presentato da ICI, con il sostegno di Coldiretti Liguria – che ha svolto un intervento ad adiuvandum nel giudizio – ha ribadito che il settore della canapa industriale, basato su principi di legalità e sicurezza, rappresenta un’opportunità economica significativa, specialmente per le aree rurali e le piccole e medie imprese agricole. (…)

DDL Sicurezza: chiarimenti sull’emendamento “cannabis” a cura del Dipartimento per le politiche antidroga – 10 settembre 2024

Il “DDL Sicurezza” non criminalizza né incide sulla coltivazione e sulla filiera agroindustriale della canapa, in quanto non vieta, né limita la produzione della Cannabis Sativa L., così come previsto dalla legge n. 242/2016, e non crea contrasti normativi e giuridici con altri Paesi EU, essendo in linea con la normativa europea (Direttiva 2002/53/CE del Consiglio del 13 giugno 2002) e la Convenzione Unica sugli Stupefacenti di New York del 1961 che annovera tra le sostanze stupefacenti (tabella I) la pianta della cannabis e la resina di cannabis, consentendo la possibilità di utilizzare i semi e il fusto della pianta (parti non contenenti principi psicoattivi) solo per scopi industriali.

Con l’entrata in vigore della legge 242/2016 è stata avviata, illecitamente, anche la produzione e la commercializzazione, nei cosiddetti “cannabis shop”, di inflorescenze e suoi derivati, acquistati per un uso ricreativo, insinuando nella collettività la falsa idea di legalizzazione di una cannabis definita, erroneamente, “light”. A tal proposito è opportuno evidenziare che il nome scientifico di tale varietà di pianta è “Cannabis Sativa Linnaeus”, e pertanto l’abbreviazione “L.” non significa “light”. Lo stesso fenomeno si è creato con il CBD, derivato dalla cannabis, prodotto contenente principi attivi tali da averne reso necessario l’inserimento nella Tabella dei medicinali, sezione B, allegata al DPR 309/90.

L’emendamento al DDL è stato, dunque, proposto al fine di evitare che l’assunzione di prodotti costituiti da infiorescenze di canapa (Cannabis sativa L.) o contenenti tali infiorescenze possa favorire, attraverso alterazioni dello stato psicofisico del soggetto assuntore, comportamenti che espongano a rischio la sicurezza o l’incolumità pubblica ovvero la sicurezza stradale e, non limitando la produzione dei derivati dalla Cannabis, prevista dalla legge 242/2016, non incide e non altera il mercato da essa derivato, consentendo la prosecuzione delle attività di chi ha investito nel settore.

Infatti, la Legge 2 dicembre 2016, n. 242, “Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”. infatti, autorizza la coltivazione e la trasformazione della “Cannabis Sativa L.” solo al fine di ottenere i seguenti prodotti: alimenti e cosmetici, prodotti esclusivamente nel rispetto delle discipline dei rispettivi settori; semilavorati, quali fibra, canapulo, polveri, cippato, oli o carburanti, per forniture alle industrie e alle attività artigianali di diversi settori, compreso quello energetico; materiale destinato alla pratica del sovescio;  materiale organico destinato ai lavori di bioingegneria o prodotti utili per la bioedilizia; materiale finalizzato alla fitodepurazione per la bonifica di siti inquinati; coltivazioni dedicate alle attività didattiche e dimostrative nonché di ricerca da parte di istituti pubblici o privati; coltivazioni destinate al florovivaismo. L’uso della canapa come biomassa ai fini energetici è consentito esclusivamente per l’autoproduzione energetica aziendale.

Per le finalità sopra indicate la Cannabis Sativa L. è inserita nel “Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole”.

In merito ad alcuni prodotti si evidenzia che:

  • le fibre per impiego tessile vengono ricavate dalla lavorazione del fusto e dei rami della pianta;
  • gli alimenti, le bevande e i cosmetici possono essere prodotti solo dalla lavorazione dei semi della Cannabis Sativa L. e dagli olii derivanti sempre dalla lavorazione dei semi. I semi della cannabis contengono una quantità irrilevante di THC (quasi pari a zero) e che comunque non deve superare i 2 mg/kg (0.0002%)
  • la biomassa, prodotto contenente anche inflorescenze, è consentita solo per autoproduzione energetica industriale

La produzione di cannabis per uso medico è regolamentata da altra normativa e pertanto, è esclusa dalla coltivazione e dalla filiera agroindustriale della canapa.

Le inflorescenze e i suoi derivati non sono contemplate tra i prodotti ammessi dalla legge 242/2016, come anche evidenziato nelle motivazioni della sentenza della Sezioni Unite Penali della Suprema Corte di Cassazione del 30 maggio 2019, in quanto soggette al “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti”, DPR n. 309/90.  Pertanto, la produzione e la vendita delle stesse è sempre avvenuta al di fuori delle Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa.

https://ecquologia.com/salviamo-la-canapa-industriale-italiana-roma-9-settembre/

Redazione

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