PNRR

PNRR o Moneta Fiscale?

PNRR o Moneta Fiscale? Un contributo di Stefano Sylos Labini

Recentemente Federico Fubini vicedirettore del Corriere della Sera ha preso coscienza che il PNRR si è trasformato in una palude. Arrivando a pensare che il modo migliore per finanziare gli investimenti industriali sia quello dei crediti di imposta. Uno strumento già previsto nel Piano Industria 4.0.

Ad oggi l’Osservatorio PNRR di The European House – Ambrosetti stima che solo il 6% dei finanziamenti è stato speso. E solamente l’1% dei progetti è stato completato. Il documento annota anche come il 65% dei progetti passa dai Comuni. Ed il 60% di questi sono paesi con meno di 5.000 abitanti con notevoli difficoltà nella gestione dei fondi.

L’attuazione del PNRR non è un’operazione che si può improvvisare dopo decenni in cui la programmazione è stata demonizzata, la politica industriale è scomparsa e la pubblica amministrazione ha continuato a perdere competenze e addetti. Il penoso scaricabarile a cui abbiamo assistito negli ultimi giorni è ridicolo. Perché l’Italia era del tutto impreparata a gestire un programma come quello europeo che prevede una serie di pesanti condizioni per ottenere i soldi. E richiede non solo professionalità molto avanzate, ma anche una solida organizzazione a livello centrale e locale. Ora ci accorgiamo che il PNRR non sta marciando nel modo migliore, ma era una storia già scritta. In più il PNRR rimane pur sempre un debito che dobbiamo restituire, essendo i soldi a fondo perduto una quantità risibile rispetto ai prestiti europei.

Dunque, con il PNRR che si è arenato e con tassi d’interesse in rialzo che restringono il credito bancario alle imprese, la strada per stimolare gli investimenti industriali in macchinari, nuove tecnologie, impianti ad elevata efficienza energetica e a energia rinnovabile, è quella dei crediti d’imposta trasferibili a terzi. In questo modo le imprese possono sfruttare lo sconto in fattura che permette di ridurre l’esborso in euro necessario per finanziare gli investimenti.

Lo sconto in fattura, che naturalmente si regge sulla possibilità di monetizzare i crediti fiscali, si è dimostrato un meccanismo potentissimo in grado di far esplodere la domanda nel settore edilizio. Ora deve essere applicato al settore industriale. Per fare questo bisogna: 1. Potenziare l’Agenzia delle Entrate affinché possa fare controlli preventivi per evitare le truffe. 2. Creare un mercato di scambio molto liquido attivando le partecipate pubbliche nell’acquisto di crediti fiscali. Non dobbiamo ripetere gli errori fatti nel settore edilizio dove oggi è urgente monetizzare rapidamente i crediti fiscali incagliati.

Questa è l’unica strada che abbiamo a disposizione per spingere sulla crescita degli investimenti anche se le resistenze sono enormi. Nel suo ultimo intervento in parlamento a luglio 2022 Mario Draghi aveva attaccato violentemente non il superbonus, ovvero l’incentivo del 110%, ma la cessione dei crediti fiscali. Tutto può circolare sul mercato, ma non i crediti fiscali che sono titoli di Stato a rischio zero. Ciò perché in questo modo possiamo recuperare autonomia nella politica economica, visto che per emettere sconti fiscali trasferibili non dobbiamo chiedere soldi in prestito sui mercati finanziari. Ora il fedelissimo Giorgetti e i maggiordomi di Fratelli d’Italia stanno cercando di portare a compimento il lavoro utilizzando diversi argomenti. Il buco enorme nei conti pubblici, le truffe, la nuova classificazione Eurostat.

Per quanto riguarda il buco enorme nei conti pubblici, ci sono varie stime sul moltiplicatore che quantifica l’impatto della cessione dei crediti fiscali sul Pil e sull’occupazione. Ma è meglio non infilarsi in una discussione dove saltano fuori numeri di ogni tipo. Ciò che non si può mettere in discussione invece è che nel biennio 2020/22 la posizione finanziaria dell’Italia è nettamente migliorata. Il rapporto debito/Pil è sceso di 10 punti %, passando dal 155% del 2020 al 145% del 2022. Con questo non voglio certo dare tutto il merito alle detrazioni edilizie. Però nessuno può dire che questa misura abbia creato un buco enorme nei conti pubblici come sostiene il governo. Questo per il passato.

Per il futuro il buon esito di queste detrazioni sull’economia, e quindi sul gettito fiscale aggiuntivo che permette di compensare le minori entrate future, dipenderà dalle scelte del governo. Se il governo non liberalizza pienamente la cessione dei crediti fiscali e non favorisce la monetizzazione di questi crediti, attivando le partecipate pubbliche per spingere sugli acquisti dei crediti incagliati nei cassetti fiscali dei committenti e delle imprese del settore edilizio, allora le imprese falliranno e la disoccupazione aumenterà spingendo al rialzo il rapporto debito/Pil. Ricordiamo che il grosso delle detrazioni fiscali deve essere ancora esercitato per scontare le tasse: tutto dipenderà dalla crescita dell’economia.

Per quanto riguarda le truffe, come detto, dobbiamo potenziare l’Agenzia delle Entrate, affinché possa fare controlli preventivi. Anche con sopralluoghi diretti perché non è possibile che i crediti fiscali siano assegnati alla cieca.

Infine, in merito alla nuova classificazione Eurostat, Marco Cattaneo in un commento pubblicato sul suo blog Basta con l’eurocrisi, ha scritto che:

Eurostat, in maniera estremamente discutibile, ha modificato le regole contabili, affermando che l’emissione di Moneta Fiscale, cioè di crediti fiscali liberamente trasferibili, concorre al deficit pubblico nell’anno di emissione ma non in quello di esercizio degli sconti fiscali. Ha tuttavia anche riconosciuto non solo che l’emissione è perfettamente possibile, ma che la Moneta Fiscale in circolazione non concorre al cosiddetto “debito di Maastricht”. Ovvero al debito pubblico secondo la definizione dei trattati europei. Ovviamente l’emissione di Moneta Fiscale non concorre nemmeno al fabbisogno finanziario dello Stato. Non bisogna reperire euro sul mercato dei capitali collocando BTP o altri titoli da parte del Tesoro”.

Alla luce di queste considerazioni, non si capisce perché lo Stato non effettui consistenti emissioni di Moneta Fiscale, limitando il collocamento di BTP. La Moneta Fiscale non incrementa il debito di Maastricht e non richiede collocamento di titoli da parte del Tesoro. Sostituire ai BTP la Moneta Fiscale, nella maggior misura possibile, come strumento di finanziamento del settore pubblico, non dà altro che benefici in termini di recupero di autonomia nella conduzione della politica economica e di emancipazione dai mercati finanziari.

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Redazione

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