Negazionisti climatici: a chi e a cosa servono

Negazionisti climatici. Una riflessione di Mauro Romanelli, autore del recente libro sui cambiamenti climatici “La Risposta”

MA A CHE SERVONO ANCORA I NEGAZIONISTI CLIMATICI?
Un cattivo pensiero …

In questi giorni mi sono fatta una domanda.

E mi sono pure dato una risposta.

La domanda è: a che servono adesso, nel 2023, i pochi folcloristici personaggi che, nel mondo scientifico, ancora negano il cambiamento climatico e, soprattutto, la responsabilità umana nell’averlo causato?

Mi sono fatto questa domanda essendo abituato a mettermi sempre nei panni altrui, e ad assumere il punto di vista dell’avversario.

A che serve tenere in campo questi ultimi giapponesi un po’ (tanto) ridicoli, che negano l’evidenza, quando ormai tutti gli Stati del mondo, di mala o di buona voglia, hanno iniziato i processi di decarbonizzazione, nessuna grande istituzione scientifica né politica si pone più dubbi, e anche le stesse grandi corporazioni del sistema fossile si sono incamminate, pur senza alcun entusiasmo, sulla via della conversione energetica, semmai giocando sui tempi , barando sui conti e sulle tecnologie, insomma inaugurando la vertenza del “come” e del “quando”, ma ormai non più quella del “se”?

Qualcuno forse conserva ancora la speranza che prima o poi qualche crisi, qualche guerra, qualche pandemia, qualche vento di destra globale, faccia cambiare così tanto le carte in tavola, da rimettere davvero in gioco la questione?

Possibile, ovviamente, questi signori vedono lungo.

Ma tenderei a considerare questa ipotesi poco probabile.

Perché estinguersi tutto sommato non conviene a nessuno, cambiare ad ogni piè sospinto la pianificazione aziendale di medio lungo periodo generalmente non è una buona idea, le tecnologie elettriche e rinnovabili ormai sono anche più avanzate, economiche ed efficienti di quelle fossili, e rimanere troppo indietro nella competizione in questo settore è un errore anche economico.

Quindi?

Si può pensare che gli ultimi giapponesi, alla Franco Prodi , Antonino Zichichi e Franco Battaglia, per citare i geniali epigoni italici della categoria, siano per davvero degli ultimi giapponesi genuini, un po’ narcisisti e presenzialisti, un po’ incattiviti e stizzosi, che comunque viaggiano ormai in proprio e a ruota libera, totalmente incontrollati.

Anche questa è un’ipotesi plausibile, per alcuni di essi forse in buona parte centrata.

Però questo spiegherebbe soltanto il perché loro continuano a sragionare, ma non spiega però lo spazio che viene loro dato.

Una lettura minimale e tutto sommato ragionevole suggerirebbe una serie di spiegazioni, diciamo così, “inerziali”, non particolarmente “volute”: meccanismi giornalistici, ad esempio, per cui fa sempre notizia dare spazio alla polemica o all’opinione “contro”, oppure un atteggiamento reazionario di default da parte di un certo mondo, con interessi anche politici e ideologici, a cui comunque fa gioco seminare zizzania, e fa sempre piacere riversare un po’ di fango e di risentimento purchessia sui giovani, sugli ecologisti, sulla sinistra, così, giusto per tenersi allenati.

Vi sono poi certamente interessi e pulsioni economiche più particolaristiche, non solo delle grandi corporate petrolifere, ma dei settori dell’auto a combustione, come delle caldaie e delle cucine a gas, tanto per fare qualche esempio, che traggono senz’altro benefici dall’esistenza di una voce contraria, anche se di minoranza, che alimenta il complottismo, l’idea che il cambiamento climatico sia una bufala finalizzata a venderci pompe di calore e auto elettriche, utile ai piani di conquista del mondo da parte della Cina, o comunque un’odiosa e astratta imposizione dei “burocrati UE”.

Purtroppo, queste fesserie hanno un pubblico, di minoranza ma, ahimè, non irrilevante, e questo pubblico diventa anche una fetta di mercato.

Su uno dei miei profili social, sotto un post in cui pubblicizzavo degli studi che spiegano la superiorità ecologica ed economica, anche nei climi freddi, delle pompe di calore, un signore, mi ha scritto con orgoglio: “io la mia caldaia non la cambio, non mi faccio imporre niente dall’Europa!”.

L’auto a benzina, e la caldaia o la cucina a gas, come baluardi di resistenza contro la globalizzazione capitalista, come se non fossero essi stessi espressione del più bieco e feroce dei capitalismi globali, quello della combustione fossile!

Incredibile, direte voi, ma tant’è, esiste anche questo, e sicuramente a molti conviene, proprio sul piano dei fatturati e dei conti della serva, che continui ad esistere, banalmente perchè chi si convince di queste cose acquista certi prodotti piuttosto che altri, ritardando la diffusione dell’innovazione, e prolungando i profitti del vecchio sistema: ben vengano quindi Zichichi, Prodi e Franco Battaglia, quindi, anche se in prospettiva rappresentano un vicolo cieco … intanto noi anche grazie alle loro boutade continuiamo a guadagnare ancora per un po’.

Bastano tutte queste spiegazioni?

Potrebbero anche bastare, a volte il mondo è più semplice di quel che si pensa.

Però mi è venuta in mente un’altra idea, più succulenta.

Aggiuntiva, non alternativa, rispetto alle ipotesi fin qui esposte.

In questi giorni due meravigliose ed eroiche associazioni, Greenpeace e ReCommon, hanno annunciato una causa con richiesta danni ad Eni per le proprie responsabilità sui danni derivati dal cambiamento climatico.

Sempre in questi giorni la Corte Federale Usa ha sentenziato che anche Contee e Comuni, quindi istituzioni pubbliche, possono intentare cause alle grandi corporazioni del sistema fossile per i danneggiamenti da inondazioni e fenomeni estremi dovuti allo sconvolgimento del clima.

E’ anche uscita una recente stima, contenuta in uno studio pubblicato il 19 maggio 2023 dalla rivista peer-reviewed One Earth, intitolato ‘Time to pay the piper, fossil fuel companies’ reparations for climate damages’, che quantifica i danni che saranno causati dagli eventi estremi legati allo sconvolgimento del clima dal 2025 al 2050, in 99mila miliardi di dollari.

E’ un’indagine condotta da ben 738 economisti del clima (per l’Italia in prima linea il Prof. Marco Grasso, docente di Geografia Economico-Politica all’Università di Milano-Bicocca ), che quantifica anche quale percentuale di questa cifra andrebbe richiesta direttamente alle varie multinazionali oil&gas.

Però per ottenere questi risarcimenti giustamente auspicati e meritoriamente quantificati da questi ottimi ricercatori si dovrebbe appunto passare per delle cause, quindi dei tribunali e delle sentenze.

E siccome il sistema giudiziario occidentale è imperniato sul sacrosanto principio del garantismo (intendiamoci, un baluardo assoluto di civiltà, a parere di chi scrive), che prescrive che per dichiarare qualcuno colpevole di qualcosa, bisogna essere certi aldilà di ogni ragionevole dubbio, mi è venuto in mente il malevolo pensiero che i pochi scienziati negazionisti possano essere tutto sommato proprio gli addetti a tenere in campo un (ben poco, ma si sa come va il mondo) “ragionevole dubbio”, bastante perlomeno a sostenere nelle aule di tribunale che “tutto sommato c’era dibattito, proprio sicuri sicuri non si era, c’erano autorevoli esponenti della comunità scientifica che non erano convinti, quindi insomma sì, dai, ora cambieremo anche noi, ma per il passato chi ha dato ha dato e chi ha avuto, ha avuto, sorry”.

Se ci fosse questo retropensiero, allora il valore economico effettivo del dare risalto e di incoraggiare le evoluzioni pindariche dei nostri amici potrebbe essere davvero non trascurabile.

È un cattivo pensiero e, si sa, a pensar male si fa peccato.

Ma vedi che qualche volta succede che ci si azzecca.

Leggi anche Ecolibri: La risposta di Mauro Romanelli

Redazione

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