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Il ciclo di vita degli oggetti (e il tempo della nostra vita)

Il tempo degli oggetti. Un articolo di Sergio Ferraris, giornalista scientifico, caporedattore “L’Ecofuturo Magazine”.

Il ciclo di vita degli oggetti influisce in maniera notevole sul nostro tempo di vita

Gli oggetti, tutti gli oggetti che possediamo hanno un elevato costo ambientale. Le materie prime delle quali sono composti sono costate energia per l’estrazione. Così come per la realizzazione e il trasporto è servita energia e solo alla fine arriva l’utilizzo. Inutile dire che quando un oggetto termina il suo ciclo di vita e viene destinato alla discarica o nell’inceneritore, gran parte di questa energia e della materia viene letteralmente buttata via. Nel caso di un oggetto assolutamente inutile, utilizzato fino all’usura, la cosa potrebbe essere considerata quasi naturale e il nostro compito, come genere umano, sarebbe il riciclo della materia attraverso l’economia circolare.

Purtroppo non è così. Spesso, troppo spesso, ci liberiamo di una serie di oggetti ben prima del loro fine vita, perché diventano obsoleti fin dalla loro creazione. È l’obsolescenza programmata. Un concetto semplice ma non troppo evidente, con il quale si usa il termine “programmato” per la vita utile di un oggetto che in realtà dovrebbe essere determinata dall’usura, ossia dall’utilizzo. Un ciclo che influenza in maniera drammatica il nostro tempo. Se gli oggetti diventano obsoleti prima del tempo sarà necessario impiegare delle risorse legate al tempo di lavoro per pagarli. Dopodiché serve tempo per acquistarne di nuovi e metterli in esercizio, così come serve tempo per smaltire quelli vecchi.  

Si tratta di una “qualità” che è divenuta intrinseca alla produzione industriale. E che non si può comprendere se non si osserva come si producono gli oggetti da oltre un secolo. 

Prima del ‘900 gli oggetti non erano soggetti all’obsolescenza programmata perché erano prodotti quasi in pezzi unici, in maniera semi-artigianale e il produttore di solito aveva un rapporto di fiducia con l’utilizzatore finale. Un po’ per la cultura produttiva dell’artigiano, un po’ per il rapporto diretto con il consumatore, anche perché gran parte del valore era rappresentato dal lavoro e non dalla materia prima, erano realizzati per durare sia per la logica degli oggetti stessi sia per l’utilizzo abbondante del materiale.

Tempo d’industria

Logica che è stata seguita anche nella prima fase dell’industrialismo moderno, l’epoca della produzione di massa, a cavallo tra ‘800 e il ‘900 durante la quale è cominciata la diffusione nella società di oggetti dei quali non ci si accorge più per quanto sono d’uso comune, come le lampadine, i frigoriferi, le cerniere lampo e le autovetture. Materiali robusti, buona fabbricazione e progettazione ottimale hanno caratterizzato la prima fase dell’industria, che contava sulla qualità come leva di mercato, caratteristica derivata dalle lavorazioni artigianali dei secoli precedenti. 

Durò poco. Già negli anni ’20 del secolo scorso, infatti, le imprese si accorsero che i peggiori concorrenti della loro attività erano i loro stessi prodotti che “duravano troppo”. Ciò in uno scenario nel quale le fabbriche erano in grado di produrre sempre più oggetti, riducendo la quantità di lavoro umano per singolo pezzo, costo fin da quei tempi importante.

Il fatto che le persone possedessero già un oggetto durevole costituiva il principale ostacolo alla crescita dei fatturati. Nel 1924, il mondo delle imprese vi pose rimedio. In quell’anno, i produttori di lampadine crearono il Cartello Phobos che fissò tra le altre cose, la standardizzazione dell’attacco, della potenza e della luminosità, ma soprattutto si occupò di determinare a priori e fin dalla progettazione, la durata “ideale” (per le industrie e non per il consumatore), delle lampadine a 1.000 ore, quando già all’epoca se ne potevano produrre facilmente a 2.500 ore.

Si è trattato del primo caso documentato di obsolescenza programmata, smentito anche tecnicamente, poiché una lampadina dell’epoca, progettata per durare e non secondo la logica del Cartello Phobos, è tuttora accesa dal 1901. E’ la “Centennial Light” che si trova nella stazione dei vigili del fuoco a Livermore-Pleasanton in California. Ha emesso luce fino a settembre 2023, per 122 anni e per 1.068.720 ore, altro che le misere 1.000 decise dal Cartello Phobos. Se si fossero conservate e magari perfezionate, le caratteristiche della Centennial Light il mercato dell’illuminazione domestica si sarebbe ridotto a un millesimo di quello reale… Continua a leggere gratis l’articolo su L’ECOFUTURO MAGAZINE

Redazione

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