Risorse naturali e Conflitti: tra passato, presente e futuro

Molto spesso le materie prime sono tanto preziose ed essenziali che generano conflitti. Un articolo di Ivan Manzo.

Il legame tra risorse naturali e conflitti rappresenta uno dei fattori chiave dietro molte guerre storiche, contemporanee e, probabilmente, future. Le risorse naturali, come oro, argento, rame, carbone, cobalto, diamanti e terre rare sono spesso al centro di tensioni geopolitiche, alimentando competizioni tra Stati e gruppi non statali. Fin dall’antichità il desiderio di controllare i metalli preziosi ha plasmato la geopolitica mondiale. Essenziali per il progresso economico e industriale, tali materiali hanno influenzato le decisioni di imperatori, re e generali, determinando la sorte di intere civiltà. La storia dimostra che dietro ogni grande conquista vi è spesso la ricerca di ricchezze nascoste, soprattutto nel sottosuolo.

Il passato

La guerra di Troia, celebre per l’epica raccontata da Omero, è stata molto più di un semplice scontro tra greci e troiani in nome dell’onore e dell’amore di Elena. Dietro al mito si nasconde un interesse strategico: il controllo dello stretto dei Dardanelli e delle risorse aurifere. Le città greche miravano infatti a dominare una regione ricca di oro alluvionale, noto per aver reso famoso il leggendario re Mida.

Anche l’espansione dell’Impero Romano fu spinta dalla ricerca di risorse preziose. Le guerre puniche contro Cartagine, per esempio, furono influenzate dalla necessità di controllare le miniere di argento e rame della Spagna. Giulio Cesare, invece, mosse guerra alla Britannia con l’obiettivo di mettere le mani sulle miniere di stagno della Cornovaglia, risorsa vitale per la metallurgia dell’epoca. E Augusto, primo imperatore di Roma, non fu da meno. Dopo aver conquistato l’Egitto, le casse dell’impero furono arricchite da un bottino di circa un miliardo di sesterzi in metalli preziosi. Questo afflusso di ricchezze consentì una rivoluzione architettonica. I nuovi edifici pubblici, i templi e le ville imperiali furono eretti in marmo, simbolo di potenza e prosperità. Le campagne militari di Traiano aprirono a Roma le porte delle miniere d’oro della Dacia (l’odierna Romania), aumentando ulteriormente la ricchezza dell’impero.

Ma è con la scoperta del “Nuovo Mondo” che la sete di metalli preziosi raggiunse nuove vette. L’America si rivelò un’enorme fonte d’oro e d’argento, risorse che cambiarono gli equilibri economici dell’Europa. Con il passare dei decenni i metalli di base, come il ferro e il rame, divennero sempre più importanti innescando la rivoluzione industriale prima in Europa e poi su scala globale. Il carbone divenne così la risorsa più preziosa per alimentare l’industria e le ferrovie. E le nazioni che riuscivano a controllarne l’approvvigionamento dominavano il panorama economico. La guerra civile americana ne è un esempio lampante. Il carbone degli Appalachi giocò un ruolo cruciale nello sforzo bellico del Nord, contribuendo a fondere cannoni e alimentare locomotive.

La centralità del carbone si manifestò in numerosi conflitti successivi. La guerra franco-prussiana del 1870, così come le due grandi guerre mondiali, furono influenzate dall’interesse per il controllo delle riserve carbonifere. In particolare, il bacino della Ruhr in Germania e le miniere della Francia orientale divennero obiettivi strategici, dimostrando ancora una volta come le risorse minerarie siano state, e continuino a essere, motori più o meno nascosti dei grandi conflitti storici.

Il presente

Tra il 2010 e il 2021 circa 20 mila ettari di foreste nelle terre indigene di Kayapó, Munduruku e Yanomami, in Amazzonia, sono stati devastati a causa dell’estrazione illegale di oro. A lanciare l’allarme è un’indagine di Greenpeace, che denuncia la rapida espansione di questo fenomeno. Particolarmente preoccupante è il fatto che, ancora oggi, l’oro sia in grado di generare violenze. L’invasione delle terre indigene da parte dei garimpeiros aggrava le tensioni sociali e contribuisce all’aumento di conflitti armati oltre ad accrescere il traffico di droga.

Inoltre, per via del traffico illegale di oro è stato dimostrato che le popolazioni indigene subiscono diverse attività legate allo sfruttamento di donne e bambini (abusi sessuali compresi). Senza dimenticare gli impatti ambientali e sanitari dovuti all’uso del mercurio, un metallo altamente tossico che viene impiegato dai garimpeiros per separare l’oro dalle rocce. Una serie di fatti che sollevano interrogativi su come l’oro proveniente dall’Amazzonia venga commercializzato a livello globale. Questioni che coinvolgono anche l’Italia dato che il nostro Paese – dato al 2022 – è al terzo posto in Europa, dopo la Svizzera e il Regno Unito, per valore di oro importato.

Da qualche anno, uno degli elementi più critici e chiacchierato, è senz’altro il cobalto. Utilizzato dall’industria bellica e da quella petrolifera in fase di raffinazione, oggi lo ritroviamo anche nelle batterie a litio che servono ad alimentare i nostri PC, gli smartphone e i veicoli elettrici. Anche se le cose stanno pian piano cambiando, basti pensare che oggi il 40% delle auto elettriche è privo di cobalto e che lo sviluppo del settore viaggia verso batterie allo stato solido e al sale.

Circa il 70% dell’estrazione mondiale di cobalto avviene in Congo, paese ricco di altri minerali come il coltan, il rame e l’uranio. Una ricchezza che oltre ad alimentare una guerra economica di accaparramento globale, che al momento vede la Cina vincitrice, ha esacerbato i tanti scontri già presenti nella zona. Come quello decennale tra l’esercito congolese e il gruppo di ribelli “M23” che trova proprio nel controllo delle miniere una delle ragioni della guerra civile in atto.

C’è poi la questione dei diamanti di conflitto, meglio conosciuti come “diamanti insanguinati”. Si tratta di gemme estratte in zone di guerra e vendute per finanziare gruppi armati ribelli o governi coinvolti in scontri violenti. Questi diamanti sono stati a lungo al centro di controversie globali per il loro ruolo nel sostenere guerre civili, principalmente in paesi africani come la Sierra Leone, la Liberia, il Congo e l’Angola. In risposta alla crescente pressione internazionale, nel 2003 è stato istituito The Kimberley Process (KP). Si tratta di un accordo multilaterale che mira a fermare il commercio di diamanti di conflitto, garantendo che i diamanti esportati siano accompagnati da certificati che ne attestino l’origine legale.

Sebbene il KP abbia contribuito a ridurre la percentuale di diamanti insanguinati sul mercato globale, ha attirato una serie di critiche. Sia per via della sua inefficacia nel risolvere in modo completo il problema e sia per la mancanza di controlli rigorosi in alcuni paesi partecipanti. Il commercio illegale di diamanti continua, dunque, a rappresentare una minaccia. Le aree minerarie in paesi instabili rimangono difficili da monitorare, e sono ancora tanti i gruppi ribelli che continuano a sfruttare queste risorse naturali per finanziare operazioni violente e a sfondo militare.

Il futuro

Il mercato globale delle materie prime viene da un periodo di profonda crisi. La carenza di risorse ha causato un’impennata dei prezzi e, al contempo, sollevato dubbi sul ritorno agli equilibri registrati in passato. E questo anche per via di una domanda in continua crescita. Dal 1950 al 2020 quella mondiale rivolta alle forniture di metalli è aumentata di ben otto volte. La transizione verso un’economia verde e sostenibile sta poi creando una nuova ondata di richieste indirizzate verso materiali tradizionali e non. Per esempio, l’indio, il niobio e l’ittrio sono metalli essenziali per le nuove tecnologie, e il loro impiego continuerà a crescere nei prossimi decenni… Continua a leggere gratis l’articolo su L’ECOFUTURO MAGAZINE

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Redazione

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