USA, clima di cambiamento? intervista a G.B. Zorzoli

Pubblichiamo di seguito l’intervista di Sergio Ferraris a GB Zorzoli, Presidente onorario del Coordinamento FREE e grande esperto di energia pubblicato su La Nuova Ecologia ed anteprima dell’articolo che verrà pubblicato su QualEnergia n.5 del 2020.

Qual è l’eredità di Trump su clima e rinnovabili che ostacolerà il cammino del nuovo presidente Biden? Si tratta di questioni “ingombranti” che l’ex Presidente ha lasciato sul campo e che con ogni probabilità non potranno essere completamente superate nei quattro anni di presidenza democratica. Abbiamo chiesto a G.B. Zorzoli di analizzare la questione. Ne emerge un quadro assai complesso e poco comunicato su questa sponda dell’Atlantico.

Biden ha vinto. Come vedi la situazione sul fronte climatico?
«È condivisibile il sospiro di sollievo di chi nel risultato delle elezioni presidenziali USA vede riaprirsi la prospettiva di una politica energetico-climatica americana allineata con quella sancita dall’Accordo di Parigi. Preoccupano invece i commenti che minimizzano gli ostacoli che Biden dovrà superare per tradurre in fatti concreti le dichiarazioni di principio».

Quali sono le problematiche all’orizzonte?
«Prima di tutto non si possono liquidare i quattro anni trumpiani compiacendosi per il fallimento della politica di rilancio del carbone. Subito dopo la sua elezione nel 2016, fu pressoché unanime la constatazione che a mettere in crisi la filiera carbonifera era stato il minore costo del kWh eolico e fotovoltaico; ipotesi che il mercato ha puntualmente confermato. E poi, in questo quadro, se da un lato è corretto tenere conto che l’installazione di capacità rinnovabile è proseguita a dispetto dell’avversione di Trump, per quanto concerne le prospettive future delle rinnovabili, probabilmente a molti è sfuggito che dai 2.000 miliardi di dollari di aiuti all’economia, su cui la maggioranza repubblicana nel Senato USA ha raggiunto un accordo con i democratici, è stata esclusa la proroga degli sgravi fiscali per l’eolico e il fotovoltaico, che scadono a fine 2020».

E ciò cosa comporta?
«Nella migliore delle ipotesi (ballottaggio di gennaio per i due seggi senatoriali in Georgia vinto dai democratici, dando loro la maggioranza anche in Senato) il tempo richiesto per l’approvazione di nuovi sgravi fiscali peserebbe comunque sugli investimenti del 2021. In caso contrario, la negoziazione di un compromesso con la maggioranza repubblicana allungherebbe i tempi e non è detto che si arrivi a una conclusione positiva. A favore di un accordo peseranno le pressioni degli Stati interessati allo sviluppo delle rinnovabili, a ostacolarlo la contrapposizione frontale tra elettorato repubblicano e democratico, rafforzata dalla narrazione di una vittoria di Trump cancellata dalle ipotetiche quanto inconsistenti frodi elettorali. Gli ostacoli da rimuovere non riguardano però soltanto lo sviluppo delle rinnovabili. Chi tira troppi sospiri di sollievo, trascura infatti gli effetti di quattro anni di amministrazione Trump».

Quali sono, questi effetti?
«Prima di tutto il ruolo dell’Epa, l’agenzia per la protezione ambientale, che è stato ridimensionato, rendendolo pressoché inesistente, con ricadute anche sulla qualità degli addetti, che non si riuscirà a modificare in quattro e quattr’otto. Una serie di norme antinquinamento e di contenimento delle emissioni climalteranti sono state rese molto meno restrittive. Persino le normative sulle acque sono state riviste al ribasso. Le concessioni per l’estrazione degli idrocarburi hanno riguardato anche aree considerate protette. Si sono quindi moltiplicate le decisioni che, anche indirettamente, sono andate contro una politica di contrasto all’emergenza climatica.
Una maggiore licenza di inquinare quasi sempre porta con sé anche una maggiore emissione di gas serra. La nomina di John Kerry come inviato per il clima, che, come ha detto Joe Biden, mostra “la mia determinazione a combattere il cambiamento climatico”, è certamente un fatto positivo, ma, quante delle decisioni trumpiane Biden potrà abolire con executive order e quante richiederanno il placet legislativo? Ma non è tutto. Recentemente l’attenzione si è concentrata sulla nomina in extremis di un giudice della Corte Suprema, che ha allargato la maggioranza dei membri proposti da un Presidente repubblicano. Pochi sanno (e pochissimi ne hanno parlato) che negli Stati Uniti sono di nomina governativa tutti i giudici federali, cioè quelli chiamati a pronunciarsi su casi non di pertinenza dei singoli stati, fra cui tutto ciò che riguarda il clima e l’ambiente. Per decenni questa procedura di nomina, che a noi europei appare in contrasto con la garanzia di terzietà dei giudici, è stata mitigata dalla complessiva prevalenza di un approccio bipartisan. Già in declino da qualche tempo, questa consuetudine è stata radicalmente capovolta durante la presidenza Trump, con la nomina di giudici in gran parte “schierati”. Di nuovo, quanti ricorsi giudiziari contro decisioni dell’amministrazione Biden riceveranno una sentenza favorevole prima di arrivare alla Corte Suprema, rendendone obiettivamente più probabile la ratifica?».

Mi sembra che sul tappeto ci siano parecchie questioni. Quali saranno le
problematiche relative all’opinione pubblica?
«Bisogna premettere che, stando alle dichiarazioni di Biden, il marchio di fabbrica della sua amministrazione dovrebbe essere la sostituzione della politica divisiva, perseguita da Trump, con una che riporti, per quanto possibile, l’attuale contrapposizione radicale nell’alveo di un normale confronto tra differenti opinioni. Ma molte delle decisioni da prendere per riallineare gli Stati Uniti con gli obiettivi indicati dall’Accordo di Parigi possono essere propagandate come un tradimento dell’America first ai 73 milioni di cittadini che, malgrado la gestione della pandemia, hanno votato Trump. Anche immaginando un contesto ideale, con i democratici in maggioranza al Senato e una magistratura propensa a giudicare favorevolmente le decisioni di Biden, quanto peserà su tali decisioni il suo obiettivo di passare alla storia come il presidente che ha riportato gli Stati Uniti a essere realmente uniti? Si tratta di una questione cruciale che si verificherà da subito. Non bisogna dimenticare, infatti, che la politica statunitense è concepita per essere veloce. Tra due anni ci sarà il primo test delle elezioni di mid-term, mentre la presidenza dura quattro anni. Tutte le questioni d’indirizzo si prendono nel giro di pochissimo tempo. Ricordiamoci che Trump aveva cancellato i riferimenti al cambiamento climatico dai siti governativi già dal giorno del suo insediamento, il 20 gennaio 2017».

Link articolo La Nuova Ecologia

Redazione

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