Virus olio di palma: arriva il vaccino??

La coltivazione della palma da olio, da cui si ricava un olio ad altissime rese (superiori al 50%),  ha scatenato la cupidigia umana in modalità di coltivazione assolutamente insostenibili


con evidenti i danni creati dalla diffusione delle coltivazioni di palma da olio a discapito di enormi superfici di foresta o di terreni destinati all’agricoltura, concentrate particolarmente in estremo oriente (Malaysia e Arcipelago Indonesiano) ed in alcune aree dell’Africa equatoriale.

Un olio, quello di palma, che nel corso del tempo, ha visto estendere sempre di più le utilizzazioni per uso alimentare (food), ampiamente utilizzato da sempre anche nella cosmesi e che si è esteso, progressivamente, in tempi più recenti, anche al settore della produzione di energia da biomasse, contribuendo così a far esplodere negli anni scorsi una grande bolla speculativa (vedi post “Biocarburanti e cambiamenti climatici: il virus olio di palma“).

Significativo anche se con sviluppi da monitorare, un primo sostanziale impegno assunto lo scorso anno dal più grande trasformatore e rivenditore mondiale di olio di palma, la Wilmar International, si è impegnata a porre fine alla deforestazione in tutta la propria filiera di questa materia prima (vedi post “Deforestazione da “olio di palma”: primo impegno da parte del più grande operatore mondiale“). Un grasso davvero controverso, l’olio di palma, onnipresente alivello mondiale e che detiene indiscutibilmente oggi il primato di produzione tra tutti gli oli commestibili.

Per cercare di offrire nuove possibilità ed alternative o complementi all’uso dell’olio di palma, da segnalare l’importante linea di ricerca che sta portando avanti da oltre tre anni l’Università britannica di Bath,sperimentando uno specifico lievito, la Metschnikowia pulcherrima, usato solitamente nell’Africa del Sud per la produzione del vino. Un lievito dal quale sarebbe ricavabile uno dei pochi oli in grado di competere con le proprietà dell’olio di palma e forse anche con le sue quotazioni di prezzo.

Una amplissima diffusione, quella dell’olio di palma, determinata dalla sua versatilità, determinata da un punto di fusione molto alto e da un elevato grado di saturazione.Durante i test di laboratorio con M. pulcherrima si è riusciti a ricavare 20 g di olio da 1 litro di materiale in fermentazione, con i prossimi esperimenti su scale più grandi, che prevedono già bioreattori da 30-50 litri per provare una produzione a larga scala, sperando di arrivare ai 10.000 litri entro la fine dell’anno. Il nuovo olio prodotto, presenta caratteristiche molto simili a quelle dell’olio di palma.

Una ricerca, quella dell’ateneo britannico, che si aggiunge ad altri tentativi di oli derivati da alghe o da piante coltivate su terreni marginali come la Jatropha curcas, arbusto perenne, velenoso, della famiglia delle Euforbiacee, tutte però con problemi di scalabilità, passando dalla piccola realtà di laboratorio a una dimensione economica di scala commercialmente sostenibile.

Promesse importanti sembrerebbero invece quelle della M. pulcherrima, con ph tra 1,9 e 9 e a intervalli di temperature che vanno dai 12 ai 30 gradi, comportando un risparmio energetico relativamente alla creazione delle condizioni ideali per la sua crescita, con criteri di coltivazione che non richiedono condizioni di sterilità, rendendone possibile la coltivazione anche in grandivasche all’aperto (foto a sinistra). Una coltura che può crescere su moltissimi tipi di substrato, rintracciabile in natura su una grande varietà di foglie, frutti e fiori.

Al riguardo il Dottor Chris Chuck, assegnista di ricerca presso il Centre for Sustainable Chemical Technologies eCorresponsabile del progetto sostiene che “Indipendentemente da ciò che si mette in partenza, che si tratti di colza, paglia o rifiuti, M. pulcherrima può utilizzare gli zuccheri presenti e crescere su di essi. Una modalità di coltivazione che renderebbe possibile ridurre il consumo di suolo di una quantità da 10 a 100 volte rispetto a quella utilizzata per l’olio di palma, rendendo possibile, utilizzando rifiuti, arrivare anche alla chiusura dei cicli di produzione.

Secondo Doug Parr, responsabile scientifico di Greenpeace UK, organizzazione da sempre impegnata contro la desertificazione da coltivazioni di palma da olio, però, è ancora presto per cantare vittoria, sostenendo che “la commercializzazione potrebbe rivelare problemi ambientali e pratici che sono mancati su piccola scala”. Gli esperimenti proseguono nel frattempo in vari paesi come Vietnam, Sudafrica, Italia e Francia, dove è stata avviata la bio-prospezione su ceppi di questi lieviti, con costi che, al momento, rimangono superiori a quelli di riferimento per l’olio di palma, ma con la speranza che l’interesse per questa scoperta riesca ad attirare investimenti che possano aiutare a tentare un lancio di questo “sub-surrogato” sul mercato ed una possibile consacrazione commerciale.

Link articolo di approfondimento sulla nuova sperimentazione di “The Guardian”

Sauro Secci

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