Energia Idroelettrica e resilienza: urgono interventi di adattamento ai cambiamenti climatici

Anche gli impianti ad energie rinnovabili devono fare i conti con gli effetti sempre più evidenti dei cambiamenti climatici ed indubbiamente uno degli ambiti più sensibili è senza dubbio quello idroelettrico.

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E’ proprio sull’approfondimento di questo aspetto che si è recentemente dedicato il Politecnico di Losanna in un interessante elaborazione orientata allo studio dei deleteri effetti della crescente concentrazione di sabbia nell’acqua che erodendo le turbine ne mina pesantemente la vita utile.

Una risorsa fondamentale questa “storica rinnovabile”, che per prima in Italia ha portato la luce nelle abitazioni e che, con le sue centrali idroelettriche, soddisfa oltre il 13 per cento dei consumi interni lordi di elettricità. Si tratta di un contributo rilevante al bilancio energetico nazionale che ha registrato una grave flessione negli ultimi anni. La ridotta piovosità, legata al clima secco e caldo che ha interessato l’Italia, si è ripercossa in maniera negativamente sulla produzione energetica da fonte idrica. Dal 2015 al 2016 si è registrato un calo della produzione del 6,8%, destinato ad accentuarsi pesantemente in questo memorabile e siccitoso 2017.

Sono molte le sfide da risolvere a fronte della continua evoluzione di fiumi e flussi idrici, ai quali sono legate le centrali idroelettriche, con cambiamenti climatico e stress ambientali che stanno incidendo in maniera evidente sull’esercizio degli impianti non legati soltanto alla sola riduzione dei flussi disponibili. Nello studio di cui è disponibile il link in calce al post, come spiegano i ricercatori del Politecnico di Losanna (EPFL) (link sito), uno dei problemi che sta acquistano peso con l’evolversi del clima è l’impatto dei sedimenti sulle turbine, che costituiscono la componente principale di queste macchine.

Sulla situazione Svizzera, a cui si riferisce lo studio, fortemente legata allo scioglimento dei ghiacciai, il parere di François Avellandirettore del laboratorio Macchine idrauliche (FWHM) e uno degli autori dello studio, secondo il quale “in Svizzera, i ghiacciai e la neve si sciolgono sempre più velocemente. Ciò influenza la qualità dell’acqua, aumentando la concentrazione di sedimenti sabbiosi che sono molto aggressivi ed erodono le turbine”. Una situazione che altera l’efficienza di produzione delle turbine, danneggiandole e aumentando le vibrazioni sugli alberi delle macchine, incrementando la frequenza e il costo delle riparazioni, riducendo così la vita utile delle stesse.

Lo stesso EPFL di Losanna, con il sostegno della Commissione per la tecnologia e l’innovazione (CTI), ha collaborato con la General Electric Renewable Energy per una più precisa caratterizzazione del processo di erosione del sedimento allo scopo di comprenderlo e prevederlo, con l’obiettivo di allungare la durata della vita delle centrali idroelettriche grazie a macchine più resistenti e a più efficaci procedure operative di esercizio.

Come spiega Sebastián Leguizamón, un altro autore dello studio, “l’erosione del sedimento, come molti altri problemi in natura, è un fenomeno multiscala. Significa che il comportamento osservato a livello macroscopico è il risultato di una serie di interazioni a livello microscopico”. E’ questo il motivo per il quale il team di ricerca svizzero ha optato a sua volta per una soluzione multiscala, attraverso la modellazione separata dei due processi coinvolti. Per questo a livello microscopico, la ricerca si è concentrata sull’impatto estremamente rapido delle piccole particelle che colpiscono le turbine, tenendo conto di parametri quali l’angolo, la velocità, la dimensione, la forma, oltre che per la composizione della sospensione. A livello macroscopico invece, sono state esaminate le modalità con quali i sedimenti vengono trasportati all’interno del flusso d’acqua. Acquisite queste informazioni sarà ora possibile passare per il team di ricerca alla fase successiva, consistente nella caratterizzazione dei materiali utilizzati nelle turbine. A seguire una immagine che evidenzia l’impatto dei sedimenti sulle palettature di turbine idroelettriche.

© 2017 LMH Pelton turbine eroded by silt after one sediment season. (Fonte EFPL)

Una serie molto ampia di interventi quella orientata a conferire resilienza ai cambiamenti climatici per gli impianti idroelettrici che vede ad uno dei primi posti anche un grande ambito completamente insoluto come quello degli sfangamenti dei bacini idroelettrici (vedi post di qualche anno fa “La grande problematica ambientale dell’Idroelettrico: “speriamo di sfangarla”” . Un ambito, quello degli sfangamenti, capace di ridare grande capacità ai bacini e rigenerazione a tutto campo degli stessi ma fino ad oggi dal grande impatto ambientale se effettuato con tecniche di dragaggio convenzionali. Oggi queste grandi criticità di esecuzione sono superate  dalla rivoluzionaria tecnologia di ecodragaggio tutta made in Italy “Limpidh2o” di Decomar, che tanti riconoscimenti ha avuto anche pochi mesi fa nelle grandi fiere cinesi di Shanghai e Pechino nell’ambito della nostra delegazione del Ministero dell’Ambiente (vedi post “Piano Cinese da 300 miliardi di € per le bonifiche. Enorme interesse per Ecodragaggio Limpidh2o a Pechino“). Una serie di benefici, quelli derivanti dall’ecodragaggio dei fondali dei nostri bacini idrici, che avrebbe dei grandi vantaggi anche per l’oggetto dello studio svizzero, cioè il miglioramento della vita utile delle turbine idroelettriche, come tiene a precisare il Professor Giuliano Gabbani, del Dipartimento Scienze della Terra dell’Università di Firenze e Direttore Scientifico di Giga, secondo il quale “lo sfangamento degli invasi produce come risultato una diminuzione del carico sedimentario dei fluidi intrappolati dai bacini. Questo migliora la durata delle strutture di captazione e diminuisce in maniera drastica il deterioramento delle turbine e in generale dell’apparato di produzione elettrica“.

Sauro Secci

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