Trasporti marittimi: dal 1 gennaio limiti alle emissioni di zolfo anche fuori dalle aree ECA
Un passo avanti significativo quello costituito dalle nuove misure di contenimento delle emissioni marittime entrate in vigore dallo scorso 1 gennaio. L’IMO (Organizzazione Marittima Internazionale) ha finalmente ridotto allo 0,5% (massa in massa) la percentuale di zolfo nel combustibile utilizzato dai natanti, fino ad oggi costituito dall’arcaico ed altamente inquinante olio combustibile denso, sottoprodotto della raffinazione, alienato oramai da anni in altri settori, come quello della produzione termoelettrica, ed ancora incredibilmente in uso sino ad oggi in percentuali di zolfo ammesse fino al 3,5%.
Si tratta di un passaggio significativo, pur se non di svolta, per lasciarsi dietro le spalle questo scomodo ed oramai arcaico combustibile, anche fuori dalle cosiddette aree ECA (Emission Control Area), come quelle presenti nel nord Europa (nel Mar Baltico e nel Mare del Nord) o l’area nordamericana e l’area del Mar dei Caraibi degli USA, dove da anni vige una soglia ammissibile di zolfo di appena lo 0,1%.
Come ha voluto spiegare Kitack Lim, Segretario generale dell’IMO,“Gli Stati membri, l’industria dei trasporti marittimi e i fornitori di olio combustibile hanno lavorato negli ultimi tre anni per prepararsi a questo grande cambiamento. Sono fiducioso che i benefici saranno presto percepiti e che l’attuazione non avrà problemi. Si tratta di un cambiamento estremamente importante che avrà significativi benefici positivi per la salute umana e l’ambiente”.
L’olio combustibile pesante usato dal trasporto marittimo, che solo per dare un’idea deve essere portato a temperature di oltre 70 °C per permetterne lo scorrimento, contiene normalmente zolfo che, dopo la combustione nel motore, si trasforma in ossidi (SOx), a loro volta dispersi in atmosfera se non sottoposti a preventivo abbattimento con costose ed ingombranti apparecchiature. Il gravissimo ritardo accumulato nella decarbonizzazione da parte dell’intero settore marittimo, dove negli ultimi anni si è verificato un autentico boom delle spedizioni marittime, unitamente ad una crescente attenzione ambientale, rende sempre più urgente agire per normalizzare gli abissali ritardi anche a fronte di un 2017 nel quale il trasporto commerciale marittimo ha consumato circa 3,8 milioni di tonnellate di olio combustibile pesante al giorno.
La famiglia degli ossidi di zolfo (SOx), con particolare riferimento al biossido di zolfo (SO2), è quella normata dal maggior numero di anni, essendo strettamente ed unicamente legata allo zolfo presente nel combustibile utilizzato nei processi di combustione, con effetti sanitari noti da tempo, contribuendo all’insorgere e al peggioramento delle affezioni delle vie respiratorie (tossi persistenti, bronchiti, sinusiti), con concentrazioni molto forti possono causare la distruzione dei tessuti, provocando enfisema.
Agli effetti sanitari sono ovviamente da aggiungere quelli non meno importanti sugli ecosistemi, con gli ossidi di zolfo tra i principali responsabili delle piogge acide in grado di danneggiare colture, foreste e specie acquatiche, contribuendo anche alla acidificazione degli oceani.
Altra considerazione importante da fare sul carburante navale, essenzialmente costituito dall’olio combustibile pesante, è il fatto che le alte percentuali di zolfo contenute in tali combustibili sono associate anche a più alte percentuali di carbonio, dando un contributo devastante anche in termini di emissioni di gas serra.
Come ripetutamente presentato nelle nostre pagine, la soluzione di svolta, già ampiamente utilizzata nelle aree ECA dove vige un limite dello 0,1% di zolfo nel combustibile, è la riconversione o sostituzione con nuove navi alimentate a GNL (Gas Natutale Liquefatto), con molti armatori che però hanno deciso di ricorrere a soluzioni intermedie come l’adozione dei cosiddetti scrubber, impianti di lavaggio dei gas di scarico, che permettono di utilizzarei vecchi combustibili abbattendo le emissioni di zolfo prima del loro rilascio in atmosfera. Un’opzione quest’ultima, fortemente criticata, sia nell’opzione a ciclo aperto, dal momento che alcuni di tali impianti scaricano i residui del lavaggio direttamente in mare (vedi post Ecquologia), sia in quella a ciclo chiuso, dove sono stati segnalati casi di incendi o danneggiamento per corrosione.
Insomma un passaggio intermedio comunque significativo per bacini come il Mediterraneo, non ancora configurato come area ECA, anche se potranno ancora essere molte le soluzioni palliative che potranno essere messe in campo dagli armatori, non sempre, purtroppo, in nome di una soluzione definitiva del problema.
Sauro Secci