Produzione di energia: sempre più vicina la resa per il carbone

Dopo una strenua resistenza sembra davvero sempre più imminente il momento della resa per il carbone, il più inquinante e climalterante tra i combustibili fossili, con segnali evidenti che arrivano dalla produzione elettrica statunitense, dove oggi circa il 75% dell’energia prodotta con questa oramai arcaica fonte è più cara di quella fornita dalle rinnovabili: una tendenza che sta contagiando il resto del mondo.

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A dare finalmente un orientamento sicuro non sono le politiche ambientaliste, ma l’economia, con l’evidenza che il carbone statunitense non è più in grado di competere con le fonti rinnovabili e il gas naturale, nonostante le politiche di supporto al settore messe a disposizione dal presidente Donald Trump. 

Sono queste le indicazioni che arrivano da un rapporto di Energy Innovation uscito nelle scorse settimane e scaricabile in calce al post, nel quale si rileva come già oggi circa tre quarti della produzione elettrica a carbone risulta per le famiglie americane più costosa di eolico e solare. E nella maggior parte dei casi il divario raggiunge addirittura il 25%. Come rileva uno degli autori dello studio,  Mike O’Boyle, “Anche senza importanti cambiamenti politici continueremo ad assistere ad un rapido ritiro del carbone. La nostra analisi mostra che possiamo muoverci molto più velocemente per sostituirlo con l’energia eolica e solare”. Entro il 2025 si ha una immagine ancora più nitida del fenomeno, con la quasi totalità dell’intero sistema carbonifero statunitense che sarà in svantaggio rispetto alle nuove rinnovabili, con elevati rischi finanziari legati alle spese di gestione.  

Le motivazioni di questo auspicato sorpasso non sono da ricercare soltanto nella maggiore convenienza tecnologica di eolico, solare e gas ma anche in un prezzo del carbone il quale è aumentato con una  tendenza costante negli ultimi anni. Al riguardo, Justin Guaydirettore della strategia globale per il clima alla Sunrise Foundation a The Revelator, spiega che “Questo in parte perché stiamo costringendo finalmente l’industria del carbone a pagare per le sue esternalità – principalmente per l’inquinamento atmosferico, ma anche per la contaminazione delle risorse idriche e per altri fattori che contribuiscono a degradare l’ambiente .

Gli esperti richiamano l’attenzione su come si tratti di una tendenza che ha messo radici in ogni parte del mondo, anche se non sarà così facile liberarsi di questo ancora ingombrante combustibile fossile.

Gli analisti del comparto prevedono infatti ancora incrementi annuali della produzione in India, Indonesia e Australia rispettivamente per il 10,9 percento, 3,9 percento e 2,3 percento, nonostante i consumi globali, che hanno raggiunto il picco nel 2014, siano da quell’anno diminuiti, seppure in misura marginale.

Un altro riscontro importante che giunge dalle analisi in campo è poi costituito dal fatto che, secondo il modello globale pubblicato da Carbon Tracker (Link)il 42% delle unità di produzione termoelettrica a carbone in esercizio in tutto il mondo sono oggi in perdita. Secondo lo stesso Justin Guay “Entro il 2030, il 56% di tutte le unità nel mondo – Cina, India, ovunque – avrà un flusso di cassa negativoÈ piuttosto difficile mantenere una quota di mercato o addirittura crescere se si è più costosi dei concorrenti”.

Si tratta di segnali inequivocabili sul fatto checonsolidano la transizione energetica in atto pur con gli alti e bassi dai quali è stata contraddistinta sino ad oggi.

Scarica il Rapporto di Energy Innovation “THE COAL COST CROSSOVER: ECONOMIC VIABILITY OF EXISTING COAL COMPARED TO NEW LOCAL WIND AND SOLAR RESOURCES”

Sauro Secci 

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