Più benessere meno energia. Un futuro possibile – E venne l’uomo

Iniziamo oggi la pubblicazione di una serie di articoli tratti da un libro “Più benessere meno Energia. Un futuro possibile“, scritto dall’ingegner Franco Donatini, esperto di lungo corso del mondo dell’energia oltre che sopraffino scrittore (vedi scheda biografica in calce al post). Si tratta di un libro vincitore nel 2013 del primo premio per la sezione ecologia al XXXII Concorso Letterario Nazionale Franco Bargagna.

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Capitolo 1 – “E venne l’uomo”

Il mondo esisteva prima dell’uomo ed esisterà dopo, l’uomo è solo un’occasione che ha il mondo per organizzare alcune informazioni su se stesso

Italo Calvino – Cosmicomiche

L’uomo è l’ultimo essere vivente apparso sulla terra, quando il nostro pianeta esisteva già da quasi 5 miliardi di anni. Anche la terra è abbastanza giovane se si considera che è nata quando il big bang, cioè l’istante della creazione dell’universo, era già avvenuto da 8 miliardi di anni.

Se riportassimo questi enormi tempi sulla scala dell’anno solare, la terra si sarebbe formata quasi alla fine dell’estate, mentre l’uomo avrebbe fatto la sua comparsa verso la sera del 31 dicembre. La vita della razza umana rappresenta quindi un minuscolo granello nell’immensità dei tempi cosmologici.

Questo ci dice anche quanto il nostro pianeta sia  indifferente alla presenza o meno dell’uomo e delle sue azioni. La considerazione potrebbe tranquillizzare coloro che hanno a cuore la conservazione dell’ambiente, ma la battuta è ovviamente solo provocatoria. Come pure provocatoria è la domanda che spesso mi pone Patrizio Roversi, quando mi chiede: “Cosa c’entro io con la foca monaca!”. In effetti c’entra, c’entriamo tutti. Chi crede nel rispetto e nella salvaguardia dell’ambiente lo fa giustamente nella convinzione che il danneggiamento dell’ecosistema abbia un effetto catastrofico sulla sopravvivenza dell’uomo sulla terra. Nulla di più vero. La vita dell’uomo, questo essere vivente così sofisticato ed insieme fragile, è possibile soltanto attraverso una convivenza sostenibile col mondo fisico, vegetale e animale. L’interconnessione  delle catene evolutive e i rapporti di dipendenza che esistono tra questi tre mondi non lasciano scampo.

            La frase di Calvino rappresenta insieme una verità e un paradosso. L’uomo ha una doppia valenza, culturale e fisica. Quella culturale gli consente di sviluppare il processo cognitivo a partire dall’acquisizione dei dati relativi ai fenomeni naturali. Attraverso il metodo scientifico riesce a raggiungere livelli di conoscenza sempre più avanzati sui meccanismi fondamentali alla base del funzionamento della natura. In questo senso l’uomo, come dice Calvino, è l’ordinatore della conoscenza presente nel mondo a livello disperso, è l’occhio con cui il mondo guarda se stesso.

Ma questa valenza culturale è allo stesso tempo condizione di crescita e causa di distruzione. La conoscenza acquisita spinge l’uomo a modificare il mondo secondo criteri che ritiene congeniali e migliorativi della sua esistenza. Accanto a ordini culturali, di cui la storia della scienza fotografa la  sorprendente evoluzione, l’uomo crea ordini fisici sempre più sofisticati e complessi.  Partendo dalla scienza l’uomo costruisce la tecnologia. Sovverte l’ordinamento naturale delle cose, sovrapponendone un altro solo apparentemente più funzionale ed efficiente. Nel fare questo sacrifica gli equilibri naturali a un modello di parte che prescinde da una visione olistica del mondo. Fa pagare agli altri la condizione di benessere che costruisce per se. L’ordine che crea è reso possibile a spese del disordine di tutto il resto.

            La scienza per molti anni non ha affrontato questa problematica, anzi ha alimentato una sensazione di ottimismo. Ha fatto palesare la possibilità della crescita indefinita della conoscenza e insieme  della sua progressiva applicazione per risolvere tutti i problemi connessi alla natura fisica dell’uomo. Una sorta di scalata verso il paradiso terreno, consapevolmente irraggiungibile, tuttavia sempre più avvicinabile, ben rappresentata dal mito pagano di Prometeo o da quello biblico di Lucifero fatto precipitare all’Inferno per la sua ambizione, metafore ahimè del percorso trionfante dell’uomo sulla natura.

            E’ stata la termodinamica, finalmente, a fare un po’ di chiarezza. E’ stata la scienza  a riflettere su se stessa, a mettere in discussione fondamenti ritenuti assoluti. Ironia della sorte, la termodinamica ha umili origini. E’ relativamente giovane; essa nasce nel XVIII secolo, all’inizio in maniera empirica, con lo scopo di realizzare macchine da lavoro per pompare l’acqua dalle miniere inglesi. Solo successivamente gli scienziati sono riusciti a cogliere e a formalizzare i fondamenti teorici che stanno alla base di questa disciplina scientifica. Nei due secoli scorsi  la termodinamica ha consentito di realizzare un grande progresso tecnologico nello sfruttamento delle fonti energetiche, che ha cambiato profondamente la vita dell’umanità. Ma è andata oltre. Lo studio approfondito dei suoi  principi di base hanno permesso di dare una spiegazione plausibile al formarsi della vita sulla terra, e soprattutto di quantificare l’impatto che la vita stessa ha nei confronti della natura.

            Il concetto è semplice e ha a che fare con le idee di ordine e disordine prima accennate. La termodinamica supera senza negare il principio di Lavoiser del “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Accanto a questo principio ne aggiunge un altro che quantifica in maniera formale e sostanziale proprio gli effetti connessi al concetto di trasformazione. Si introduce per la prima volta il principio che non esiste trasformazione che non produca effetti irreversibili  nell’ambiente di riferimento. Non è possibile pensare a trasformazioni se non in presenza di un contesto che le ospiti e allo stesso tempo ne riceva gli effetti indesiderati. Ecco quindi che il concetto empirico del mondo come ecosistema trova nella termodinamica il suo fondamento teorico.

Sorge naturale la domanda: com’è possibile conciliare la validità del principio di conservazione con quello dell’irreversibilità? La risposta a questa domanda epocale è sorprendentemente semplice. La massa e l’energia si conservano in un sistema isolato, ma nello stesso tempo cambia la natura intrinseca del sistema stesso. Il sistema passa dallo stato iniziale a stati successivi tra loro diversi ma che mantengono lo stesso contenuto di massa e di  energia. Questo fatto è descritto dal secondo principio della termodinamica, introducendo una grandezza, l’entropia, che è legata in maniera crescente alla probabilità del verificarsi di questi stati. Gli stati successivi hanno maggiore probabilità e quindi entropia dei precedenti, per cui il secondo principio stabilisce un verso stringente, non invertibile, nella evoluzione di tutti i processi sia naturali che artificiali. Poiché gli stati successivi sono quelli che hanno subito le conseguenze irreversibili delle azioni avvenute in quelli precedenti, emerge che la tendenza naturale è quella che va verso la degradazione, cioè la transizione dell’ordine verso il disordine.

Come dice Piero Odifreddi, “Siamo tutti nati nel passato, e moriremo tutti nel futuro (…)  La direzione è la stessa che va dall’ordine al disordine: solo in un film proiettato al contrario una tazza a pezzi sul pavimento può ricomporsi e saltare sul tavolo, invece che cadere e rompersi”

            Il concetto è semplice e contemporaneamente potente. Con esso si possono spiegare i fenomeni naturali dai più semplici ai più complessi, dal passaggio del calore da un corpo più caldo a uno più freddo, all’aggregazione della materia, all’espansione dell’universo, fino allo scorrere irreversibile del tempo. Prima della scoperta della termodinamica, il tempo scientifico era considerato reversibile, in quanto un esperimento può essere ripetuto un numero indefinito di volte e dare sempre lo stesso risultato. Il tempo scientifico era quindi  qualcosa di astratto, esteriore e spazializzato. Negli stessi anni in cui Einstein, rivoluzionava la scienza, in Francia Henri Bergson pubblicava un’opera filosofica, l’ “Evoluzione creatrice“,  con la quale, introduceva un modo nuovo di concepire la realtà. Uno dei punti più significativi della sua teoria è la distinzione fra tempo della scienza e tempo della vita. Al contrario del primo, il tempo della vita è irreversibile, composto da momenti irripetibili che possono essere solo ri-creati ma non ri-vissuti. Per Bergson come per Proust ogni ricerca del “tempo perduto” è destinata a fallire. L’uomo nella sua vita è costretto a fare delle scelte, in virtù dell’unicità della sua esistenza; tuttavia può seguire tutte le strade possibili in quanto la vita stessa è creazione libera ed imprevedibile. Quello che porta la natura umana a svilupparsi è una forza, che Bergson chiama “slancio vitale”.  A questa forza corrisponde la libertà di scelta dell’uomo, di auto determinare il suo rapporto col resto del mondo. Ciò è possibile solo in presenza di un tempo finito, irreversibile, che impedisce all’umanità di tornare indietro sulle proprie scelte, di ripristinare la situazione precedente rispetto agli effetti determinati dalla sua azione trasformatrice.  

La termodinamica ha riconciliato il tempo della scienza con quello della vita. Il secondo principio esprime oltre che una verità scientifica, anche un profondo valore etico nel momento in cui attribuisce all’uomo la responsabilità della sua azione nei confronti del mondo. Infatti accanto alle implicazioni fisiche, questo principio ha anche grandi implicazioni metafisiche e etiche. Dal fatto che il tempo non possa invertire l’ordine del suo corso deriva l’irreversibilità del nesso di causa effetto e quindi lo stretto rapporto tra azione umana e conseguenze sull’ambiente.

Infine la termodinamica offre un fondamento teorico alla spiegazione dei fenomeni naturali dell’evoluzione, della vita e della morte, che sono aspetti chiave per elaborare una visione integrata del mondo.

Secondo il biologo francese Jacques Lucien Monod [1], premio Nobel per la Medicina, l’organizzazione di ogni forma vivente è determinata dal DNA che, attraverso le proteine, trasforma le informazioni in strutture e funzioni biologiche ben definite. E’ il caso a modificare il DNA attraverso fluttuazioni quantistiche, non ci sono Demiurghi esterni. Appena la modifica si è verificata, essa verrà deterministicamente e fedelmente riprodotta in moltissimi esemplari dal sistema di replicazione dell’organismo stesso, che opera con necessità inderogabile. E’ la riproposizione, in maniera più accurata, della teoria dell’evoluzione e della selezione naturale di Darwin [2], che conferma ancora la sua validità. Una teoria apparentemente ottimistica, in quanto la selezione naturale privilegia le strutture più adatte, ma in realtà profondamente pessimistica, poiché il processo selettivo si esplica attraverso una competizione con le altre che scompaiono dal complesso delle speci viventi.  Nel mondo, accanto agli organismi vincenti, restano le rovine inquietanti di una lotta senza quartiere.

La spiegazione teorica di tutto questo risiede ancora nel secondo principio ed è stata data dal chimico Ilya Prigogine [3], premio Nobel per la Chimica, professore a Bruxelles e poi negli Stati Uniti, usando il concetto di entropia. Ogni processo naturale è irreversibile e tende ad aumentare la sua entropia e quella dell’ambiente in cui si trova. Tuttavia in natura esistono organismi viventi in grado di auto organizzarsi, assorbendo energia e  diminuendo la propria entropia a discapito dell’ambiente. Termodinamicamente parlando, la vita è un’aggressione più o meno intensa nei confronti dell’ambiente, mentre la morte è la tendenza spontanea della materia a degradare la sua configurazione ordinata. In un sistema complesso come la terra, anche aggressioni di per se limitate possono avere effetti catastrofici. Come disse Edward Lorenz alla Conferenza annuale della American Association for the Advancement of Science, già nel dicembre 1979  “il battito delle ali di una farfalla in Brasile, a seguito di una catena di eventi, può provocare una tromba d’aria nel Texas”. Sistemi, come il mondo naturale, lontani dall’equilibrio a causa della loro non linearità possono dar luogo ad organismi complessi, per via di una fluttuazione casuale. La non linearità è il motivo della imprevedibilità dell’organismo e quindi della variabilità delle speci viventi.

Ancora una volta ci troviamo davanti un paradosso, l’imprevedibilità che è alla base della vita è contemporaneamente il maggior rischio di estinzione della vita stessa. Eliminare questo rischio non è fisicamente possibile, ma la possibilità di controllarlo sta nelle mani dell’uomo, anche se ad oggi non sembra che questo fatto venga percepito adeguatamente. Possiamo chiudere questo capito con una frase di Monod, non certo rassicurante ma drammaticamente vera:

“ …l’uomo deve infine ridestarsi dal suo sogno millenario per scoprire la sua completa solitudine, la sua assoluta stranezza. Egli ora sa che, come uno zingaro, si trova ai margini dell’universo in cui deve vivere. Universo sordo alla sua musica, indifferente alle sue sofferenze, ai suoi crimini”.

Biblografia

  1. Jacques Monod. Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea (titolo originale: Le hasard et la nécessité).. Oscar Saggi Mondadori, Milano 1996
  2. Darwin, Charles. (1859) On the Origin of Species. John Murray, London
  3. Ilya Prigogine. La fine delle certezze. Il tempo, il caos e le leggi della natura. Edizioni Bollati Boringhieri, 1997

Franco Donatini, ingegnere, esperto di energetica, ha lavorato in Enel come responsabile delle politiche di ricerca e sviluppo per le fonti rinnovabili.

E’ docente universitario di Energia Geotermica. È stato tra i fondatori del Master sulle Energie rinnovabili dell’Università di Pisa. È autore di oltre cento pubblicazioni scientifiche in ambito nazionale e internazionale nel campo delle tecnologie e dei sistemi energetici. È redattore della rivista «Locus», di ambiente e cultura del territorio.

Come esperto di fonti rinnovabili ha partecipato a trasmissioni televisive quali Linea Blu, Rai Utile ed «Evoluti per caso: sulle tracce di Darwin».

Autore di poesia e narrativa, ha pubblicato nel 2008 la raccolta di racconti In viaggio, con Patrizio Roversi, nel 2009 i testi narrativi Galileo, i giorni della cecità (prefazione di Carlo Rubbia) e Intorno a lei. Chagal, amore e arte, nel 2011 il libro storico Giuseppe Verdi e Teresa Stolz. Un legame oltre la musica, nel 2012 la biografia La vestale di Kandinsky e il romanzo Dov’è Charleroi.

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