Pietro Cavanna, presidente settore idrocarburi e geotermia di Assomineraria – Intervista

Intervista a Pietro Cavanna presidente settore idrocarburi e geotermia di Assomineraria sulla siuazione italiana attuale, sui i nuovi obbiettivi di produzione e sul quadro legale e ambientale che si prospetterà agli Italiani. Uno scenario molto poco coerente e inquietante…. sopratutto considerando il fatto che stentiamo a credere che la lobby degli idrocarburi e dei minerali renderà più semplice l’ascesa della geotermia.


Il governo ha varato la Sen che ha tra gli obiettivi il raddoppio della produzione nazionale di idrocarburi. E’ un obiettivo realizzabile?

Finalmente è arrivata la Sen, attesa da lungo tempo. La  considero necessaria per dare un contributo positivo alla situazione economica del  nostro paese. Tutti i grandi paesi europei e non, curano con grande attenzione la  ricerca e lo sviluppo degli idrocarburi domestici. Noi diamo un consenso  pieno a questa iniziativa. Il raddoppio della produzione è possibile. Oggi il fabbisogno italiano annuale in termini di idrocarburi è all’incirca di 150 milioni di tonnellate di petrolio equivalenti (tep) e la nostra produzione nazionale è pari a 12 milioni di tep che rappresenta circa l’8% del  nostro fabbisogno. Oggi dipendiamo per l’80% in termini di import di idrocarburi. Una proiezione al 2020 ci vede ancora importatori per il  74-75% contro una media Ue del 50%. Si tratta di una dipendenza costosa  e pericolosa. Nel 2011 la bolletta energetica ci è costata 67 miliardi di euro e il sistema ha mostrato tutta la sua fragilità in momenti di crisi geopolitiche dei paesi nostri fornitori  . “Lavoriamo per pagarci l’energia”.E’ possibile raddoppiare? Noi siamo convinti di sì. Abbiamo già individuato tutta una serie di progetti sia di esplorazione che di sviluppo e  produzione  che permetteranno il raddoppio della produzione per portarla dai circa  12 milioni di tonnellate di petrolio equivalente a più di 20 milioni all’anno.

Quali gli effetti di tale aumento della produzione?

Per prima cosa ci sarebbe un aumento dell’occupazione. Oggi nel ciclo  produttivo upstream abbiamo circa 65.000 addetti tra diretti e indotto. La nostra industria dal dopoguerra, ha fatto passi da gigante e ha realizzato  tecnologie d’avanguardia che sono state esportate in tutto il mondo. Raddoppiare la produzione di idrocarburi si tradurrà nella creazione di 25.000 nuovi posti di lavoro grazie a 15 miliardi di investimenti. A  tutto ciò va aggiunto l’incremento dei benefici ai Comuni, alle Regioni  e allo Stato in termini di royalty e imposte. Inoltre la nostra produzione garantirebbe maggiore sicurezza e flessibilità per soddisfare i fabbisogni energetici nazionali, permettendo di affrontare con maggior tranquillità le situazioni di emergenza.

Non ci sono rischi per l’ambiente da un aumento della produzione?

Operiamo nel massimo rispetto della sicurezza e dell’ambiente. Lo confermano i nostri indici e statistiche di infortuni. Sotto le nostre piattaforme, abbiamo riscontrato il prosperare di flora e fauna marina  senza alcun problema. Lì sotto c’è di tutto: ricciole, cernie, aragoste, ostriche. Se l’acqua non fosse perfettamente cristallina e pulita questo non accadrebbe. Un altro fattore importante, sempre a proposito di  ambiente, è che un aumento della produzione nazionale migliorerebbe la situazione  dei nostri mari. Si dice che il Mediterraneo è un mare inquinato  rispetto agli altri. E’ vero, ma è un mare chiuso, ci sono tre continenti che si  affacciano sul Mediterraneo, Europa, Asia e Africa. Ci sono più di 580  città, più di 1.000 porti, 180 centrali termoelettriche , centinaia di  infrastrutture industriali, 400 milioni di abitanti di cui il 35-40%  vive sulla costa. Lei può immaginare quanta roba va a finire in mare. Ma  la cosa che inquina è il trasporto marittimo. Ci sono più di 6.000 navi al giorno che attraversano il Mediterraneo, di queste 300  sono petroliere. Trasportano più di 1 milione di tonnellate di petrolio al giorno. E’ stato calcolato che ci sono circa 100-150 mila tonnellate di versamenti di petrolio all’anno, per incidenti nei porti di scarico e sversamenti in mare aperto. Va da sè che una diminuzione di  queste importazioni di greggio , sostituite con  produzioni nazionali, ridurrebbe proporzionalmente l’inquinamento nel Mediterraneo.

Tra i propositi del governo Monti c’era anche la revisione del titolo V della Costituzione

Ci sono grosse difficoltà a fare il nostro lavoro. Ci siamo sempre  detti ben venga la Sen ma dopo? Come possiamo vincere la diffidenza del territorio e delle amministrazioni? Come si può risolvere il conflitto tra Stato e  Regioni? La proposta di modifica del titolo V  è positiva, ma  sicuramente  ci vorrà molto tempo. Ma è importante ottenere consensi anche da parte  del territorio. Bisogna essere consapevoli che è necessario un ritorno  per i territori interessati. Dal canto nostro abbiamo chiesto anche di  distribuire delle royalty ai comuni interessati, in modo tale  da passare dal nimby (not in my back yard) al pimby (please in my back  yard). C’è poi da considerare un’altra cosa. La nostra attività è  costosa e ad alto rischio  Infatti le probabilità di successo sono abbastanza ridotte (20-40%) e se la mia campagna esplorativa sarà negativa, avrò perso tutto e svariati milioni di euro andranno in fumo. Così non è per esempio in  Norvegia,  dove le compagnie petrolifere sono incoraggiate ad investire in esplorazione in quanto lo Stato garantisce puntualmente il rimborso del 78% dei costi esplorativi qualunque sia il risultato della campagna esplorativa. In questo modo il rischio esplorativo viene notevolmente ridotto, inoltre  in Norvegia e UK  non fanno  pagare le royalty; in Italia sono al 10%, oltre al resto della  tassazione che spesso cambia. Basta vedere cosa è successo con  l’introduzione della Robin Tax addizionale e l’aumento delle royalties in giugno 2012.

Da molte parti emergono timori riguardo alla sicurezza di queste attività

L’incidente di Macondo è stato causato dalla violazione di norme e  regole elementari. A Macondo queste norme sono state disattese. Anche  dal punto di vista geologico le condizioni di Macondo sono molto particolari: alta pressione, alta temperatura, alti fondali ed elevate profondità del pozzo (6000 mt), condizioni che in Italia  sono raramente riscontrabili. La geologia del nostro Paese è ben nota.  Dopo Macondo però la reazione  immediata è stata: ‘blocchiamo tutto’. Non si fa più niente entro le 12  miglia dal perimetro esterno di zone protette. Questa norma poi è stata ulteriormente estesa a tutto il  perimetro della penisola. Nel Golfo del Messico quando c’è stato  l’incidente di Macondo c’erano una ventina di impianti di perforazione, oggi ce ne sono il  doppio. Le autorità hanno semplicemente reso obbligatorie una serie di  norme che prima dell’incidente erano facoltative. Nel Mare del Nord (UK e Norvegia) non è cambiato nulla. Tuttavia la Commissione Energia della UE sta preparando nuove norme ancor più migliorative, alla stesura delle quali abbiamo collaborato : “c’è sempre spazio per fare meglio !” A proposito poi di  sicurezza dell’attività voglio citare un indice molto indicativo. Si  tratta  del LTIF (Lost time injury frequency), numero di assenze da  incidente per milione di ore lavorate, un indice accettato e usato normalmente ovunque. Ebbene tale indice nel settore  E&P è tra i più bassi in Italia. Si tratta di dati Inail di un triennio  (2007-2009). Mediamente l’indice è intorno a 10 mentre quello medio del  settore è 4,53; nel 2011 l’indice è ancora diminuito all’1,44. Per  rendere l’idea basta pensare che per alberghi e ristoranti l’indice  nello stesso anno era di 19,71 (dati INAIL). Il nostro è un settore di eccellenza e  lo dicono i dati. Speriamo di mettere in pratica la Sen e di  dare vita agli investimenti da 15 miliardi in 4-5 anni. I progetti sono  pronti.

Giandomenico Serrao
FONTE | Agienergia.it

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