Perché l’agricoltura potrebbe salvarci dai cambiamenti climatici

Di Lorenzo D’AvinoCREA Centro di ricerca Agricoltura e Ambiente, sede di Firenze – socio fondatore di CVB, membro del direttivo e del comitato scientifico per gli aspetti riguardanti al sostenibilità delle filiere.

Alla mattina di questo nuovo giorno, mi soffermo ad osservare le foglie al vento di cui gli alberi sono ormai carichi, sempre affascinato dall’immutevolezza dei cicli stagionali. Anche in questo strano periodo, in cui tutto sembra nuovo, siamo in realtà totalmente immersi nei cicli naturali. Come tutti i cicli naturali, i cicli “bio-geo-chimici” caratteristici per ogni elemento chimico, non seguono la visione molto antropocentrica di cicli con un inizio e una fine. Semplicemente perché un ciclo in natura è chiuso, anche se – beninteso – non sarà mai uguale a sé stesso. E quindi non è corretto attribuire al suolo, al terreno quel ruolo, quasi escatologico, di chiudere tutti i cicli.

Tra i cicli biogeochimici, probabilmente quello del carbonio (C) è il più vasto e il più complesso. In atmosfera il C è essenzialmente presente come CO2 ed è in equilibrio con il C degli altri comparti della biosfera. Nel suolo il C è circa 3 (tre) volte quello presente in atmosfera, tanto che a Parigi, alla 21ª conferenza delle parti sul cambiamento climatico, è stato calcolato che aumentando solo dello 0,4% il carbonio organico di tutti i suoli superficiali potremmo ridurre molto significativamente l’aumento di CO2 in atmosfera, che determina il riscaldamento globale (4p1000, 2020).

Simplified schematic of the global carbon cycle. Fonte: Ciais, P. et al, 2013: Carbon and Other Biogeochemical Cycles. In: Climate Change 2013: The Physical Science Basis. Pag 471

Forse la terribile esperienza che stiamo vivendo ci sta insegnando che la nostra evoluzione non può essere avulsa dai cicli naturali, che la globalizzazione ha ingrandito oltre ogni logica i confini della nostra “azienda agricola” che ci alimenta e ci mantiene in vita. Proprio per questo le sfide future sono necessariamente a scala globale, e l’approccio per tentare una soluzione non potrà che avere la stessa scala. Tuttavia la scienza impone dei concetti per interpretare la natura che possono portare ad alcuni fraintendimenti: riflettendoci un attimo, se semplifichiamo eccessivamente, la media dei punti di un cerchio sarebbe zero e anche la suddivisione in scala universale, globale, continentale, nazionale, regionale, locale, microscala… è una nostra interpretazione che appiattisce la variabilità a un valore medio, mal interpretando il continuum tra le diverse scale. Dobbiamo smettere di vedere i cicli naturali con i “nostri occhi” e constatare che un minuscolo miglioramento non può che andare, non solo verso la sostenibilità, ma certamente verso un mondo migliore. E purtroppo è vero anche viceversa, come vedremo tra poco.

Se questo ragionamento vale per tutti i sistemi produttivi, è sicuramente centrale per l’agricoltura che, soprattutto in passato, ha subordinato i cicli naturali alla logica produttiva, rallentando la corsa verso la sostenibilità e la resilienza, definita come la capacità di adattamento a uno stress ambientale, qual è quello ad esempio dato dagli effetti del riscaldamento globale.

In relazione al potenziale di riscaldamento globale, l’agricoltura, che emette gas che producono effetto serra come tutti gli altri settori, è forse l’unico che però può anche sequestrarne, fissandolo nella biomassa e aumentando il tenore di sostanza organica dei suoli, che è tra l’altro quasi sempre direttamente proporzionale alla loro fertilità. Il problema è che è vero anche l’opposto, e cioè che se perdiamo sostanza organica dai suoli sarà maggiore quella che c’è in atmosfera. Ed è quello che sta accadendo da anni in seguito all’intensivizzazione dell’agricoltura, soprattutto nei suoli mediterranei.

Oltre alla perdita di C nei suoli c’è anche il problema della perdita praticamente irreversibile di suolo dovuta a erosione, desertificazione, ma in Italia soprattutto alla impermeabilizzazione per la costruzione di strade ed edifici. In Italia abbiamo perso in 40 anni una superficie agricola utile di 5 milioni di ettari circa equivalente a quella di tutta la Lombardia, l’Emilia-Romagna e la Liguria (Reterurale, 2012). Secondo i calcoli di ISPRA oggi perdiamo irreversibilmente quasi 2 m2 al secondo di suolo (Ispra, 2019), questo vuol dire che mentre guardate una partita di calcio una superficie maggiore di quella di quel campo di gioco viene irrimediabilmente persa già prima che la partita finisca. E per compensare l’impatto ambientale di un centro commerciale ancora oggi troppo spesso si costruisce un parcheggio, aggiungendo così la beffa al danno. E nel resto del mondo non va certo meglio.

Tornando ai suoli agricoli, occorre sottolineare che la scienza, per incrementarne la sostanza organica, già da decine di anni condivide buone pratiche (Paustian et al., 2016), che devono essere forzatamente sito-specifiche.

Possiamo distinguere queste pratiche in due grandi gruppi che possono lavorare in sinergia. Il primo gruppo riguarda l’apporto di sostanza organica endogena, “coltivando” il suolo ed evitando che resti nudo. Perché le piante, grazie agli essudati radicali e all’interramento della loro biomassa, possono controbilanciare le asportazioni necessarie a ottenere i prodotti agricoli, mentre in un suolo nudo la sostanza organica viene chimicamente e biologicamente mineralizzata. E’ quindi opportuno ridurre al massimo il tempo in cui il suolo lavorato resta nudo, prediligere colture poliennali, favorire gli avvicendamenti colturali, magari inserendo colture con azione azoto-fissatrice o biofumigante (Lazzeri et al., 2019), che possono essere interrate prima delle colture principali. E’ chiaro che in quest’ottica anche la bruciatura delle potature o delle stoppie è controproducente, perché sottrae C che potenzialmente andrà al suolo liberandolo in atmosfera. Interrarle, magari dopo averle tritate e compostate, è sicuramente più utile al sequestro di CO2 dall’atmosfera.

Vigneti dell’azienda agricola di Montefioralle (FI) nel Chianti classico il 25 febbraio (a sinistra) e il 3 maggio 2020, progetto PROSIT, PSR Toscana

Le pratiche agricole del secondo gruppo riguardano l’apporto di sostanza organica esogenaL’abbandono di aziende agricole miste ha ridotto drasticamente l’uso di letame, l’allargamento del ciclo del C ha messo a disposizione compost dalla frazione organica dei rifiuti urbani, liquami dagli allevamenti intensivi, fanghi di depurazione dal trattamento delle acque reflue, digestato dagli impianti a biogas, scarti dalle industrie agroalimentari ecc., ma a volte la chiusura del ciclo risulta difficoltosa e prevalgono le logiche di diluizione atte allo smaltimento, che gli agricoltori giustamente rifuggono. Giusto per fare un esempio, l’utilizzo dei fanghi da depurazione è inibito anche dalla presenza di idrocarburi, che non vengono certo dalle deiezioni umane! Probabilmente provengono dal lavaggio delle strade, soprattutto in prossimità dei distributori di carburanti petroliferi, mentre dovremmo adottare politiche di concentrazione degli inquinanti per poterli trattare, anziché pratiche di una loro diluizione. Soprattutto ora che ci siamo resi conto che la biosfera è finita e diluire ed esportare l’inquinamento non è più possibile. In questo senso, nel ciclo del C è sempre opportuno riflettere sulla presenza del petrolio, che innegabilmente ci ha portato un notevole sviluppo, anche grazie alla petrolchimica, tanto che pervade la nostra esistenza.  Però è logico pensare che il trasferimento dal sottosuolo all’atmosfera di C fossile, mediante la sua combustione, sia un fattore determinante dell’aumento di CO2 in atmosfera.

Avvicendamento in orticoltura di brassicacee biofumiganti da sovescio nell’azienda agricola Savoretti,
 Recanati (MC) 20 febbraio 2020, progetto “Grasciaririuniti”, PSR Marche

Nonostante ciò buone pratiche di apporti di sostanza organica di qualità sui campi sono sempre più frequenti e stiamo lentamente (troppo lentamente) chiudendo il ciclo. Anche perché gli apporti devono essere commisurati alla gestione colturale e al tipo di suolo su cui li mettiamo, ed occorre ricerca. Io sto partecipando ad alcuni progetti di ricerca ed anche a progetti dimostrativi, che mirano a valutare gli effetti di queste pratiche e ambiscono ad essere da modello per altri agricoltori. Come ad esempio il progetto “PROSIT” in Toscana con diverse gestioni dell’interfila nel vigneto (primo gruppo), o il progetto “Grasciaririuniti” nelle Marche con apporti di sostanza organica locale a rotazioni di orticole e seminativi (primo e secondo gruppo). E molti altri ce e sono. In realtà grossa parte dell’agricoltura, soprattutto in aziende medio-piccole ha già ridotto gli input chimici in favore di quelli organici, se non altro per cercare di ridurre i costi. Perché ancora oggi i prodotti agricoli non trasformati sono senz’altro pagati troppo poco al fattore, che invece, come il COVID19 ci ha subito ribadito, ha un ruolo fondamentale nella nostra società.

In questo contesto anche la scelta dell’agriturismo dove soggiornare potrebbe ricadere non solo sul vostro benessere e sulle (imprescindibili) doti culinarie del cuoco, ma anche sulle buone pratiche di mitigazione ai cambiamenti climatici che intraprende l’azienda, cioè su quanto preserva e incrementa la sostanza organica dei suoi suoli, perché su scala globale questo riguarda tutti.

Ma, come epilogo, non chiamatemi se passando tra gli olivi vedete il fumo della bruciatura delle potature, o se vi accorgete che un campo resta nudo per un’intera stagione, primo perché possono esserci motivi specifici, secondo perché non ne ho responsabilità. Se mai fermatevi, e parlatene con curiosità e rispetto all’agricoltore.

Riferimenti citati

4p1000, 2020. https://www.4p1000.org/ Reterurale, 2012. Rapporto “Costruire il futuro: difendere l’agricoltura dalla cementificazione” (1.2 MB) Ispra, 2019. Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. Edizione 2019 Paustian et al., 2016. Climate-smart soils https://doi.org/10.1038/nature17174. Lazzeri et al., 2019, Cropping system http://www.chimicaverde.it/ortofrutticoltura-sostenibile/ 

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