Microplastiche: anche il Mediterraneo sotto assedio
Uno dei temi ambientali portati alla ribalta dai media in questi ultimi tempi è quello legato alle pressioni ambientali legate alla civiltà della plastica, che in questi ultimi anni ci sta presentando il conto in maniera sempre più pressante, con particolare riferimento agli ecosistemi marini.
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Le immense isole di plastica formatesi in maniera sempre più imponente negli oceani in questi ultimi anni mettono in inquietante evidenza le grandi priorità di intervento a tutti i livelli, anche con progetti di grande suggestione (vedi post “Liberazione dei mari dalle plastiche: in arrivo “Le Manta”“).
Segnali certamente altrettanto inquietanti arrivano anche dal Mare Nostrum, il nostro Mediterraneo, come indicano i risultati di una nuova ricerca dal titolo “Microplastic investigation in water and trophic chain along the italian coast 06/24/2017 – 07/15/2017”, realizzato dall’Istituto di scienze marine del CNR Ismar di Genova, dall’Università Politecnica delle Marche (Univpm) e da Greenpeace Italia e frutto dei campionamenti nei mari italiani realizzati durante il tour “Meno Plastica più Mediterraneo” della Rainbow Warrior, la nave ammiraglia di Greenpeace, che nell’estate 2017 ha visitato le coste del Mediterraneo.
Dall’indagine emerge come nelle acque marine superficiali italiane si riscontri una grande e diffusa presenza di microplastiche comparabile ai livelli presenti nei vortici oceanici del nord Pacifico, con picchi particolarmente elevati nelle acque di Portici (Napoli) ma anche in aree marine protette come le Isole Tremiti (Foggia). Si tratta di una preoccupante conferma che si aggiunge a quella di altri studi e ricerche precedenti.
Sui risultati della indagine il commento di Greenpeace che precisa che “Ai risultati prodotti dal CNR-IsmarR si aggiungeranno nei prossimi mesi anche quelli raccolti da Univpm, per stabilire la presenza e la composizione di microplastiche nei pesci e negli organismi marini. Obiettivo dei campionamenti effettuati da Ismar è stato stabilire la quantità e la composizione di microplastiche sulla superficie delle acque marine italiane e nello zooplancton e produrre maggiori dati per supportare la standardizzazione e armonizzazione dei protocolli per la ricerca scientifica”.
Secondo Greenpeace Italia e CNR/Ismar, “I risultati di questo studio confermano l’enorme presenza anche nel Mediterraneo di microplastiche con valori paragonabili a quelli che si trovano nelle “zuppe di plastica” presenti nei vortici oceanici. Preoccupante è il fatto che concentrazioni cosi elevate di microplastiche siano evidenti anche nel Mediterraneo, un bacino semi-chiuso fortemente antropizzato, con un limitato riciclo d’acqua che ne consente l’accumulo” (link tabella risultati dei camionamenti – sito GreenPeace).
Il team del CNR/Isvmar evidenzia come “Le plastiche sono polimeri sintetici la cui produzione è esponenzialmente aumentata negli ultimi 50 anni: solo nel 2015 sono stati prodotti 300 milioni di tonnellate e ogni anno in mare ne finiscono circa 8 milioni di tonnellate» e i ricercatori fanno notare che «Le microplastiche provengono da diverse fonti: quelle primarie derivano principalmente da prodotti per l’igiene personale (cosmetici, creme, dentifrici ecc.) o sono le materie prime come pellet o polveri di plastica utilizzate per la produzione di materiali plastici. Le microplastiche secondarie derivano invece dalla frammentazione e decomposizione di materiali plastici di dimensioni più grandi. Diversi studi hanno inoltre evidenziato che le microplastiche secondarie contengono additivi chimici come gli ftalati”.
Si tratta di una campagna che, come tiene a precisare Greenpeace, “ha permesso di analizzare campioni di acqua di mare prelevata in 19 stazioni lungo la costa italiana, da Genova ad Ancona. I prelievi sono stati effettuati sia in zone sottoposte a un forte impatto antropico (foci di fiumi e porti) che in aree marine protette”.
Specificatamente ai campionamenti anche il commento di Francesca Garaventa, responsabile dei campionamenti del CNR-Ismar, che spiega come “I risultati indicano che l’inquinamento da plastica non conosce confini e che i frammenti si accumulano anche in aree protette o in zone teoricamente lontane da sorgenti di inquinamento. Infatti, nella stazione di Portici (Napoli) zona a forte impatto antropico, si trovano valori di microplastiche pari a 3,56 frammenti per metro cubo ma valori non molto inferiori – 2,2 – si trovano anche alle Isole Tremiti”. Si tratta di valori quelli rilevati, che per dare una idea tangibile, corrispondenti al riempimento di due piscine olimpioniche con l’acqua delle Isole Tremiti e l’acqua di Portici: nella prima ci troveremmo a nuotare in mezzo a 5.500 pezzi e nella seconda in mezzo a 8.900 pezzi di plastica.
Una analisi che ha anche permesso di identificare 14 tipi di polimeri diverse, con la maggior parte delle plastiche trovate costituita da polietilene, vale a dire il polimero con cui viene prodotta la maggior parte degli imballaggi usa e getta
Come tengono a precisare i ricercatori autori della indagine-studio, “questa importante campagna di monitoraggio, oltre a fornire un ampio quadro del livello di contaminazione delle coste italiane, sottolinea l’importanza di investire in programmi di raccolta dati e di identificare metodologie standard di campionamento ed analisi”.
Segnali sempre più pressanti per alzare al massimo il livello di priorità degli interventi a partire dal livello preventivo, con le aziende produttrici di imballaggi usa e getta ma oramai anche con azioni in campo per arginareun fenomeno sempre più tangibile e pressante per gli ecosistemi.
La Redazione di Ecquologia