Impatto del cambiamento climatico sugli ecosistemi marini: ecco le cozze robot
Il monitoraggio ambientale, sempre più importante per la valutazione degli impatti sugli ecosistemi, sia a livello di inquinamento locale che a livello di cambiamenti climatici su scala globale, rappresenta la base fondamentale conoscitiva per lo studio delle fenomenologie.
Si tratta infatti del nutrimento essenziale ed insostituibile per una modellistica matematica sempre più articolata e sofisticata che approvvigiona le sue fonti di dati da tre diverse piattaforme di monitoraggio come:
- Acquisizione dati con postazioni di misura sul campo;
- Acquisizione di dati da telerilevamento satellitare;
- Acquisizione di dati da bioindicatori.
E’ proprio il grande perimetro dei bioindicatori, composto da un gran numero di esseri viventi, afferenti sia al regno animale che vegetale, a cominciare dal quel grande bioindicatore integrale (aria, acqua, suolo) come le api (vedi post “Monitoraggio ambientale urbano: a Torino arrivano anche le api“), altamente sotto tiro alle pressioni antropiche sugli ecosistemi, a fornirci continuamente nuove specie su cui appoggiare il monitoraggio.
E’ proprio in riferimento all’impatto dei cambiamenti climatici sui sensibilissimi ecosistemi marini che approfondiamo una nuova linea di ricerca che si ispira proprio alla emulazione di una delle specie più sensibili nell’ambito del biomonitoraggio marino come le cozze, al centro anche di una recente, grande moria nel Golfo di La Spezia dopo un improvvido sfangamento del porto, effettuato con tecniche assolutamente non adeguate ad impedire la sospensione ed espansione dei sedimenti da rimuovere (vedi post “Dragaggio del Porto di La Spezia: una lunga agonia con la Magistratura ancora in campo“).
Si tratta di una nuovissima e promettente linea di ricerca su questo fronte che arriva dalla California, dove un banco di cozze bioniche, collocate sulla costa di Monterey, in un’area che va in secca con la bassa marea. Si tratta di un gruppo di “cozze bioniche“, definite “robomussels”, equipaggiate di LED verdi che, con il loro lampeggio, indicano la loro posizione. Si tratta di “mud-scoli bionici”, autentici piccoli data-loggers, realizzati con una resina poliestere e progettati dal team di Brian Helmuth, coordinatore del suo laboratorio della Northeastern University, che imitano proprio il comportamento delle vere cozze, alcune delle quali sono stata prelevate dal banco marino per lasciare il posto a quelle bioniche.
Sono proprio le nuove cozze-robot che forniranno le informazioni per uno studio sui cambiamenti climatici, circa la valutazione del suo effetto su una delle specie più importanti che si trovano in mare.
Si tratta di uno punti di una ricerca più ampia che ha portato il laboratorio californiano ad effettuare negli ultimi 18 anni, oltre 70 di questi campionamenti, sparsi in varie parti del mondo che acquisiscono, con intervalli di 10 minuti, sia i dati di temperatura dell’aria o dell’acqua, sia quelli dei corpi reali delle cozze della specie “Mytilus californianus” (foto a destra). Il team statunitense sostiene che quello che scaturisce dallo studio è “un quadro molto più preciso di come il cambiamento climatico sta influenzando la specie rispetto a quanto potrebbe fare la temperatura dell’ambiente circostante”.
Le cozze, definite dai biologi del team di ricerca una “specie ingegnere”, producono biodiversità, creando habitat per gli altri animali, come spiega lo stesso Helmuth, precisando che la sua ricerca “si estende oltre lo stato degli ecosistemi intertidali dove vivono le cozze estendendosi al modo in cui comprendiamo gli impatti dei cambiamenti climatici sulle specie, e come, e dove, i mitilicoltori mettono le loro aziende farms.
Con la piattaforma di monitoraggio predisposta non misura esattamente il cambiamento climatico, per il quale sarebbe meglio scegliere una località “coerente” nel lungo periodo, ma è certamente una misurazione di quanto il cambiamento climatico sta interessando una specifica specie e l’ecosistema in cui la specie vive ed è componente.
Secondo i ricercatori sono sostanzialmente due le modalità con cui l’alta temperatura può uccidere una cozza:
- generalmente lo stress provocato dal riscaldamento le rende meno idonee a continuare le loro funzioni normali, vivere in un ambiente caldo infatti è molto dispendioso dal punto di vista energetico, incidendo sull’alimentazione e il ciclo di riproduzione delle cozze.
- In circostanze estreme, troppo caldo può distruggere le proteine nel corpo dei mitili, più o meno con le stesse modalità che avvengono quando le cuciniamo.
Il coordinatore del team di ricerca statunitense spiega anche che “Da un punto di vista biologico, un animale non si preoccupa affatto del clima. Non gliene potrebbe fregare di meno quel che è la media trentennale, si preoccupa di come quel clima [influenza] il tempo locale».
Il team di ricerca utilizza piccoli data-loggers chiamati Tidbits, che registrano le temperature per 6 mesi per essere poi sostituiti per permettere lo scarico dei loro dati. Alla domanda se non poteva semplicemente essere messo un sensore di temperatura al sole Helmuth risponde:: “Se state in piedi sotto il sole indossando una T-shirt nera, avrete un’idea molto migliore di come vi sentite se vi mettete una T-shirt nera e ci state troppo. Ma per farlo con precisione ho dovuto tenere conto di molti altri fattori. La dimensione è importante; una cozza più grande si riscalda più lentamente, ma starà al caldo più a lungo”.
Nel corso della sperimentazione Helmuth ha testato diverse densità di resina, che poi ha utilizzato per realizzare i gusci e l’interno delle cozze, fino ad individuare quella con l proprietà più assimilabili alle cozze viventi.
Come spiega ancora Helmuth “Ottenere la forma e il colore giusto, non è troppo difficile, bisogna solo costruire uno stampo ma abbiamo dovuto fare un sacco di test nella galleria del vento per fare in modo che coincidesse con ciò che noi chiamiamo l’inerzia termica, la tendenza a riscaldare o a rallentare la velocità di riscaldamento, a seconda di cosa sono fatti i materiali”.
E’ importante poi rilevare come la temperatura costituisca solo una parte dell’equazione, dal momento che la salute delle cozze dipende anche dalla disponibilità di cibo, dall’acidità dell’acqua e da un insieme di altri fattori, combinati e correlati tra loro.
L’ultima linea di ricerca del laboratorio nell’ambito del progetto riguarda l’individuazione di nicchie iper-locali di resilienza e vulnerabilità dei mitili, la maggior parte delle quali ha evidenziato una sorprendente tendenza, costituita dal fatto che spesso, la latitudine ha poco a che fare con la temperatura dei singoli banchi di cozze, e tanto meno con la loro salute generale. Tutti i fattori combinati portano ad un autentico “mosaico” di luoghi, caratterizzati da vari gradi di rischio di collasso.
I nuovi obiettivi del team di ricerca della Northeastern University sono adesso orientati alla previsione della futura salute dei mitili, non solo per la tutela delle stesse cozze, ma per l’individuazione dei siti più vocati al loro allevamento.
Helmuth conclude: «Per me, l’aspetto più cool di questo approccio è che, se si assume una visione non-umana del mondo e dei cambiamenti ambientali, si vedono modelli completamente diversi di quanto si farebbe da una prospettiva umana. A meno che non si assuma questo punto di vista centrato sul non-umano, in giro c’è un sacco di roba che sta succedendo con il cambiamento ambientale che potremmo finire per perderci del tutto».
A seguire un interessante video che illustra l’implementazione della nuova strumentazione predisposta per il monitoraggio sui bioindicatori prescelti.
Sauro Secci