Greenpeace, Italia Solare, Legambiente e WWF scrivono al governo: individuare criteri che consentano sinergie tra fotovoltaico e agricoltura
Il fotovoltaico a terra indispensabile nella lotta contro i cambiamenti climatici. “Inquinamento e cambiamenti climatici impongono un deciso cambio di passo e come previsto nel PNIEC servono come minimo 32 GWp di nuovi impianti fotovoltaici, che non troveranno sufficiente spazio sui soli tetti” è con queste parole che inizia la premessa della lettera che Greenpeace, ITALIA SOLARE, Legambiente e WWF scrivono al governo per chiedere di evitare provvedimenti che vadano a bloccare le installazioni di impianti fotovoltaici sui terreni, anche su quelli agricoli.
Secondo le associazioni per raggiungere gli obiettivi del PNIEC è necessario favorire in maniera decisa il revamping e repowering degli impianti esistenti come prima misura in grado da subito di aumentare la capacità installata, ma non è sufficiente. I 32 GW di nuovi impianti fotovoltaici non possono oggettivamente essere realizzati in 10 anni solo su tetti e aree contaminate. Occorre, infatti, creare le condizioni affinché gli impianti fotovoltaici possano essere installati anche su terreni agricoli che non presentano condizioni tali da consentire una redditizia attività agricola e non hanno caratteristiche di pregio sotto il profilo ambientale.
“Il fotovoltaico – spiegano le associazioni – può benissimo affiancare le coltivazioni con il vantaggio, per l’agricoltore, di beneficiare di una entrata integrativa in grado di aiutare la sua attività agricola”.
Secondo i calcoli delle associazioni, considerando un ampio spazio tra le file dei moduli (già prevedendo possibili sinergie con le attività agricole) servono 2 ettari per ogni MWp. Stimando che circa il 30% di 30-50 GW potrà essere installato sui tetti e su terreni industriali o contaminati, serviranno 40-70 mila ettari circa di terreni agricoli, pari allo 0,2-0,4% dei terreni coltivabili disponibili. E’ un dato di fatto che attualmente sia vigente un assetto normativo che non favorisce la tutela dei terreni agricoli, da qui la proposta delle associazioni di dare un ordine e una programmazione all’installazione degli impianti in tali aree anche in ottica di salvaguardia e tutela dei terreni stessi. Le norme attuali consentono di realizzare impianti in aree agricole senza alcuna limitazione generale o regolamentazione specifica, limitandosi soltanto a non consentire a questi impianti l’accesso alle aste e agli incentivi. Il risultato pratico è lo sviluppo di impianti su aree agricole, senza veri progetti di integrazione e di valorizzazione, aumentando sì i ricavi degli investitori, ma aumentando anche il rischio che si generi malcontento sul territorio, alimentando la “sindrome Nimby”. Questa situazione porta spesso gli enti locali ad adottare moratorie estemporanee o provvedimenti di dubbia costituzionalità. Urge quindi intervenire per risolvere all’origine il problema.
È importante individuare dei parametri oggettivi, ragionevoli e subito disponibili – spiegano le associazioni -, per non rallentare lo sviluppo del fotovoltaico (di cui abbiamo urgente necessità) ma anche a sostegno delle stesse imprese agricole, che possono vedere nella produzione di energia rinnovabile uno sviluppo della propria attività ovvero generare dalla concessione dei siti alla generazione fotovoltaica somme preziose per investimenti nella propria attività, anche mantenendo l’attività agricola tra le file di moduli fotovoltaici.
In quest’ottica – scrivono le associazioni – è fondamentale che dalla legge di delegazione europea messa in consultazione dalla Presidenza del Consiglio e in particolare dal comma a) dell’articolo 5, sia modificata la parte dove si parla della necessità di individuare: “… una disciplina per la definizione delle superfici e aree idonee e non idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili …, privilegiando l’utilizzo di superficie di strutture edificate e aree non utilizzabili per altri scopi”, che andrebbe sostituita con “e, aree non utilizzabili per altri scopi, terreni non coltivati privi di pregio ambientale e la combinazione di fotovoltaico e attività agricole, e definendo le condizioni per l’installazione di impianti fotovoltaici in area agricola”.
L’inciso “aree non utilizzabili per altri scopi” è infatti troppo vago e rischia di essere interpretato in modo molto stringente, rappresentando un vero e proprio blocco alla diffusione del fotovoltaico a terra, senza il quale, si ribadisce, non è possibile raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni secondo le tempistiche definite in sede comunitaria.
Un tema così importante – concludono le associazioni – è necessario che venga affrontato con un approccio il più possibile scientifico, razionale e libero da ogni posizione ideologica preconcetta.
“Chiediamo quindi al legislatore di creare le condizioni perché si possa conciliare la necessaria crescita delle energie rinnovabili anche a terra con l’ambiente circostante, con una strategia questa volta di lungo periodo e grazie a un’analisi approfondita degli impatti del fotovoltaico sull’ambiente e sull’agricoltura senza pregiudizi. Nel contempo riteniamo assolutamente necessario evitare che, in attesa di tale definizione, lo sviluppo del fotovoltaico venga bloccato da norme estemporanee, che allontanerebbero ancor più l’Italia dagli obiettivi prefissati”.