Eolico off shore: dopo molti anni ecco anche l’Italia e il Mediterraneo

Proprio nell’Italia, paese proteso sul mare, con i suoi quasi 8000 km di coste fa un certo effetto vedere nelle statistiche sull’avanzare prorompente delle energie rinnovabili come solare ed eolico, uno “zero”, sia nella colonna del numero di impianti che in quello della potenza installata.


Uno zero che sembra destinato a scomparire, dal momento che, con una recente sentenza del Consiglio di Stato del 1 luglio scorso (link sentenza), è stato dato il via libera al primo impianto di eolico marino del Mediterraneo. Una tipologia di installazione quella off-shore dell’eolico, che ha caratterizzato fino ad oggi in Europa i mari del nord, rappresentandone una collocazione ideale dal momento che il mare aperto è la collocazione ideale, avendo la superficie del mare aperto un indice di rugosità pari a 0 e quindi un indice energetico vicino al 100% come evidenzia bene la tabella seguente.

tabella_rugosita

L’indice di rugosità rappresenta infatti l’attitudine di indurre turbolenze nell’aria, tanto letali per minare il buon funzionamento degli aerogeneratori (turbine eoliche).

il Consiglio di Stato nella sua sentenza, ha ritenuto infondate le osservazioni mosse dal Comune, che aveva chiesto l’annullamento del provvedimento col quale nel giugno 2013 il Dirigente della Direzione generale porti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti aveva autorizzato una società a realizzare ed esercitare una centrale eolica off-shore.
Il Comune di Taranto, aveva battuto sul punto secondo il quale l’impianto eolico autorizzato non sarebbe appartenuto né alla categoria dell’eolico on-shore né a quella dell’eolico off-shore ma ad una terza tipologia impiantistica (“near-shore“), cioè “vicino alla costa” che comprende “le centrali da posizionare nell’entroterra, ad una distanza inferiore a 3 km dalla costa, o sul mare”. In virtù di questo, così come per gli impianti on-shore, anche per quelli near-shore la competenza al rilascio dell’autorizzazione spetterebbe alla Regione (o alla Provincia delegata) anziché al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Si tratta di una lunga vicenda, visto che il progetto originario fu presentato nel 2008, ottenendo poi il parere positivo per la VIA e la VAS da parte del ministero dell’Ambiente nel luglio 2012 che aveva respinto il parere negativo allora presentato dalla Regione Puglia e dalla Soprintendenza dei beni paesaggistici. A quel punto era stato il Comune di Taranto, anch’esso contrario alla wind farm, a farsi avanti, presentando ricorso al TAR di Lecce adottando, tra le motivazioni, l’illegittimità del provvedimento. Un ricorso che è stato bocciato dal tribunale regionale pugliese con la conferma ora in secondo grado da parte del Consiglio di Stato, che ha respinto il ricorso del Comune contro la sentenza del Tar, sbloccando così l’iter progettuale da 63 milioni di euro. Si tratterà di una wind farm composta da dieci aerogeneratori da 110 metri di altezza e dalla potenza unitaria di 3 MW, per una potenza complessiva di 30 MW, collocata nel Mar Grande, tra punta Rondinella e la foce del fiume Tara, a sette chilometri dal centro di Taranto (foto seguente), in un’area fuori da siti di interesse nazionale o comunitario e di zone a protezione speciale.

Un cavo sottomarino della lunghezza di circa due chilometri che trasporterà l’energia prodotta sulla terra ferma. Una produzione, quella del nuovo parco, sufficiente per rendere il porto di Taranto energicamente autosufficiente. Una pronuncia importante quella delConsiglio di Stato, in una regione come la Puglia che vede presentati bem sei altri progetti di eolico off-shore. Relativi ad altrettante wind farm da collocare nel Golfo di Manfredonia, a Campomarino, a largo di San Pietro Vernotico e aTricase nelle cui acque si sarebbe dovuto istallare addirittura un impianto eolico sperimentale con tecnologia “galleggiante”. Tecnologia quella dell’”eolico galleggiante”, molto interessante”, basata su turbine eoliche montate su una piattaforma galleggiante anziché su piloni infissi nel fondale come quelli dell’eolico offshore tradizionale, che consentono di realizzare impianti eolici offshore anche in acque profonde, aprendo così possibilità installative davvero molto ampie (vedi figura a destra).

Un evento sicuramente fondamentale in un paese dove si continua ancora a vedere nelle trivellazioni (vedi post “Il “Mare Nostrum” brutalmente svenduto “Per qualche tanica in più”: due mesi di autonomia petrolifera per l’Italia, alla faccia del “Cambio di verso”), come il futuro energetico del paese e dove invece progetti come questi, trovano invece difficoltà inenarrabili e per certi versi “bibliche”. Un ambito energetico ancora inespresso in Italia e che vede anche l’interesse di molte altre regioni italiane (vedi post “Ecomondo e l’eolico offshore in Adriatico: la Romagna ci crede“). Un settore che ha evidentemente esigenze di integrazione e di attenti e severi criteri di inserimento già peraltro in essere, che confrontate comunque con gli impatti delle sole trivellazioni sembrano davvero assolutamente strumentali.

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