Sulcis e ILVA: se le rinnovabili salvassero i lavoratori?

Se i minatori sardi di Nuraxi Figus si scagliano contro gli investimenti sulle rinnovabili, che toglierebbero spazio al rilancio della miniera Carbosulcis, stando ai numeri la riconversione ad un’economia sostenibile sembra invece una risposta concreta alla crisi, anche sotto il profilo dell’occupazione.


Sono 11.540 i posti di lavoro che il settore è in grado di produrre nei prossimi otto anni, per un mercato a forte impronta locale, che quindi oltre a garantire la crescita sarebbe in grado di proteggere l’industria italiana dalla competizione internazionale.
“La recessione globale e la crisi finanziaria cominciate nel 2008 hanno portato a una rinnovata attenzione alle politiche energetiche”.

L’incipit del rapporto 2012 Energy for Economic Growth del World Economic Forum introduce un fatto macroeconomico che in Italia, negli ultimi mesi, ha assunto i toni di un dramma sociale. Ultima in ordine di tempo la prossima chiusura della Carbosulcis, che mette a rischio il posto di oltre 400 minatori. Ipotizzare una soluzione diversa dalla keinesiana buca che si scava e si riempie, cioè tenere in vita a forza di sussidi e investimenti esteri realtà produttive inefficienti, non è più un’opzione.

Un mercato elettrico pulito potrebbe rappresentare un’opportunità per i lavoratori del comparto chimico e del carbone?

“In questo quadro, la crisi del settore del carbone – risponde Francesco Meneguzzo, ricercatore dell’istituto di Biometeorologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), esperto di mercati energetici – può trovare sbocco nelle fonti energetiche rinnovabili che, guarda caso, proprio in Sardegna non hanno avuto lo sviluppo che avrebbero meritato: in particolare, la potenza fotovoltaica installata, inferiore a 500 MW contro i 15000 MW nazionali, stride con la straordinaria insolazione della Sardegna, e d’altra parte offre la possibilità di una espansione del settore in grado di assorbire lavoratori locali per almeno un ordine di grandezza in più rispetto ai minatori del Carbosulcis.

Prospettive analoghe esistono per i lavoratori dell’ILVA di Taranto, anche se in Puglia le fonti rinnovabili sono già sviluppate. Inoltre la presenza della centrale termoelettrica di Brindisi, nel caso si decidesse una volta per tutte di cancellare il carbone come fonte energetica, lascia spazio ad una ulteriore espansione delle fonti rinnovabili”.

Mappa della potenza solare installata – Fonte GSE

In effetti, i numeri dimostrano che puntare sulle rinnovabili conviene a tutti, lavoratori compresi: basta prendere spunto da paesi in cui questa ripresa è già realtà. Il caso degli Stati Uniti, presentato dal World Economic Forum nello stesso rapporto, mostra come l’industria del fotovoltaico sia in grado di produrre sette volte più lavoro per unità energetica rispetto a quella del gas, anche perché internalizza attività come l’installazione e la manutenzione dei moduli.

La green economy non va intesa come una nicchia dell’economia esistente, ma come il risultato di una riconversione dell’attuale sistema. E in alcuni casi, come per esempio nel Regno Unito, può costituire un traino, creando nuova occupazione (una crescita del 91% dal 2007 al 2010) in uno scenario di lieve flessione, che vede una diminuzione del 3.4% degli occupati generali nello stesso periodo.

Anche nel nostro paese l’energia rinnovabile rappresenta un settore strategico per i lavoratori: 5000 sono gli impiegati altamente specializzati nel settore delle bioenergie, e 30.000 quelli dell’eolico, con una crescita di 5000 unità all’anno, oltre ad alcune decine di migliaia nel solare fotovoltaico e termico.

Secondo i dati del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, nei prossimi otto anni le rinnovabili potrebbero generare, se sostenute da opportuni investimenti, 11.540 nuovi posti di lavoro. L’International Energy Agency indica poi che l’impatto sociale dovuto all’inquinamento si riduce a 0,6 unità (per l’eolico, mentre per il fotovoltaico non supera le 0,25) in confronto a quello del carbone che raggiunge le 15 unità.

In Italia, dove alcuni settori manifatturieri hanno causato migliaia di decessi per inquinamento ambientale da sostanze cancerogene come diossina o amianto per citare solo le più note, il dato assume un peso importante.

Perché allora le rinnovabili non sono ancora viste come un’alternativa utile in Italia?

“Sul piano delle incentivazioni – spiega Meneguzzo – la sostenibilità economica degli investimenti può ancora reggere il passo; sono le normative “ambientali” particolarmente penalizzanti introdotte sia a livello nazionale sia a livello di gran parte delle Regioni italiane, ad aver ridotto sensibilmente il tasso di crescita delle fonti rinnovabili. Eppure, come dimostrano rapporti europei e articoli scientifici recenti, tecnicamente non esistono limiti alla diffusione delle fonti rinnovabili nel mercato elettrico”.

FONTE: pubblicogiornale.it

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