Processo Eternit: un ulteriore colpo mortale per questa nuova “vergogna di stato”

Il tema dell’amianto è molto sentito nelle pagine di questo blog, per averlo trattato sia in chiave storica , sia relativamente alle nuove, straordinarie soluzioni che in questi anni si stanno mettendo a punto per la sua bonifica ed inertizzazione.


Non posso non ritornare su questo dolorosissimo tema per il nostro paese, dopo la sconcertante sentenza della Corte di Cassazione, che in questi giorni ha annullato, causa prescrizione del reato, la sentenza di condanna per il magnate svizzero Stephan Schmidheiny nel processo Eternit.

L’imprenditore svizzero era stato condannato a 18 anni di carcere dalla Corte d’Appello di Torino per il disastro ambientale provocato dall’amianto negli stabilimenti Eternit e nei territori limitrofi ai siti italiani di Casale Monferrato (AL), Rubiera (RE) e Bagnoli (NA).

Si tratta dell’incredibile epilogo della lunga storia di un processo istituito in seguito all’azione legale collettiva promossa da circa 6000 persone che chiedevano il riconoscimento dei danni causati con la morte di circa 3000 persone che lavoravano e/o vivevano nei pressi delle installazioni Eternit in Italia di Casale Monferrato, Rubiera e Bagnoli.

I due imputati, Stephan Schmidheiny e il barone belga Cartier de Marchienne, nel frattempo deceduto, sono stati ritenuti responsabili diretti delle numerose morti per mesotelioma avvenute tra gli ex dipendenti Eternit e tra la popolazione, con l’accusa che aveva richiesto la pena massima di 12 anni di carcere, richiedendone ulteriori 8, dal momento che l’amianto può contaminare gli alimenti anche decenni dopo la loro esposizione.

Era il 4 luglio 2011, quando il tribunale di Torino, richiese quindi 20 anni di carcere sia per Schmidheiny che per Cartier de Marchienne, con l’istruttoria, protratta per cinque anni, che aveva determinato che i due erano effettivamente e oggettivamente responsabili di tutte le azioni societarie e industriali della Eternit negli anni ’70, accusa respinta dalla difesa degli imputati. E’ poi il 13 febbraio 2012 che il tribunale di Torino emette una sentenza storica, condannando in primo grado De Cartier e Schmidheiny a 16 anni di reclusione per “disastro ambientale doloso permanente” e per “omissione volontaria di cautele antinfortunistiche”, con l’obbligo di risarcimento alle circa 3000 parti civili oltre al pagamento delle spese giudiziarie. Il 3 giugno 2013 arriva anche la sentenza di appello con la quale la Corte d’Appello di Torino non solo conferma, ma aumenta la pena inflitta a Stephan Schmidheiny, portandola a 18 anni di carcere. Tutto questo per arrivare alla incredibile sentenza di annullamento di questi giorni, da parte della Corte Suprema di Cassazione, che ha annullato senza rinvio la sentenza di appello per sopravvenuta prescrizione del reato, scatenando ovviamente le durissime reazioni del mondo ambientalista, e non solo.

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Molte le reazioni delle associazioni ambientaliste come Legambiente, con il suo presidente Cogliati Dezza: “Rimaniamo sbigottiti e scandalizzati di fronte alla sentenza appena emessa dalla Corte di Cassazione. Di amianto si continua a morire e non va certo in prescrizione il dolore di chi continua a soffrire per la fibra killer. Questa sentenza doveva essere esemplare e di traino per la messa al bando dell’amianto a livello internazionale e invece si trasforma in una beffa per chi è stato esposto e per chi continua ad esserlo nei paesi in cui Eternit Spa ancora fa affari e continua ad estrarre e lavorare amianto“. Fa sentire la sua voce estrerrefatta anche il WWF, secondo il quale “si tratta di “un pericolosissimo “Cavallo di Troia” che rischia di inficiare tutti i prossimi processi che si faranno in Italia per disastro ambientale e di vanificare decenni di sforzi compiuti nella legislazione ambientale per garantire la sicurezza e la salute dei cittadini”.

Secondo il WWF infatti “è assurdo far passare questi concetti visto il disastro ambientale e sanitario, i danni ambientali e le sofferenze umane inenarrabili in un’area molto vasta che ha interessato Casale Monferrato e 48 comuni limitrofi con oltre 2000 vittime accertate dall’esposizione all’amianto ed un indeterminato numero di lavoratori e popolazione colpita”, chiedendo al Parlamento e al governo di modificare le leggi sui reati ambientali approvando finalmente la riforma del codice penale sui “Delitti ambientali”. Un capitolo davvero importante solo se si pensa ai lunghissimi tempi di latenza che l’inalazione di una singola fibra di amianto può avere, anche superiore ai 30 anni. Una prova tangibile di questo è fornita dai dati epidemiologici legati al terribile “mesotelioma pleurico”, un tumore inesorabile a carico della pleura.

Infatti, questa sindrome tumorale che, nel luogo simbolo della lavorazione dell’amianto in Italia come Casale Monferrato, vedeva 30 anni fa, con lo stabilimento Ethernit ancora operativo nel centro alessandrino, la già elevatissima cifra di 25 morti di mesotelioma ogni anno, oggi raddoppiati a 50 all’anno, in un centro di appena 35.000 abitanti ed oramai a 28 anni di distanza dalla chiusura del sito produttivo.

Ma la reazioni più commovente e toccante è quella della donna simbolo di questa incredibile vicenda, come Romana Blasotti, in questo articolo de La Stampa, dal titolo molto eloquente “non riesco più neanche a piangere“Una coraggiosa ultraottantenne di Casale Monferrato, Romana, che in questa incredibile vicenda ha perso, il marito, la figlia e la sorella e che da anni sta lottando con grandissimo coraggio contro tutto e contro tutti,.

Un’altra insopportabile vicenda italiana, nella quale la giustizia vera e non compiuta, rimane ancora inesorabilmente sconfitta, su di un tema nel quale si è cimentato anche il cinema: significativo il film documento “Polvere”, del regista Andrea Prandstraller, presentato qualche anno fa al “Clorofilla Film Festival” manifestazione sul cinema ambientale nell’ambito di Festambiente, il Festival nazionale di Legambiente. Significativa questa intervista al regista, che in quella occasione ebbi modo di avvicinare personalmente. Gravissima al riguardo, l’assenza delle televisioni italiane, dal momento che il film è stato finanziato da tre televisioni europee, nell’assoluta indifferenza delle reti televisive nazionali. Relativamente a “Polvere”, se ne consiglia vivamente la visione, anche dopo questo nuovo assurdo epilogo.

Una significativa intervista a Romana Blasotti di alcuni mesi fa, prima di questa ulteriore, gravissima ferita, dove lei auspicava come il 2014 dovesse essere l’anno della giustizia fatta.

Sauro Secci

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