Pneumatici online: sì al contributo ambientale
Tanti i rischi legati al mancato versamento, tra cui quello dell’abbandono illegale di PFU
Assicurare che tutti i flussi in entrata di pneumatici nel nostro Paese vengano registrati e finanzino con il contributo la gestione del fuori uso.
Così si è espresso, secondo un comunicato diffuso da Ecopneus, il Ministero dell’Ambiente sugli acquisti online di pneumatici, rispondendo all’interrogazione parlamentare presentata lo scorso giugno dal Presidente della Commissione Ambiente Territorio e Lavori pubblici della Camera, Ermete Realacci, e relativa alle modalità di applicazione del contributo ambientale associato all’acquisto degli pneumatici tramite canali web. Soddisfatto Ecopneus che sull’applicazione del contributo ambientale sugli pneumatici che arrivano sul territorio nazionale attraverso le vendite online insisteva da tempo. La società consortile è infatti convinta che si stia andando nella giusta direzione.
«La questione è di grande importanza – ha spiegato il Presidente di Ecopneus, Giovanni Corbetta – per evitare qualsiasi forma di evasione del contributo ambientale connessa con l’immissione di pneumatici nel mercato nazionale e le conseguenti forme di concorrenza sleale da parte di imprese straniere a danno di imprese italiane o estere, ma con presenza commerciale in Italia».
Secondo le stime presentate nell’ interrogazione dell’Onorevole Realacci, se anni fa le vendite di pneumatici online erano assolutamente marginali, oggi il settore copre il 3% del mercato e il mancato versamento del contributo ambientale ammonta a circa 5 milioni di euro. Tre le conseguenze prospettate da Realacci:
«Innanzitutto – si legge nell’interrogazione parlamentare – un mancato introito per l’Erario pari a 1 milione di euro, in ragione dell’IVA applicata al contributo. In secondo luogo, questo ingiusto vantaggio sul prezzo di vendita, ottenuto dalla mancata applicazione del contributo, comporta una distorsione della concorrenza che danneggia i produttori e gli importatori che applicano correttamente la legge e il contributo. Terza e ultima conseguenza consta nel fatto che questi pneumatici, non contabilizzati come immessi sul mercato, una volta giunti a fine vita ricadono sulla collettività, per la loro raccolta e trattamento, per un costo stimabile in circa 5 milioni di euro».
A ciò si aggiungerebbe anche il rischio che questa lacuna normativa possa innescare il fenomeno dell’abbandono illegale di pneumatici fuori uso (PFU) dal momento che, mancando il contributo di smaltimento, il gommista autorizzato al montaggio degli pneumatici non ne accetterebbe il ritiro. Per Corbetta la posizione presa dal Ministero dell’Ambiente sulla questione dimostra quanto lo Stato italiano sia “all’avanguardia nell’affrontare le sfide che la rivoluzione digitale sta portando nell’economia reale e nella vita quotidiana di imprese e cittadini”.
Secondo Ecopneus, regolamentare questa tipologia di operazioni commerciali potrebbe, avere dei significativi impatti positivi sull’intero settore del recupero dei PFU, un sistema che si basa sulla responsabilità di chi produce il bene “pneumatico”. Definendo le modalità di applicazione del contributo ambientale anche per gli pneumatici acquistati tramite canali web, sarebbe possibile stabilire correttamente le quote di responsabilità e assicurare il recupero di ogni pneumatico fuori uso generato in Italia, “a tutela dell’ambiente, della collettività e dell’economia nazionale nel suo complesso”.
Anche EcoTyre si è detto soddisfatto della risposta delle Istituzioni all’interrogazione parlamentare avanzata dall’On. Realacci.
«Siamo molto soddisfatti della risposta ottenuta dal Ministero dell’Ambiente – ha commentato il Presidente di EcoTyre, Enrico Ambrogio – sull’annosa questione che affligge il mercato degli pneumatici da ormai troppo tempo: la possibilità da parte di quei soggetti commerciali con sede all’estero che, operando attraverso canali web, non pagano il contributo ambientale per lo smaltimento degli pneumatici giunti a fine vita (PFU). Come se questi pneumatici non avessero lo stesso impatto ambientale rispetto a quelli venduti attraverso canali tradizionali».
FONTE | Rinnovabili.it