Le aspettative deluse della cattura della CO2

Molti si aspettavano un ruolo determinante della CCS nella riduzione delle emissioni: per la IEA questa tecnologia dovrebbe ridurre le emissioni di 7 miliardi di tonnellate con 130 installazioni operative al 2020. Ma le cose non stanno andando per il verso giusto: gli impianti funzionanti sono solo 8 e diversi progetti sono stati abbandonati.


I ssostenitori della CCS, la cattura e il sequestro della CO2, da anni ci dicono che mettere in campo in maniera massiccia questa tecnologia è indispensabile per la lotta al global warming, dato che le rinnovabili saranno ancora per molto troppo costose per farsi carico da sole della riduzione delle emissioni necessarie. A fine 2011 il fotovoltaico ha superato i 70 GW di potenza installata, svolge un ruolo ormai da protagonista in diversi mercati elettrici, ha dimezzato i costi in un anno sfiorando o raggiungendo la grid parity in alcune situazioni, mentre l’eolico conta oltre 238 GW installati e in diverse aree riesce già a competere economicamente con il carbone. La CCS invece non sembra ancora in grado di uscire dalla”fase dimostrativa”: nel mondo ci sono solo 8 progetti operativi e 8 in fase di costruzione e non sembra si stiano facendo progressi sulla questione costi e criticità di varia natura.

A certificarlo l’ultimo report di un’istituzione nata proprio per sostenere questa tecnologia, il Global CCS Institute (vedi allegato, pdf). La cattura della CO2 insomma non si sta dimostrando all’altezza delle aspettative, che per alcuni erano piuttosto alte. La International Energy Agency (IEA), per esempio, nel suo scenario “2DS” conta sulla CCS per 7 dei 49 miliardi di tonnellate di emissioni da tagliare per riuscire ad avere buone probabilità di fermare il riscaldamento globale entro la soglia critica dei 2°C di aumento delle temperature. Perché ciò si avveri, spiega il Global CCS Institute, al 2020 dovrebbero esserci almeno 130 progetti di CCS operativi. Al momento invece di operativi ce ne sono 8. A questi sono da sommare altri 8 in fase di realizzazione. Che si arrivi a 130 al 2020 è dunque praticamente impossibile: la previsione del report è che per quell’anno i progetti operativi siano 51.

Affinché lo scenario IEA sulla CCS si avveri servirebbe un miracolo. Nonostante il carbone pulito sia sostenuto attivamente nei piani delle grande potenze economiche ben 8 progetti sono stati annullati l’anno scorso: a fine 2010 il totale dei progetti, contando sia quelli ancora sulla carta che quelli già avviati, era di 79, a fine 2011 è sceso a 75. A oggi la quantità di anidride carbonica che potrebbe essere sequestrata, tra progetti attivi e pianificati, rappresenta appena lo 0,5% delle emissioni derivanti dalla produzione di energia nel 2010.

Secondo il Global CCS Institute bisogna accelerare gli investimenti del Governo e dell’industria in progetti dimostrativi per sviluppare la tecnologia, ridurre i costi, condividere il know-how in particolare con Paesi non-OCSE, dove ci si aspetta avvenga il 70% della diffusione delle tecnologie CCS entro il 2050. Nonostante gli investimenti, infatti, secondo l’istituto di ricerca sono ancora troppo alti i costi aggiuntivi legati alla realizzazione di un impianto di cattura e stoccaggio della CO2 in una centrale energetica.

Secondo un recente studio della International Energy Association, citato nel rapporto del WorldWatch Institute su Vital Signs Trends, aggiungere un impianto di CCS a una centrale a carbone fa aumentare i prezzi medi dell’elettricità tra il 39 e il 64%. Per le centrali a gas naturale ci sarebbe un incremento dei costi del 33%. Aumenti che costituiscono un forte deterrente.

A spingere la CCS potrebbe essere solo una decisa legislazione ambientale. Ma, proprio per questo motivo, il Worldwatch Institute nel suo report fa notare che, prima di andare verso uno sviluppo incondizionato del settore, è necessario prendere in considerazione alcune preoccupazioni di carattere ambientale. Se alcuni scienziati e rappresentanti dell’industria sostengono che la CO2 possa essere stoccata senza rischi per centinaia di migliaia di anni, restano comunque diverse perplessità. Recenti analisi su acque e terreni vicini a siti di stoccaggio, hanno rivelato piccole fughe e concentrazioni crescenti di anidride carbonica. Altre preoccupazioni sono legate ai consumi idrici: secondo dati del Dipartimento dell’Energia americano le centrali a carbone che usano tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2, rispetto a quelle tradizionali, consumano tra l’87 e il 93% di acqua in più per MWh prodotto. Preoccupazioni suscita anche la possibilità di contaminazione dell’acqua potabile. Infine, i procedimenti per la cattura e lo stoccaggio della CO2 comportano grossi consumi energetici che possono causare una diminuzione dell’efficienza delle centrali che, nel caso degli impianti a carbone, può arrivare fino al 20-25%.

FONTE | qualenergia.it

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