Terreni marginali: il futuro è nel pascolamento caprino

Son bastati due anni – due anni di studi scientifici accurati – per confutare una credenza errata ma radicata nei millenni: le capre al pascolo fanno danno? Neanche un po’, se le si conduce con cognizione di causa, dove, quando e come è opportuno fare. Sono le conclusioni a cui è arrivata la ricerca “L’allevamento della capra di razza Cashmere – problematiche e prospettive”, realizzata dall’Università di Firenze


(Prof. Anna Acciaioli; Lapo Tardelli) e presentata sabato scorso in un affollato convegno presso il Municipio di Radda in Chianti, presente il primo cittadino Alessandro Aterini.

Il progetto, caratterizzato, da una forte multidisciplinarietà ha richiesto il coinvolgimento di competenze e realtà diverse: oltre al Diba (Dipartimento di Biotecnologie Agrarie) dell’Università di Firenze, le due aziende in cui sono stati condotti i test (le aziende agricole “La Penisola” di Nora Kravis, proprietaria degli animali, e “La Petraia” di Marco Panichi), il Cra (Centro Ricerca Selvicoltura) di Arezzo e la Dream Italia (società cooperativa per lo sviluppo rurale sostenibile).

All’incontro, presieduto dal dirigente della Regione Toscana Carlo Chiostri (responsabile settore promozione dell’innovazione e sistemi della conoscenza) hanno partecipato operatori convenuti anche da altre regioni – molti i giovani! – che stanno valutando l’opportunità di avviare un’attività economica “nuova” basata sulla duplice attitudine di questi animali: quella di produttrici di una fibra cashmere che non ha nulla da invidiare alle migliori realtà mondiali e quella di “tosaerba naturali”, straordinaria alternativa all’uso di mezzi meccanici (i cosiddetti “trinciatutto”) che impegnano maggiori risorse economiche, inquinano (gasolio) e costringono anno dopo anno al loro uso.

Lo studio sul pascolamento di capre di razza Cashmere come strumento per la gestione sostenibile e la valorizzazione delle aree marginali non poteva avere una migliore collocazione territoriale che in questo angolo del Chianti senese, che – oltre ad ospitare alcune delle eccellenze vitivinicole di questa Doc – è caratterizzato da un territorio aspro e boschivo, in cui le peculiarità di questi animali trovano l’ambiente ideale per esprimersi.

Questa razza, adattata a sopravvivere nell’estrema variabilità ambientale e climatica della montagna, resiste agli inverni rigidi perché protetta dalle straordinarie proprietà di isolamento termico del sottovello, appunto il cashmere.

Il comportamento alimentare tipico della specie la rende capace di utilizzare tutte le risorse, e quindi di valorizzare le aree marginali della collina e della montagna dove è sempre più difficile trovare delle valide alternative economiche; nel contempo, qualora non venga gestita in maniera razionale la rende anche responsabile di danni alla vegetazione.

Gli studi effettuati negli anni 2010 e 2011, a seguito di finanziamenti erogati della Regione Toscana, ed oggetto del convegno, hanno avuto lo scopo di individuare corrette tecniche di gestione della razza in realtà marginali del territorio del Chianti senese, utilizzando le risorse naturali di prati e boschi degradati (il pascolamento garantisce nel tempo l’eliminazione delle infestanti, a vantaggio delle erbe spontanee e dello stesso suolo ed è un prezioso baluardo contro la propagazione degli incendi), ma anche alcuni sottoprodotti agricoli (potature di olivi), riducendo i costi di gestione del territorio e dando nel contempo una fonte di reddito alternativa in un’ottica di sostenibilità e multifunzionalità delle aziende agricole.

Il progetto, cofinanziato dal Comune di Radda in Chianti, ha portato a sottolineare l’assoluta sostenibilità ambientale per il territorio del pascolamento sulla biodiversità vegetale e animale la sostenibilità economica per l’allevamento stesso.

L’area di studio
Il territorio comunale di Radda in Chianti si estende per 80,56 km2 ed è posto sulle colline che occupano il tratto iniziale della valli dell’Arbia e della Pesa. Il dislivello altimetrico va da un minimo di 280mt s.l.m. nei pressi dell’abitato di Lucarelli fino ad un massimo di 845mt s.l.m. presso la vetta del Monte Querciabella; il capoluogo è posto a quota 535mt.

La capra Cashmere: morfologia e attitudine

È una razza (insieme di popolazioni) che si avvicina molto allo stato selvatico della specie, caratterizzata da:
– taglia medio-piccola (maschi 60-100kg, femmine 30-40kg)
– mammelle piccole ed alte, non ingombranti (produzione latte: 0,43-0,80 kg/capo/dì)
– prolificità medio-bassa (riferito alla specie)
– produzione di sottovello (cashmere) 200-350g di fibra grezza/anno/capo

La fibra

Il pelo è costituito da 2 tipi di fibra:
– il vello primario (giarra) caratterizzato da peli lunghi, lucidi e robusti
– il vello secondario (sottovello) più corto e molto fine

Alimentazione e qualità della fibra

L’uso di integrazioni alimentari con concentrati non incrementa la produzione di cashmere.
Le migliori produzioni, sia in qualità che in quantità, sono ottenute con diete ad elevato contenuto in fibra e bassa % di proteine.

Diversamente dalle capre destinate ad altre produzioni (latte e carne) possono essere adottati piani nutrizionali che prevedano un ampio impiego di alimenti poveri quali le risorse naturali spontaneee (foraggi grossolani) e sottoprodotti agricoli (paglie e potature).

Fatte quindi le debite premesse sulle peculiarità del comportamento alimentare di questi animali, lo studio ha ben sottolineato quanto sia necessaria la massima attenzione a che il loro pascolamento non arrechi danni agli ecosistemi più sensibili (bosco).

La gestione degli animali nel bosco deve seguire rigorosamente le disposizioni legislative e in particolare l’articolo n. 65, comma 1 del Regolamento di Attuazione della Legge Regionale n. 39 “Legge forestale della Toscana” che enuncia quanto “le specie ed il numero di animali da immettere al pascolo e le modalità dello stesso dovranno essere commisurati alla effettiva possibilità di pascolamento e in modo da evitare danni ai boschi, ai pascoli e ai suoli, sia sotto l’aspetto pedologico che idrogeologico”.

Descrizione del progetto

Scopo


– Ottimizzare l’utilizzo delle risorse spontanee e di alcuni sottoprodotti agricoli, valorizzandoli attraverso una produzione di pregio quale quella del cashmere
– Valutare tali risorse alimentari e la loro rispondenza alle esigenze fisiologiche e produttive degli animali
– Mettere a punto tecniche di allevamento e di alimentazione che massimizzino i benefici sui sistemi degradati evitando i danni sui sistemi più sensibili del territorio.

1. Studio dell’impatto del pascolamento

Effetto sui sistemi vegetali

Aree studiate:
B0 Bosco vergine sottoposto al pascolamento per 1 anno
B2 Bosco pascolato da 2 anni
B4 Bosco pascolato per 4 anni e a riposo da 1 anno
A Pratopascolo degradato invaso da arbusti

Effetto sulla biodiversità
Rilievo della presenza di specie di uccelli indicatrici

2. Valutazione del pascolo e delle risorse alimentari integrative
– Prove di simulazione di pascolo ed analisi delle essenze – stima degli apporti alimentari del castagneto
– Prove di utilizzo delle potature di olivo

3. Rilievo delle performance degli animali e verifica del soddisfacimento dei fabbisogni nutritivi

Risultati dele prove sperimentali
si rimanda alla lettura dell’allegato pdf (1Mb; pagg. 9-10; 15-33), scaricabile da qui

Considerazioni conclusive e linee guida

Rendere economicamente sostenibile l’allevamento è il presupposto per mantenere la presenza dell’uomo nelle aree più marginali del territorio, con benefici evidenti e noti ormai a tutti.

Anche la biodiversità, risulta favorita quando il pascolo crea diversificazione dell’ambiente (aree pascolate e no).

Indispensabile risulta la turnazione degli appezzamenti a pascolo, siano essi prati o boschi, non insistendo per lunghi periodi sulla stessa superficie si evitano danni alla componente arborea, perché gli animali vengono attratti principalmente dalle erbe e dagli arbusti, che risultano i più appetiti.

Il forte impatto del pascolamento sulla componente arbustiva può essere considerato uno strumento valido per il recupero di pascoli abbandonati e quindi degradati per la presenza di arbusti infestanti in quanto le capre cashmere hanno mostrato di appetire essenze scarsamente attrattive o addirittura tossiche per le altre specie domestiche (ginepro, prunus, biancospino).

La componente erbacea risulta tuttavia quella maggiormente asportata, ma un anno di riposto consente il recupero della stessa (a differenza di quanto accade per gli arbusti).

Molto interessanti e degni di approfondimento appaiono i risultati sul valore nutritivo delle foglie di essenze arboree e arbustive, ma in particolare delle potature di olivo, pratica che potrebbe risolvere il problema del loro smaltimento e della scarsità di pascolo, in particolare nel periodo invernale.

Il controllo degli animali e del loro stato corporeo (Bcs) risulta il metodo migliore per adattare la dieta ai fabbisogni degli animali, eventualmente integrandola con fieno o concentrato, qualora il pascolo non sia sufficiente per quantità o qualità.

Nel convegno sono stati presentati anche gli studi sulla “Qualità della fibra di capra di razza Cashmere” (Primo Brachi del laboratorio di analisi prove e ricerche tessili “Brachi Engineering”) e sui “Trattamenti con prodotti fitoterapici nella capra Cashmere” (dott Giuseppina Brocherel e Giovanni Ragioneri del Centro di Medicina Integrata Veterinaria Sezione di Arezzo e Sezione di Siena – Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle regioni Lazio e Toscana).

L’incontro è stato chiuso da Annamaria Bettiassessore all’agricoltura della Provincia di Siena, che ha spaziato sulle varie tematiche relative alla valorizzazione, alla promozione e alla salvaguardia dei prodotti e del territorio e alle prospettive occupazionali che il progetto lascia intravedere, attraverso l’istituzione della figura di “pastore professionista”.

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