Taxi, a Milano la protesta contro l’app Uber
Permette di trovare auto nei paraggi, senza tassametro e a costo fisso. L’app Uber spaventa le corporazioni. In rivolta.
Dove si è fermato Pier Luigi Bersani, dove non ha osato Mario Monti, è arrivata la rivoluzione tecnologica. Il 20 marzo i tassisti milanesi sono scesi di nuovo in piazza a protestare contro l’ennesima sfida alla categoria.
Questa volta incarnata non in un governo, in un decreto o in un ministro, ma nella faccia giovane di Benedetta Arese Lucini, general manager 29enne di Uber Italia, la start up miliardaria che sta rivoluzionando i trasporti urbani in decine di città del globo
UBER, PROGETTO NATO NEGLI USA.
Nata a San Francisco, Uber è una app che mette in contatto i passeggeri con i conducenti delle auto a noleggio, funzionando esattamente come gli altri portali della sharing economy, cioè sfruttando la rete e il modello social per far incontrare domanda e offerta in tempo reale e rendere più efficiente il mercato. Basta scaricare la applicazione sul proprio smartphone, inserire il proprio numero di telefono, la propria posizione e la destinazione desiderata tramite Gps per trovare un autista disponibile.
Le auto di Uber non usano il tassametro, hanno un costo fisso di cinque euro e poi si pagano 1,7 euro al chilometro a una velocità inferiore ai 18 chilometri all’ora, cioè quando si incontra traffico, ma si possono noleggiare anche auto per più persone, si conosce già il prezzo in anticipo e la affidabilità del conducente che come in tanti altri portali riceve un feedback e è valutato dai clienti.
MA I TAXI SONO PIÙ ECONOMICI, IN TEORIA.
Il paradosso è che in media si tratta di un costo superiore a quello delle normali auto bianche. Il portale del comune di Milano infatti informa che il servizio diurno dei taxi ha un costo fisso di 1,28 euro con un parametro base della tariffa di 0,41 euro per chilometro. I tassisti che avevano protestato anche a febbraio 2014, muniti di megafono, fumogeni e petardi, hanno chiesto e ottenuto la mediazione del prefetto, ma nel tempo del car sharing la loro battaglia sembra essere quella di Don Chisciotte intenti a lottare contro i mulini a vento.
Le liberalizzazioni spuntate di Bersani e Monti
È da anni che i taxi protestano contro le proposte di liberalizzazione destinate ad allargare la platea delle licenze costate, in qualche caso, fino a 200 mila euro. Nella calda estate del 2006, i tassisti furono i più acerrimi tra i nemici delle lenzuolate di liberalizzazioni proposte da Bersani. Di fronte al ministro dello Sviluppo economico che chiedeva di aumentare le auto bianche in circolazione, i tassisti riuscirono a bloccare Roma, assediando il Campidoglio e convincendo l’allora sindaco della Capitale, Walter Veltroni, a fare da mediatore. Alla fine, nella notte del 17 luglio, l’accordo fu trovato e la competenza per eventuali assegnazioni di nuove licenze fu assegnata ai comuni, teoricamente capaci di valutare le esigenze del territorio.
IL BIS DEL PROF. Liberalizzazioni spuntate, disse qualcuno, ma tant’è. E il copione venne replicato sei anni dopo con il governo Monti, ancora convinto della necessaria apertura alla concorrenza del settore. A gennaio 2012, il nuovo decreto sulle liberalizzazioni non era nemmeno stato presentanto, che i tassisti avevano già riempito le strade. Anche allora vinse la mediazione. Finì con l’istituzione dei permessi part time e con la competenza dell’autorità dei trasporti sulle licenze, ma i due punti che i tassisti difendevano, cioè la territorialità e il no al cumulo dei permessi, vennero rispettati. Sulla Rete, però, le proteste preventive furono accolte con insofferenza. E già questo poteva essere un segno della distanza crescente tra utenti e categoria. Lo sviluppo del web, della sharing economy e del consumo collaborativo hanno fatto il resto.
La protesta contro Uber è diventata globale
L’irruzione sulla strada, letteralmente, di Uber e di servizi simili di auto a noleggio e di car sharing hanno provocato il blocco dei taxi anche in altri Paesi, a partire dalla Francia dove a febbraio i tassì hanno paralizzato Parigi.
I francesi esattamente come gli italiani lamentano concorrenza sleale. In particolare i tassisti italiani sostengono che Uber violi la legge quadro sui trasporti pubblici, la 21 del 1992. Le auto a noleggio dovrebbero partire dalle rimesse, non dalla strada, è l’accusa che rivolgono ai conducenti della start up. Ma la società rimanda al mittente la denuncia, spiegando come attraverso la app le corse vengano prenotate come previsto dalla normativa. Dietro alla contesa, però, c’è l’evoluzione delle richieste degli utenti della strada e una nuova cultura del consumo, per una volta incentrata proprio sulla competitività e sul giudizio del cliente. Difficile spiegarlo ai tassisti napoletani che a febbraio hanno protestato anche contro gli incentivi alle auto elettriche.
LA LOTTA SULLA LEGGE 21/92. Il risultato dello sciopero del 20 marzo dà un’idea della posta in gioco. Di fronte alle proteste delle centinaia di tassisti milanesi, il prefetto Francesco Paolo Tronca ha assicurato la «piena disponibilità» ad affrontare il problema e a sollecitare un intervento per «definire i criteri» di applicazione della legge del 1992. L’obiettivo, secondo il comunicato dei tassisti, è avviare un progetto di «miglioramento del servizio che tuteli la legalità, nella consapevolezza dell’importanza del servizio pubblico, tenendo conto delle innovazioni tecnologiche».
Sarà. Uber, intanto, ha fatto la sua mossa. Tutte le volte che ci sarà sciopero dei taxi, le tariffe dei suoi veicoli si abbasseranno del 20%. La categoria è chiamata a misurarsi su cifre e parametri concretissimi e come lei lo Stato che gestisce le licenze. Altrimenti tassisti rischia di fare rima con luddisti, e potremmo ritrovarli presto a rompere gli smartphone.