TAV o NO-TAV: ce lo spiegano il buon senso e il vecchio Marx
Agli albori dell’agire consumistico in piena era industriale ci fu chi ci mise la testa, gli occhi e le mani e formulò postulati sperimentali con progressioni futuribili pregne di visioni e di lungimiranza.
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Non si poteva certamente a metà ‘800, sperimentare, con tangibile misura, la deriva finanziaria che il capitale, nascente dalle ceneri e dai fumi delle acciaierie, avrebbe avuto trascinando con sè in poco più di 100 anni (divenuti ai tempi d’oggi un’era geologica) l’intera borghesia lavoratrice. Ma non si poteva neanche pensare che tale deriva, onda dopo onda, riguardasse anche le classi imprenditoriali e dirigenti liquefatte dai loro stessi interessi.
Liquidi alla Bauman, gli interessi smodati di costoro dal fordismo in poi, hanno finito per contagiare ogni classe sociale e il tutto finalizzato al reperimento della felicità seguita dall’infelicità a seguito dell’atto di acquisto di una merce.
A nulla è servito celare le insoddisfazioni pompate e drogate da pubblicità ingannevoli nei mass media, bombardati nell’essere, ci ritroviamo tutti quanti a decidere le sorti di denaro contante e capitali sempre più liquidi che scivolano da un contenitore all’altro, evaporando a ogni passaggio aumentando in modo insostenibile la spirale del debito.
In Italia, culla della civiltà, si sta per decidere le sorti di un intero ennesimo paesaggio naturale nella splendida Val Susa e si ha paura, anzi vergogna indotta, a dire No all’ennesimo insulto infrastrutturale, che, al di là dei piloni di cemento armato e le colate immani di ferro nei canyon di scavi in fondazione, dovrebbe servire allo sviluppo dell’intero paese.
Oltre 2 miliardi di euro di cui circa la metà riversabili sul fronte italiano di cui, di questa metà, l’Europa si impegna a opere ultimate, a pagare una piccola quota percentuale: insomma la pagheranno i nostri figli a debito.
Ma è proprio l’anima della deriva capitalistica, il debito, che prenderebbe ora la forma di ferrovia per merci a piloni e campate prefabbricate chilometriche: lui, il debito, continua diabolicamente a bramare alle spalle e rinnegare la sua progenie capitalistica.
La crescita economica infatti, si è retta per un secolo sul paradigma Merce-Denaro-Merce.
Il fine della produzione capitalistica industriale non era e non lo è stata per decenni il Denaro, ma le molteplici forme che lo stesso ha potuto assumere nel finale M-D: da Merce prodotta a Denaro da reimpiegare immediatamente in testa al ciclo M-D-M.
Si è cresciuti alimentando la sete di Merci privatizzando il tempo libero e vendendo TV alle masse azzerando i momenti di aggregazione e confronto tra individui fino a far credere che anche il progresso e il benessere fossero utopie realizzabili grazie solo alla crescita economica e alla produzione di merci.

Nelle sue vene dovevano però fluire treni di merci: MDM, MDM, MDM, MDM vibranti e ritmati battiti che generavano botte pazzesche di incrementi di Prodotto Interno Lordo.

A un certo punto il fine ultimo dell’imperatore capitalista non è stato quello di produrre Merci ma la liquefazione del sentire industriale, prediligendo il paradigma Denaro – Merce – Denaro.
Soppiantando il precedente paradigma Merce Denaro Merce (MDM), il nuovo sentire produttivo ha di fatto finalizzato tutto l’assetto produttivo compresi i lavoratori e le loro famiglie l’intera classe proletaria, alla produzione di capitali col solo fine di reinvestirli per la produzione di altri capitali : non c’è stato più alcun bisogno di alimentare la produzione di Beni nè quella di Merci ma il Denaro diveniva, e resta sempre fermamente tale, il fine di se stesso l’Alfa e l’Omega della Società capitalistica.
Questo nuovo sentire, il mantra per Confindustria, ha anche raso al suolo ogni possibilità di nuovi posti di lavoro, mandando a saturazione quelli necessari all’attuale assetto produttivo: la delocalizzazione in paesi in via di sviluppo e in Cina non fa altro che confermare tutto ciò.
L’inferno Dantesco rappresenta mirabilmente come nel trapasso da una vita terrena a quella eterna dell’aldilà, chi si sia macchiato di peccati ed eccessi spetta una pena di contrappasso: condannato per l’eternità a fare l’opposto di quanto bramato e condotto in vita.
Il paradigma D-M-D non ha fatto altro che ridurre anno dopo anno il desiderio di beni focalizzando tutta l’attenzione del consumatore sull’acquisto sconsiderato di merci: le merci sono divenute i nuovi beni desiderati, tanto agognati quanto ingombranti e vilipesi a partire dall’istante successivo all’atto dell’acquisto per “questioni” di moda, obsolescenza programmata o semplice noia indotta.
La circolazione semplice delle merci comincia con la vendita e finisce con la compera; la circolazione del denaro come capitale comincia con la compera e finisce con la vendita. Là è la merce a costituire il punto di partenza e il punto conclusivo del movimento; qui è il denaro. Nella prima forma la circolazione complessiva è mediata dal denaro, nella seconda, viceversa, dalla merce.
Il ciclo M-D-M comincia da un estremo, che è una merce, e conclude con un estremo, che è un’altra merce, la quale esce dalla circolazione per finire nel consumo. Quindi il suo scopo finale è consumo, soddisfazione di bisogni, in una parola, valore d’uso. Il ciclo D-M-D comincia invece dall’estremo denaro e conclude ritornando allo stesso estremo. Il suo motivo propulsore e suo scopo determinante è quindi il valore stesso di scambio.
Il mio personale NO TAV non può che essere frutto di un’ oggettiva analisi dell’andamento della produzione e consumo di merci: No tav perché non ci sono merci nè è possibile continuare a usare i cittadini come merci, come strumento o mezzo per produrre altro denaro.
I fautori liberisti a oltranza col paravento delle madamin hanno provato in extremis a orientare l’opinione pubblica sostenendo che la TAV sia indispensabile per trasportare merci: contraiamo debito per le generazioni future condannandole ad acquistare a debito sempre più merci col preciso fine di saldare il gap e giustificare l’enorme esborso per la realizzazione della TAV imposto loro, ai nostri figli e nipoti, da noi loro genitori e zii e nonni: Basta irresponsabilità e ipocrisia!

Ciò che serve, i beni, non ha un volume tale da coinvolgere la massa di consumatori nè tale massa critica oggi ha più il desiderio nè spinte all’acquisto tali da giustificare i milioni di tonnellate di merci all’anno da far trapassare tra Italia e Francia.
Una pletora di consumatori individualisti sulle cui pulsioni individuali i fautori della crescita hanno puntato e continuano a puntare, oggi insoddisfatti di tutto, risultano condannati al contrappasso e di fatto svuotati di ogni potere d’acquisto ancor più marcatamente, scevri di desideri di crescita: da queste ceneri potrà forse rinascere il desiderio di rinascere e ritrovarsi nella collettività e di godere del tanto benessere da essa derivante.
Non essendo più di massa perchè non frutto di esigenze collettive né diffuse, ciò che desideriamo davvero non ha necessità dunque di arrivare subito a 200 km/h né può essere trasportato in bastimenti perché non c’ è richiesta tale che riempia i bastimenti, essi viaggerebbero vuoti con costi enormi o attenderebbero per viaggiare il loro riempimento e non sarà più possibile tornare indietro restituendo all’UE il debito già caricato sulle spalle dei nostri figli da loro per mano nostra.
Francesco Girardi