Stava 30 anni dopo: un’altra grande tragedia “alpina” nel segno di imperizia, imprudenza e negligenza umana
Un triste destino accomuna le nostre Alpi centrorientali a cavallo fra Trentino, Veneto e Friuli Venezia Giulia. Proprio due anni fa, in occasione del cinquantenario, avevo cercato di approfondire a modo mio, di una delle più grandi tragedie dovute alla cupidigia umana che l’umanità ricordi, come quella del Vajont, avvenuta il 9 ottobre 1963 (vedi post “Vajont cinquant’anni dopo: dove osa la cupidigia umana“). Una tragedia, quella del Vajont, preceduta da altri significativi eventi franosi di avvertimento come quello della vicina diga di Pontesei, avvenuta il 22 marzo 1959 (link “Progetto Dighe” – diga di Pontesei).
Torno ancora una volta, tristemente, nelle nostre alpi centro-orientali, a poche decine di chilometri dal Vajont, per approfondire un’altra grande tragedia per l’umanità avvenuta trenta anni fa, il 19 luglio 1985 esattamente alle ore 12: 22′:55”, nella stazione climatica alpina di Stava, nel comune di Tesero (TN), proprio nel pieno della stagione turistica estiva, elemento quest’ultimo che ha aggravato il bilancio delle vittime. Si tratta di uno dei più gravi disastri al mondo dovuti, in questo caso non ad una frana in diga ma di un crollo di due discariche liquide fanghi di risulta di miniera, ubicate nella parte
La distruzione della valle dopo il disastro (fonte Wikipedia)
sovrastante l’abitato, che provocò ben 268 morti (di cui 59 di età inferiore ai 18 anni e 13 vittime mai ritrovate) oltre ad ingenti danni con 62 edifici distrutti(molte strutture alberghiere) e la demolizione di ben 8 ponti. Oggetto del crollo, due bacini utilizzati per accumulare e essiccare le scorie e i fanghi di risulta dell’estrazione di fluorite dalla miniera ubicata sulla montagna di Prestavel (foto di archivio a destra). Una miniera, quella di fluorite del Prestavel, sfruttata saltuariamente fino dal XVI secolo per la produzione di galena argentifera. Fu poinel 1934 che fu accertato l’interesse estrattivo per alcuni filoni di fluorite presenti. Per questo, dopo la seconda guerra mondiale, fu la società Montecatini, alla quale subentrarono fino al 1978 società del gruppo Montedison e quindi dei gruppi EGAM ed Eni a gestire la concessione mineraria. Dal 1980 al 1985 infine, la gestione passò alla società Prealpi mineraria. Il primo bacino di decantazione, quello a quota inferiore, fu costruito dal 1961 al 1969, mentre proprio nel 1969 fu deciso di costruire un secondo bacino ad una quota superiore al primo. Si tratta di dighe in terra, costruite semplicemente separando materiale grossolano da acqua e fango, e utilizzando sabbia, ciottoli e rocce come materiale per rinforzarlo, metodologia corrispondente ad una costruzione economica, ma adeguata solo per bacini di piccole dimensioni. Fu nel 1974 chel’amministrazione comunale di Tesero richiese un controllo di sicurezza e stabilità per i due bacini, il controllo, condotto nel 1975. In quel controllo, oggi considerato incompleto, si arrivò alla conclusione che il gradiente di inclinazione delle dighe era “straordinario” e la stabilità della costruzione “ai limiti”. A fronte di questo la compagnia mineraria titolare della concessione, fornì una relazione positiva per la sicurezza alle autorità di controllo, a seguito della quale la diga negli anni successivi, fu addirittura incrementata in altezza con il pirmo bacino, quello più a valle, che passò dagli iniziali 9 metri fino a ben 25 metri, con l’unico compromesso mitigatorio della riduzione dell’inclinazione, la quale fu ridotta ad un valore massimo di 4 °. Con la dismissione dell’attività mineraria, tra il 1978 e il 1982 i due bacini vennero posti fuori esercizio, ma dal 1982 al 1985, riutilizzati per accogliere le scorie della miniera. Anni fatali questi ultimi, nei quali i due bacini non vennero controllati, né dalla società mineraria, né dalla pubblica amministrazione responsabile per le attività estrattive della Provincia di Trento. Quel terribile 19 luglio 1985, fu la diga superiore a crollare per prima, impattando sul bacino inferiore e causando un micidiale “effetto domino” su quest’ultima.
I resti delle due vasche viste dall’alto dopo il crollo (figura da LUCCHI 1995)
Furono ben 180.000 i metri cubi di fanghi, sabbia ed acqua, nell’ambito del volume totale di 300.000 metri cubi dei due bacini, rilasciati in 50 secondi nella valle di Stava e verso il paese di Stava, alla impressionante velocità di 90 km/h, incorporando nella terrificante ondata di colata, ulteriori 40.000-50.000 metri cubi nel flusso verso il centro abitato, arrestando il suo cammino tre minuti dopo, raggiungendo il fiume Avisio a 4 chilometri di distanza dal luogo del disastro e lasciando distruzione assoluta e lacrime lungo il suo cammino. Di seguito le ancora più agghiaccianti immagini della zona vista dall’alto, prima (a sinistra) e dopo il distruttivo evento franoso (a destra).
Immagine aerea della Valle Stava prima e dopo il disastro (fonte W.I.S.E.)
La successiva inchiesta sul disastro ha confermato l’assoluta negligenza negli scarsi controlli effettuati, individuando la causa del crollo della diga superiore in una perdita d’acqua da una condotta del bacino, utilizzata per il drenaggio dell´acqua, piegato dal peso dei sedimenti accumulati nel bacino, con la conseguenza che la pressione dell’acqua crescente nella diga, in combinazione con la saturazione d’acqua dei sedimenti, ha determinato probabilmente la catastrofe. Davvero spettrale l’atmosfera che si legge nel piccolo cimitero di Stava, dove mi recai, passando da quelle parti, pochi anni dopo la catastrofe. Ancora un’altra grande tragedia dovuta alla sordità umana nei confronti del nostro pianeta, che ci riporta ancora una volta ai grandi segnali contenuti nella recente enciclica di Papa Francesco “Laudato sì” (vedi post “Nuova Enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco: crisi ambientale e crisi sociale sono due facce della stessa medaglia“). Ogni volta che approfondisco una delle tante tragedie ambientali, determinate da sfruttamento indiscriminato delle risorse e dei territori, avendo operato per una intera vita lavorativa nell’ambito del monitoraggio ambientale, è indelebile in me il ricordo di un anziano ingegnere votato oramai, in età matura, alla “giurisprudenza” e grande esperto di legislazione ambientale, che in quei tempi pionieristici per le problematiche ambientali (anni ’80-’90), rivolgendosi a noi giovani di allora, non si stancava mai di ricordarci quali erano i tre peccati capitali che, insieme alla dolosità ed alla malafede, sono alla base di un reato ambientale, così tristemente presenti anche nella tragedia di Stava:
- “Imperizia”: intesa come mancanza di esperienza e di competenza, essendo richieste specifiche conoscenze di regole scientifiche e tecniche dettate dalla scienza ma anche dall’esperienza;
- “Imprudenza”: insufficiente ponderazione di ciò che l’individuo è in grado di fare, violazione di un a regola di condotta, codificata o lasciata al giudizio ed alla soggettività del singolo;
- “Negligenza”: trascuratezza, mancanza di tempestività e di sollecitudine o un comportamento passivo che si traduce in una omissione dell’attuazione di determinate precauzioni.
Il trentennale della tragedia di Stava non poteva certo non essere occasione di una serie di eventi dai profondi significati scientifici e di valore testimoniale. Infatti il 23 giugnoscorso a Milano, presso l’Auditorium della Fondazione Cariplo è stato presentato il libro diDaria Dovera “Stava – Incultura Imperizia Negligenza Imprudenza”. Il 15 luglio scorso, è stata poi la volta di un convegno dal titolo “Etica e responsabilità professionale”, organizzato sui luoghi del disastro, presso il Palafiemme di Cavalese, oltre ad una serie di eventi scientifici di grande livello, organizzati da AIGA (Associazione Italiana Geologia applicata all’Ambiente), Fondazione Stava 1985, Ordine degli ingegneri della Provincia di Trento nella settimana del 15 al 19 luglio, su progetto, gestione e controllo dei riempimenti di terra, realizzazione di bacini di decantazione, colmate e discariche, oltre al tema della sicurezza dei rifiuti delle attività estrattive. Il 16 luglio infine, l’Ordine dei Geologi del Trentino Alto Adige, in collaborazione con il MUSE (Museo delle Scienze) di Trento, ha organizzano una escursione guidata che ha ripercorso il Sentiero geologico del Dos Capel ed il Sentiero della Memoria. Una altra tragedia di importanza fondamentale da divulgare alle nuove generazioni, anche nei nuovi piani di educazione ambientale previsti dal ministero (vedi post “Educazione ambientale: finalmente diventa materia a scuola e la mia mente ritorna…“), la cui memoria è oggi portata lodevolmente avanti dalla “Fondazione Stava 1985” (link sito), voluta fortemente dai familiari delle Vittime della Val di Stava, e che vede anche, come soci fondatori, l’Associazione Sinistrati Val di Stava, la Magnifica Comunità di Fiemme e i Comuni di Tesero, Longarone e Cavalese, affinché le 268 vittime tra uomini, donne e bambini uccisi il 19 luglio 1985 non siano morti invano. Una Fondazione, insignita delpremio Alex Langer 2010, dedicato ad una figura indimenticabile come Alex e che si fregia dell’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, la quale si è data proprio il compito di mantenere, come valore fondante, tramandare la memoria storica della catastrofe della Val di Stava rafforzando la cultura della prevenzione, della corretta gestione del territorio e della sicurezza, le cui enormi carenze sono state la causa principale della catastrofe di Stava, come dei disastri del Vajont e del Cermis e di molti altri disastri colposi. Tra le lodevoli iniziative della Fondazione, la realizzazione, in collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e il Comune di Tesero, del film “Stava 19 luglio” realizzato da Gabriele Cipollitti, regista Rai e collaboratore di Piero Angela per “Superquark” e gli “Speciali di Superquark”, divenuto uno degli elementi del percorso didattico proiettato presso il Centro di documentazione di Stava (link sito per ordinare il cofanetto con il film).
Sauro Secci