Riscaldamento globale senza freni: un nuovo studio da ragione al NOAA
Sul riscaldamento globale è prevalente, da alcuni anni nella gran parte della componente scientifica, una linea che ne vede una frenata sulla base dei dati raccolti dal 2000 ad oggi, appoggiata nel 2013 anche dal panel scientifico dell’IPCC, la convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, sostenendo che le temperature di superficie globali “hanno mostrato una tendenza di incremento lineare molto minore negli ultimi 15 anni rispetto agli scorsi 30 o 60 anni”.
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Fuori dal coro nel sostenere questa “pausa” nel fenomeno del riscaldamento globale, si è però tenuto la NOAA, il prestigioso ente statunitense che fornisce dati e stime sul clima a livello mondiale, che già nel gennaio 2015 aveva suonato un campanello d’allarme in tal senso attraverso un controverso report pubblicato su Science Advance (link report), dove sosteneva che non esistesse alcuno stop negli ultimi anni al riscaldamento globale nei diversi ambiti delle superfici emerse, mari e globale. A seguire un eloquente grafico contenuto nel rapporto del 2015, relativo sia all’andamento dell’anomalia termica sulle terre emerse che sugli oceani.
Fig. 2. Global (land and ocean) surface temperature anomaly time series with new analysis, old analysis, and with and without time-dependent bias corrections. (A) The new analysis (solid black) compared with the old analysis (red). (B) The new analysis (solid black) versus no corrections for timedependent biases (blue).
Proprio nei primi giorni del 2017, sempre sul Science Advance, è stato pubblicato un nuovo studio elaborato da un team di scienziati, che conferma i risultati del 2015 di NOAA (link studio), evidenziando come il riscaldamento globale non abbia mai rallentato il suo cammino e rilevando come la maggior parte dei climatologi si sarebbero sbagliati. Alla base di queste discrepanze sembra esserci la collocazione dei punti di rilevamento e le modalità di rilevazione sulla base dei quali sono effettuate le misurazioni in ogni parte del pianeta. La grande estensione del pianeta richiede una grande attenzione alla ubicazioni di punti significativi di rilevamento ai fini di verificare realmente le dinamiche della fenomenologia. Altro aspetto importante è la ottimale integrazione tra piattaforma di monitoraggio diretto con postazioni fisse al suolo ma anche da telerilevamento satellitare, con le tecniche di modellistica ambientale che arrivano a stimare le temperature per quelle aree dove non è possibile un monitoraggio diretto dei parametri di temperatura, ponendo la massima cura alle specifiche di misurazione, come l’altezza del sensore di rilevamento della temperatura dell’aria e, non meno importante, quella dell’acqua delle superfici sommerse, dal momento che anche minime variazioni sono capaci di portare a risultati anche molto divergenti.
Un problema di grande rilevanza quello della non raffrontabilità dei dati di temperatura per disomogeneità delle tecniche di monitoraggio sollevato dalla NOAA nel 2015 riesaminato nel recente studio, sopratutto per la metodologia di calcolo del riscaldamento degli oceani, elemento di fondamentale importanza, dal momento che questi ultimi si estendono per ben il 70% della superficie del nostro pianeta, con un peso rilevante sulla media globale, con una differenza su questo punto capace di portare a risultati finali anche molto distanti. Nel loro studio il team di ricerca si è accorto come i modelli climatologici oggi utilizzati, sottostimino regolarmente le temperature oceaniche. Il motivo risiede essenzialmente nello strumento prevalentemente utilizzato (nell’85% dei casi), cioè le boe che hanno progressivamente sostituito le rilevazioni via nave. In sostanza, sia secondo la NOAA e gli autori dell’ultimo studio, le navi erano decisamente più precise.
E’ necessario quindi procedere al ricalcolo di tutti i dati degli ultimi 20 anni, operazione che evidenzierebbe che gli oceani si sono scaldati di 0,12°C per decennio dal 2000, mentre le stime precedenti si fermavano a +0,07°C. In base a ciò, il trend di riscaldamento globale dei primi 15 anni del 21° secolo è virtualmente indistinguibile dalla tendenza degli anni 1950-1999, decretando sostanzialmente come non sarebbe in atto nessuna pausa alla tendenza ultradecennale in corso sul riscaldamento globale.
A seguire un video nel quale uno degli autori del recente studio, Zeke Hausfather, del Berkeley Earth, ci accompagna nella analisi dello studio appena pubblicato.