Rifiuti farmaceutici nelle acque: è allarme per molti fiumi nel mondo
Le acque della maggior parte dei bacini fluviali del mondo sta divenendo sempre più una discarica per i nostri farmaci, con un insano cocktail di analgesici, antibiotici, agenti anti-piastrinici, ormoni, farmaci psichiatrici e antistaminici che vi scorrono, con grave compromissione dei complessi ecosistemi fluviali. Una preoccupante tendenza che potrebbe aumentare di ben due terzi entro il 2050 se non si implementeranno adeguati provvedimenti.
{tweetme} #fiuminquinati #rifiutifarmaci “Rifiuti farmaceutici nelle acque: è allarme per molti fiumi nel mondo” {/tweetme}
E’ questo il nuovo allarme che giunge dallo studio presentato da Francesco Bregoli, ricercatore presso l’istituto di ricerca olandese HIE Delft, nel corso della European General Geosciences Union Assembly, svoltasi in questi giorni a Vienna.
Si tratta di un lavoro che l’ente di ricerca olandese ha condotto in collaborazione con il Catalan Institute for Water Research, con la messa a punto di un nuovo modello in grado di prevedere la diluizione attuale e futura dei prodotti farmaceutici negli ecosistemi di acqua dolce, come fiumi e laghi, dal quale sono emersi risultati davvero scoraggianti.
Come spiega il ricercatore italiano Francesco Bregoli, autore principale dello studio, sulle pagine di The Guardian, “Gran parte degli ecosistemi di acqua dolce è potenzialmente minacciata dall’elevata concentrazione di farmaci”. Con un consumo crescente di prodotti farmaceutici, si verifica una contestuale crescita anche della contaminazione ambientale. Le molecole dei vari farmaci, una volta eliminate dall’organismo attraverso gli scarichi domestici, raggiungono gli impianti di trattamento e la percentuale che non viene intercettata da questi ultimi si riversa nei corsi d’acqua. Molte di queste sostanze sono in grado di arrecare grave danno agli ecosistemi, inducendo cambiamenti nell’ittiofauna o creando i presupposti per l’evoluzione di batteri antibiotico resistenti.
Ai fini della valutazione dell’entità del problema, gli scienziati hanno messo a punto un modello d’analisi, applicandolo ad un caso studio di uno specifico farmaco molto diffuso come il diclofenac. Si tratta infatti di un anti-infiammatorio con una ampia diffusione di mercato, usato sia nella medicina umana che in quella veterinaria. Si tratta di un farmaco che sia l’Unione Europea che l’Agenzia per la Protezione Ambientale degli Stati Uniti hanno identificato come “una minaccia ambientale“, con diversi studi condotti negli ultimi decenni che hanno confermato sia l’ampia diffusione della molecola a livello mondiale in ambienti di acqua dolce sia la sua potenziale tossicità nei confronti di diversi organismi come pesci e mitili. A seguire una mappatura dell’uso di questo farmaco nel mondo, tratta dallo studio.
Secondo i risultati dello studio del team di Bregoli, sarebbero attualmente oltre 10.000 i km di acque fluviali in tutto il mondo a presentare concentrazioni di diclofenac superiori al limite previsto nella”lista di controllo” dell’UE, fissato a 100 nanogrammi per litro. Si tratta di dati simili a quelli di altri prodotti farmaceutici che non riescono a essere bloccati dagli impianti di trattamento delle acque reflue laddove questi esistono e funzionano correttamente (vedi mappa seguente estratta dallo studio stesso).
La conseguenza di una tale situazione e che queste sostanze rilasciate nelle acque sono in parte assorbite dagli ecosistemi fluviali e in parte convogliate verso il mare. Al riguardo spiega sempre Bregoli, “Abbiamo scoperto che i miglioramenti tecnologici da soli non bastano nemmeno a risanare dagli attuali livelli di concentrazione. Se non dovesse essere attuata una riduzione sostanziale del consumo, gran parte degli ecosistemi fluviali globali non sarà sufficientemente protetta”.
Scarica lo studio di Francesco Bregoli, ricercatore presso la HIE Delft
Sauro Secci