Ridurre l’uso di plastica non biodegradabile negli imballaggi alimentari e renderli ancora più efficienti, si può

Di seguito una bella intervista di Marco Benedetti ad Emilio Bianco di Legambiente, coordinatore assieme a Laura Brambilla del convegno sul tema dell’uso di plastica non biodegradabile negli imballaggi alimentari tenutosi in occasione di Ecomondo 2019.

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D – Emilio, ridurre le plastiche non biodegradabili e poco sostenibili negli imballaggi soprattutto alimentari, ha una risposta solo potenziale o immediatamente eseguibile?

R –La riduzione delle plastiche convenzionali nel packaging alimentare è sicuramente eseguibile sin da ora anzi, molti grandi marchi della Grande Distribuzione Organizzata si stanno già muovendo in tal senso. Nelle maggiori catene italiane non è infatti infrequente imbattersi in imballaggi alimentari che accoppiano la carta e le plastiche compostabili che, per quanto riguarda l’end of life del packaging, rappresentano una svolta perché consentono, laddove il riciclo di materia diventa impossibile, come ad esempio quando la carta è contaminata da alimenti, l’avvio a riciclo nella filiera dell’organico.

D –  Quanto è grande il mercato degli imballaggi in Italia

R –Il mercato del packaging in Italia ha negli anni assunto delle dimensioni enormi, basti pensare che nel 2018 ha registrato un fatturato di 33,4 miliardi di euro, crescendo di oltre due punti e mezzo percentuali rispetto all’anno precedente e le stime prevedono un ulteriore crescita negli anni a venire. Andando nello specifico Tutte le tipologie di packaging hanno visto un notevole incremento, sia le tipologie “storiche” come legno e vetro, sia quelli di più recente concezione come gli imballaggi multi-materiale che hanno segnato un aumento del 2,5%. A discapito di quanto spesso si dice dell’Italia, almeno in questo settore siamo molto virtuosi: nel 2018 l’80,6% dei rifiuti da imballaggio è stato recuperato che tradotto in cifre significa 10.691.000 tonnellate delle 13.267.000 totali immesse al consumo e, di queste, la parte avviata a riciclo sfiora il 70% che fa dell’Italia un eccellenza a livello continentale. 

D – Il progetto europeo Biocompack-CE è giunto al suo ultimo evento in Italia. Dopo i focus sui produttori, i trasformatori e la Grande Distribuzione Organizzata, Legambiente ed Innovhub-SSI hanno presentano il progetto ad Ecomondo portando la voce di vari partner europei

R –Il progetto Biocompack-CE nasce all’interno dell’area Central Europe e vede la partecipazione di dieci realtà da sei diversi Paesi di questa zona. Oltre all’Italia sono presenti partner provenienti da Slovenia, Croazia, Ungheria, Polonia e Slovacchia, e per l’ultimo evento ci è sembrato opportuno portare nel nostro Paese anche le esperienze dall’estero, con il duplice obiettivo di far conoscere meglio il progetto qui da noi e chi ci lavora dall’estero e soprattutto far toccare con mano la realtà italiana che è tra le migliori in Europa.

D – Alla luce di quanto emerso dalla conferenza: quale dovrebbe essere il ruolo di un imballaggio soprattutto alimentare? Ovvero quale sarebbe  l’elenco delle priorità in ordine di importanza tra : 1 la sostenibilità  ovvero l’impronta ambientale complessiva dalla culla alla culla,  2 il suo fine vita ovvero produrre energia bruciandolo, rigenerandolo o riciclandolo, rimettendo nuove sostanze nel terreno o 3 infine il suo scopo iniziale ovvero conservare il cibo più a lungo possibile per ridurre lo spreco alimentare (ndr che secondo la EU nella EU è di 88 miliardi di kg l’anno di cui il 60% avviene nelle case dei suoi cittadini)?

R – Senza dubbio la conservazione del cibo e l’impatto ambientale. Nel settore alimentare la necessità primaria riguarda la sicurezza ed appunto la conservazione: l’imballaggio non deve essere tossico, deve fungere da barriera, deve proteggere dall’umidità ed eventualmente dal grasso e deve impedire l’ingresso e la fuoriuscita di gas e odori. Secondo uno studio della FAO il cibo prodotto e non consumato ha un impatto ambientale enorme: l’agenzia delle Nazioni Unite ha calcolato che quest’enorme quantità di cibo perduto equivale a 3,3 miliardi di tonnellate di CO(se fosse uno Stato sarebbe il terzo produttore mondiale di CO2 dopo USA e Cina) equivalente e corrisponde ad un consumo d’acqua di 250km3, per intenderci un numero pari a 5 volte il volume del Lago di Garda.

D – Si può parlare della necessità di una visione circolare anche per il settore degli imballaggi?

R – Assolutamente sì. Non dobbiamo dimenticare che la gestione di un prodotto deve essere seguita dall’inizio alla fine del suo ciclo di vita: l’imballaggio contiene materiali che possono essere riutilizzati, ma solo se la progettazione del prodotto e il modo in cui raccogliamo e trattiamo i rifiuti consentono un processo economico ed efficiente. Le combinazioni di più materiali in un imballaggio sono poi una sfida nella sfida.

D: Uno dei temi centrali del dibattito tecnico è infatti sulla produzione e uso dei multimateriali, ovvero degli accoppiati come poliestere/polietilene, carta/poliestere ecc.

Il risultato di un progetto  di eco-design deve portare a un  packaging che soddisfi tutti i requisiti funzionali che lo caratterizzano e che possa al contempo essere facilmente ed efficacemente riciclato o compostato. Un aspetto non secondario è quindi rappresentato dalla “separabilità” dei materiali per avviarle correttamente a riciclo. Negli imballaggi che mettono insieme due materiali come carta e bioplastica occorre sviluppare strategie che limitino il più possibile l’impatto sulle filiere del riciclo: prodotti a contatto con alimenti secchi ha senso che prendano la strada del riciclo di materia, nel caso siano invece a contatto con alimenti umidi e grassi devono finire il proprio ciclo all’interno di impianti di digestione aerobica o anaerobica per produrre biometano e compost di qualità da riutilizzare in agricoltura, chiudendo così il cerchio.

D: Al tavolo della progettazione occorre però siano presenti tutti gli attori della filiera altrimenti restiamo alla teoria: uno realizza un prodotto e l’altro non sa come smaltirlo o valorizzarlo riportandolo a materie prime seconde (NDR vedi l’esempio in Toscana di Alia colta impreparata di fronte all’arrivo  nella sua raccolta quotidiana dei prodotti monouso in bioplastica, creando polemiche e soprattutto malintesi nei cittadini virtuosi, dannosi per tutti)

R – Non c’è dubbio che soprattutto l’unione di materiali con caratteristiche diverse e complementari sia indirizzato all’efficienza dell’imballaggio soprattutto alimentare, serve però una strategia comune per gestire lo stesso nel momento in cui diventa rifiuto e, cosa che spesso manca da parte della filiera, informare in maniera corretta il consumatore finale sulla corretta strada da seguire.

Proprio per questo in Italia abbiamo voluto costruire un percorso che andasse a toccare tutti gli aspetti della filiera siamo partiti con un workshop dedicato ai produttori, per poi spostare l’attenzione sui trasformatori ed in seguito sulla Grande Distribuzione Organizzata, includendo, ovviamente, ad ogni incontro, degli speech specifici da parte dei consorzi di filiera interessati e delle associazioni nazionali sia dei produttori di carta che di bioplastiche. L’evento di Rimini ha rappresentato un po’ il riassunto dei precedenti, includendo anche la principale associazione dei consumatori per dare voce a chi effettivamente poi va ad utilizzare l’imballo, e per questo abbiamo scelto Ecomondo come cornice. Abbiamo quindi  deciso di portare l’intero progetto in Italia, dedicando la prima sessione ai nostri partner europei, con l’obiettivo di rafforzare le sinergie tra il mondo del packaging del nostro Paese e gli Stati dell’Europa Centrale.

D – Interesserebbe anche capire dove si dovrebbe collocare un accoppiamento di multilaterali  di nuova costituzione come carta-pla  entrambi  biodegradabili , entrambi rigenerabili ecc (per es per gli insaccati freschi delle macellerie)  o per imballaggio di salviette  barriera contro l’umidità ecc, (NDR: pla = acido polilattico, la bioplastica vegetale e biodegradabile ottenuta dalla fermentazione controllata naturale di micro-organismi)

R – Questo è proprio l’obiettivo finale del progetto: dare una risposta a tutti gli attori coinvolti nella filiera. Quello che assolutamente dobbiamo evitare è lo stesso atteggiamento avuto finora con la plastica, l’abuso indiscriminato. Le bioplastiche nascono per accompagnare il rifiuto organico verso il trattamento finale non per rappresentarne una grossa percentuale: recentemente in un viaggio all’estero un’azienda mi ha fatto vedere uno spazzolino fatto con un blend di diverse plastiche compostabili, un abominio. E anche il fatto che in Italia le plastiche compostabili come ad esempio il PLA, debbano pagare il contributo CONAI come tutte le altre plastiche convenzionali è assurdo: si chiude il mercato a questi prodotti perché ovviamente la plastica tradizionale ha costi di produzione di gran lunga inferiori e quindi non si incentiva la riconversione.

Tornando invece ad uno degli attori principali di tutto il sistema, cioè il consumatore, quest’ultimo dev’essere messo in condizione di fare una corretta raccolta differenziata: il generico numero 7 in cui sono inserite le bioplastiche, raggruppate nella sezione “altro” non va incontro a questa esigenza e, come ci dicono i dati della GDO, i consumatori vogliono materiali compostabili ma vogliono anche sicurezza e il PLA risponde a queste caratteristiche, inoltre rispetto ad altri polimeri plastici compostabili è trasparente e permette quindi all’utilizzatore finale di vedere il prodotto all’interno, cosa non banale. Tuttavia per questo motivo viene spesso confuso con la plastica convenzionale.

Infine la sostenibilità dell’uso di imballaggi multimateriale dipende fortemente dalle pratiche reali e non potenziali di gestione dei rifiuti e soprattutto dalle infrastrutture disponibili. Il nostro Paese deve necessariamente dotarsi di impianti di recupero e riciclo, soprattutto al centro-sud, a partire da quelli di digestione anaerobica per il trattamento della frazione organica per la produzione di biometano e di compost di qualità. Rifiuti zero, impianti mille, solo così si potrà proseguire velocemente lungo la strada dell’economia circolare.

Legambiente è impegnata da anni nello sviluppo della economia circolare in Italia, con azioni concrete nei vari programmi annuali in cui sono coinvolgono anche i cittadini – come “pulire il mondo” ma anche con visioni di medio e lungo termine come queste conferenze di tecnici, che purtroppo sono lidi poco frequentati dalla politica italiana. Ma siamo ottimisti.

Grazie Emilio.

Marco Benedetti
m.benedetticonsulting@gmail.com

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