Plastica complessa: il complicato e variegato universo delle plastiche

Iniziamo oggi una serie di pubblicazioni di articoli tratti dalla rivista di Ecofuturo, Ecofuturo Magazine, il bimestrale delle innovazioni di Ecofuturo ed iniziamo con un interessante articolo di Marco Benedetti, apparso sul numero 2 della rivista, che ci introduce e ci accompagna nel variegato ed articolato universo delle plastiche.

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Il maggior pericolo per i mari non sono le zuppe di plastica – come se improvvisamente si scoprisse un tombino intasato – ma chi continua a buttarle, chi si gira dall’altra parte quando vede qualcuno che lo fa e da sempre la colpa agli altri. I criminali invece sono coloro che in nome del popolo sovrano – consentono di buttarle.

Fatta questa premessa che niente aggiunge o toglie al dibattito su come recuperare e neutralizzare 600 milioni di tonnellate in mare – e altrettante in terra (ma il fatto fa meno marketing turistico) – si deve per forza guardare al fenomeno di Greta Thunderberg con apprensione – se sei adulto inserito nel sistema – o esultare troppo presto – se sei un giovane che sta camminando verso il futuro incerto.

Il suo movimento creato dal basso fa più paura ai potenti di uno stuolo di avvocati incazzati con Trump o a favore di Trump: come l’inquinamento non ha barriere fisiche e politiche, così il movimento stryke-for-climate è trasversale perché non ha bisogno della barriera linguistica ma dell’anima delle nuove generazioni a cui di fatto stiamo facendo di tutto per rubare il futuro: giustificando l’ingiustificabile.

Soluzioni possibili

Come spesso si sente nei Tg: salvaguardiamo i posti di lavoro delle multinazionali che altrimenti chiudono la fabbrica; reprimiamo l’immigrazione che muoia di fame a casa loro; il rifiuto plastico ci sarà sempre perchè “anche Greta è stata vista mangiare un panino dentro la vaschetta isotermica e quindi è solo fenomeno mediatico” – provate a trovare un prodotto senza imballaggio plastico in Svezia, Danimarca o Olanda per es. – comunque sia troviamo l’immondizia plastica sempre nel giardino del vicino e quindi ci buttiamo anche la nostra parte.

Ci sono soluzioni? L’industria manifatturiera – quella italiana è in prima fila – che crea economia e posti di lavoro prospetta soluzioni a tutte le ore del giorno e della notte; è la politica che – non essendo fatta di tuttologhi ma al più di sordi con le mani sempre libere – dovrebbe recepire le istanze di chi l’ha eletta da un lato e dall’altra di chi paga le tasse se gli permetti di farlo con equità, ossia le imprese che trovano le soluzioni.

Nei dibattiti pubblici si cercano e prospettano solo soluzioni che a noi cittadini comuni danno speranza: sono presentate come speranze ipotetiche (le università), potenziali (gli enti), reali (le industrie).

Ma in molti casi mi pare più uno stuolo di scavatori di buche che non riescono a buttare fuori del tutto la terra rimossa che ricade sempre dentro, richiedendo perdite di tempo, sforzi immani e pochi risultati.

Le bioplastiche per esempio. L’Italia ha dato i natali a un leader mondiale illuminato – Novamont – e tanti leader di settore per le loro applicazioni che come tipico in Italia, sono conosciutissimi nel loro settore ma non dalla comunità. Manchiamo di gioco di squadra da sempre.

Spesso creando catene di valore (circolare) che però non riescono a completare il ciclo per mancanza di quelle norme che ne prevedono o valorizzano l’attuazione.

A partire dal mancato riconoscimento delle stesse nel firmamento delle plastiche (si vedano i primi sei numeri del triangolino che si trova stampato negli imballaggi e il n. 7 è altro – tra cui policarbonato sintetico e bioplastiche vegetali) ovvero al diritto alla loro esistenza da parte di chi le plastiche le deve accogliere e smaltire correttamente come i consorzi obbligatori e che è finanziato apparentemente da chi le plastiche le produce, ma di fatto da chi acquista al consumo.

Pesci e plastica

Tuttavia il pericolo di un successo mediatico popolare delle bioplastiche come “sostituto” delle plastiche perchè “biodegradabili” e talvolta anche compostabili, non è auspicabile e parlo da tecnico e ambientalista. Così come non è auspicabile che le plastiche (non biodegradabili e cheap) siano usate senza regole anche quando è palese la loro inefficienza – per esempio non proteggono dal caldo né dal freddo ma trasmettono caldo e freddo a seconda dell’esposizione alla fonte di energia – e soprattutto a fronte della malcelata – e a volte sembra più secretata – sottovalutazione del loro uso per esempio a contatto con il cibo o con la pelle e in genere con la salute – ci sono calcoli che stimano che ogni lavaggio in lavatrice di abbigliamento sintetico come il pile, immetta nel sistema di scolo delle acque reflue e pertanto in mare, 50.000 microparticelle di plastica staccatasi dalle fibre di poliestere di cui sono fatti oggi i cosiddetti materiali tecnici per abbigliamento.

Dove poi finiscano queste micro particelle è ormai noto: nella flora e fauna marina che diventano cibo per gli umani. Se come stimano le agenzie dell’Onu e le fondazioni come la Ellen MacArthur, nel 2050 ci sarà un pesce e un pezzo di plastica negli oceani. 

Se le plastiche di sintesi (petrolifera) pur essendo il 3° materiale al mondo più usato tuttavia sono “questo sconosciuto” ai cittadini del Pianeta – che continuano ad abbandonarlo ovunque – spesso ignari della loro esistenza, come nei filtri delle sigarette, nei fazzoletti umidificati, nei multistrato, negli imballaggi ibridi per gli alimenti che sembrano di carta ma sono accoppiati alle “ecopelli” di poliuretano o pvc – figurarsi cosa sono le bioplastiche per il povero cittadino.

Rifiuti non bio

L’idea che il suffisso “bio” sia sinonimo di qualcosa che viene dalla Natura e che a lei torna facilmente una volta usato è purtroppo un automatismo pericoloso. Giustificare il gesto di buttare perché tanto è bio – non essendo regolamentato da una legge che lo riconosca e quindi metta in guardia dalle conseguenza – è un danno per gli stessi produttori. Essi devono chiaramente indicare che se si composta questo deve avvenire, una volta ritirato dall’ente smaltitore, riconosciuto – altra bega gigante – nel sistema di compostaggio industriale cioè in capannoni all’uopo attrezzati – Dal momento che in inverno esso non biodegrada neppure nella campana datagli con enfasi risolutiva dall’amministrazione pubblica, scattano il senso di frustrazione e delusione; le fake news del web, possono fare il resto. La campana ovviamente non tiene conto che le stagioni esistono anche per il cittadino che non si ricorda che in inverno neppure l’immondizia organica fermenta (non puzza infatti) e se la prende con il produttore del piatto in bioplastica.

Altro problema è l’idea della biodegradazione in mare delle bioplastiche; a parte un particolare e più costoso biopolimero chiamato pha – tutti gli altri a base “pla” in mare non biodegradano (mancanza di flora batterica adeguata). Quindi la cassetta del pesce il Pla-spanso non va buttata perchè resta tale. Al limite si frammenta ed essendo acido polittico potrebbe essere digerita prima o poi dai cetacei o uccelli ma mancano gli studi adeguati e soprattutto non va dato per scontato che essendo di origine vegetale debba per forza essere biodegradabile in ogni condizione – neppure in frigorifero si biodegrada ma se invece lasci il formaggio in frigo muffisce (inizio di una biodegradazione) – ma questo invece non ti stupisce più di tanto.

Microplastiche

Ultimamente uno studio dell’Università di Pisa è venuto alla ribalta mediatica perchè ha concluso che la presenza delle bioplastiche nei terreni ne altera l’equilibrio e lo inquina – probabilmente riferendosi ai teli di pacciamatura come quelli usati per evitare di far crescere erbacce intorno alle verdure o alla frutta come le fragole. Lo studio riguardava le bioplastiche base pla, non invece i pesticidi e erbicidi che avvelenano anche le falde e minano la salute dell’ecosistema ma tant’è che è sembrata l’ennesima disillusione sulle alternative alle plastiche.

Ad amici e clienti che mi hanno subissato di mail e foto degli articoli serenamente rispondo: “anche a te se mangi un kg di funghi porcini per alcuni giorni rischi di intossicarti gravemente perchè la tua flora intestinale non è abituata al carico di sostanze che i funghi contengono come i metalli pesanti; se mangi patate in quantità per giorni l’organismo si altera, ma anche i pomodori e melanzane contengono troppo nichel tossico per l’intestino quando ne abusi , se mangi il pesce con le microplastiche ti intossichi.

Dunque non sarà forse è l’abuso il problema, Immettere un corpo estraneo – la plastica la conosciamo da pochi anni – in un ambiente comunque complesso che richiede tempi di adattamento di migliaia di anni e non di ore. L’abuso è il problema e il cervello ci comunica che forse è il caso di smetterla, ma spesso non l’ascoltiamo soprattutto quando siamo in compagnia di altri nel nostro stesso stato.

Marco Benedetti
Direttore R&S Biotecnologie – GreenEvo

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