Per combattere la sindrome Nimby parliamo meno del “dove” e più del “perché”
Una riflessione a tutto tondo con Rossella Muroni, Vice Presidente della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, pubblicata da Rienergia-Staffettaonline.
Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, gasdotto TAP, stoccaggio della CO2, eolico offshore e agrofotovoltaico. L’Italia è ancora una volta bloccata sulle barricate dei NO e la confusione è tale che è difficile capire quale decarbonizzazione è accettabile da parte dell’opinione pubblica. Con il rischio che per difendere gli interessi locali si perda di vista l’interesse nazionale e il benessere pubblico legato agli obiettivi climatici. Ne parliamo con Rossella Muroni, già presidente di Legambiente e oggi vicepresidente della Commissione Ambiente presso la Camera Dei Deputati.
Dopo un ritardo di 5 anni finalmente è arrivata la pubblicazione della Cnapi, la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee a ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Come accoglie questa notizia?
Dico che era ora. La pubblicazione della Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee a ospitare il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi è un atto dovuto e atteso da tempo, ma anche un’assunzione di responsabilità da parte del governo. Attendiamo la pubblicazione di questa Carta da agosto 2015: richieste di approfondimenti tecnici prima e appuntamenti elettorali dopo l’hanno fatta slittare sino ad ora. Tanto che a ottobre scorso l’Ue ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia e non era più possibile rinviare.
Sembra che lei sia una delle poche a vedere il bicchiere mezzo pieno…
Premesso che il deposito riguarderà i rifiuti radioattivi di bassa e media attività, mentre per i rifiuti radioattivi ad alta attività sarà possibile individuare un deposito profondo comune in Europa, e che la Carta è stata già verificata dal punto di vista tecnico dall’Ispra, ora bisogna dare priorità alla fase della consultazione pubblica. Soprattutto in questo momento storico è più importante che mai gestire la partecipazione, assicurare trasparenza, coinvolgere i territori, se non si vuole innescare l’ennesimo conflitto sociale ed ambientale. E finalmente la Sogin non avrà più scuse ma dovrà dare seguito al suo mandato completando il decommissioning delle vecchie centrali e realizzando il deposito per mettere in sicurezza i nostri rifiuti radioattivi, senza continuare a sperperare denaro pubblico.
Gli scudi di diversi amministratori locali si sono già levati. Specie nelle aree che rivendicano una vocazione turistica e agricola. In questi casi non si capisce mai se manca la fiducia negli organi competenti o se le remore sono pregiudiziali. Come si supera questa impasse?
Intanto mi sento di dire che si poteva in parte evitare. Come detto, da relatrice di un’indagine conoscitiva della Commissione Ecomafia proprio sui rifiuti radioattivi, faccio parte di quelle persone che attendevano con ansia questa mappatura. Mi chiedo però che senso abbia pubblicarla il 5 gennaio alle 7.50 di mattina con un link lanciato online, senza avvertire i deputati di maggioranza che si occupano di ambiente. Questo significa ostacolare in partenza il dialogo che con questi territori si poteva intraprendere, oltre a mettere in difficoltà chi si occupa di rappresentarli. Ricordiamoci che il primo sentimento che si genera rispetto a un documento come la CNAPI è la paura e se la politica non viene messa nelle condizioni di anticipare i problemi e i legittimi dubbi della popolazione non si agevola quel processo di comprensione e ascolto che è alla base del rapporto di fiducia. Gli enti locali e i sindaci sono sotto stress in questo periodo e la levata di scudi generalizzata era prevedibile. La pubblicazione di un testo così delicato in piena pandemia e piena crisi di governo non trasmette certo quel senso di sicurezza che invece si sarebbe potuto costruire.
Si poteva fare altrimenti?
Certamente. Si poteva organizzare una conferenza stampa con i due ministri competenti, MiSE e Ambiente, affiancati da Sogin e ISPRA, in cui, oltre a presentare il documento, ci si metteva a disposizione delle domande dei giornalisti. Metterci la faccia è sempre complicato, lo sappiamo, ma trasmette un senso di autorevolezza e rassicurazione che in questi casi è fondamentale. Sarebbe stata, a mio avviso, l’occasione per spiegare i criteri utilizzati per comporre la carta e che si tratta di un primo atto tecnico che permette di dare una svolta a un percorso di messa in sicurezza di rifiuti che già abbiamo sul nostro territorio e che vanno stoccati in sicurezza per il bene di tutti. Ma se la discussione prende la piega del “dove” e tralascia il “perché” è chiaro che ci sarà la fila di amministratori che rivendicano l’agricoltura biologica, il turismo o il comprensibile “abbiamo già dato” come nel caso del Tarantino. Tornando alle soluzioni, l’emendamento che presenterò al Milleproroghe va proprio nella direzione di allungare i tempi del confronto con i territori e della consultazione pubblica, il che permetterà anche nel caso della CNAPI di scremare i luoghi idonei soprattutto partendo dal dialogo con le comunità locali.
Nel frattempo: da Rimini alla Sardegna anche l’eolico offshore è osteggiato, nessuno vuole il nuovo sito di stoccaggio della CO2 presso Ravenna e anche l’agrofotovoltaico non se la passa bene. Non rischiamo che l’ambientalismo diventi il carnefice della decarbonizzazione?
Attenzione a non confondere l’ambientalismo con evidenti sintomi da sindrome NIMBY, patologia che non colpisce solo i cittadini ma anche molte istituzioni. Lo vediamo sulla vicenda della CNAPI e sulle rinnovabili. Io penso che sulla transizione energetica si debba ristabilire un concetto di interesse nazionale, anche perché molti impianti sono rigidamente legati a fattori geografici e se è vero che un campo eolico dipende dalla ventosità di un luogo allora bisogna ritrovare quel senso di solidarietà nazionale che, come dicevo in precedenza, rifletta meno sul dove e più sul perché. Sarò più franca: sulle rinnovabili ci giochiamo una grossa fetta di credibilità politica e gran parte degli obiettivi climatici imprescindibili per il benessere delle prossime generazioni. Non possiamo essere schiavi dei no. Posti di lavoro, decarbonizzazione del mix energetico, creazione di filiere tecnologiche made in Italy… I vantaggi sono tanti ma va fatto uno sforzo sia dal lato della narrazione sia dal lato dell’ascolto. Lasciando finalmente da parte le posizioni ideologiche. Io, ad esempio, sono la prima a temere che il gas usato come backup delle rinnovabili e lo stoccaggio della CO2 fine a sé stesso finiscano per costituire un alibi più che un’accelerazione ecologica. Ma sono pronta a ricredermi qualora mi venisse spiegato – e fosse confermato dai fatti – che il gas sostituirà il petrolio e andrà a sua volta incontro a un rapido phase-out a favore delle rinnovabili e che lo stoccaggio della CO2 sarà alla fine del processo. Non ho la pretesa di ritenere che il mio punto di vista sia quello giusto, sarei piuttosto molto soddisfatta se un dialogo basato sulle indicazioni della scienza tra industriali, mondo ecologista, produttori, consumatori e istituzioni favorisse la definizione di un interesse nazionale in cui tutti possiamo riconoscerci.
Da dove si parte?
Posso dirlo? Dagli impianti Oil&Gas al largo della Romagna. Potrebbe essere il primo terreno di confronto, la prima palestra per un dialogo tra interessi trasversali. Sono sicura che un dialogo ben orientato porterebbe alla conversione degli impianti in campi eolici off-shore, con ricadute positive per operatori del turismo, istituzioni, cittadini e soprattutto distretto petrolifero locale che avrebbe l’occasione per rilanciarsi.