Nuovo Rapporto ONU: L’agricoltura industriale non è idonea a sfamare il Pianeta

Dopo una partecipatissima quarta edizione di Ecofuturo Festival 2017, che aveva come titolo “la promessa della terra”, apertasi con l’inaugurazione del monumento alla fine dell’era dell’aratro, simbolo della agricoltura intensiva che ha caratterizzato gli ultimi decenni, autentico killer ambientale, gli allarmanti dati dall’ultimo “Global Land Outlook”, il rapporto più completo sullo stato dei suoli nel mondo, 330 pagine redatte dagli esperti della Convenzione ONU per combattere la desertificazione (UNCCD) (scaricabile in calce al post), sono un enorme incoraggiamento ad andare avanti per gli organizzatori, il rapporto più completo sullo stato dei suoli nel mondo, 330 pagine redatte dagli esperti della Convenzione ONU per combattere la desertificazione (UNCCD) che si spera non resteranno lettera morta.

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Il nuovo rapporto evidenzia come ben un terzo delle terre coltivabili sul pianeta è gravemente degradato, con la corsa all’autodistruzione delle risorse che non accenna ad arrestarsi, con una perdita di ben 24 miliardi di tonnellate di terra fertile ogni anno. Nella composita lettura delle cause alla base di uno scenario così compromesso a livello planetario, dove si possono individuare diversi ambiti di impatto, quello prevalente che emerge dall’analisi del rapporto è proprio il contributo dell’agricoltura industriale. Si tratta di una situazione talmente grave da indurre le Nazioni Unite ha chiedere l’abbandono dei sistemi di coltivazione impattanti, sollecitando i governi e le imprese ad individuare nuove strategie e modelli di sviluppo per la produzione alimentare.
Un appello quello dell’ONU, contenuto proprio nel Global Land Outlook che è stato presentato in una riunione dell’UNCCD a Ordos, in Cina, dove le nazioni firmatarie della Convenzione presentano obiettivi volontari per cercare di ridurre il degrado e riabilitare i terreni.

La diminuzione delle superfici agricole utilizzabili è una problematica da affrontare con la massima priorità, dal momento che nello scenario attuale porterà ad un incremento della domanda di alimenti e terreni produttivi, in funzione della crescita della popolazione che entro la metà del secolo potrebbe violare il tetto dei 9 miliardi. Si tratta di una micidiale sovrapposizione di fenomeni che senza adeguate azioni correttive, incrementerà notevolmente i rischi di conflitti come quelli in atto nello scacchiere africano in Sudan e Ciad.
Al riguardo la segretaria esecutiva dell’UNCCD Monique Barbut evidenzia come “Mentre l’approvvigionamento da terreni sani e produttivi si riduce e la popolazione cresce, aumenta la concorrenza per la terra nei paesi e nel mondo. Per ridurre al minimo le perdite, le prospettive suggeriscono che sia d’interesse per tutti tornare indietro e ripensare a come gestire le pressioni e la competizione”.
L’articolata analisi del Global Land Outlook, analizza l’effetto sovrapposto di una articolata serie di impatti diversi come urbanizzazione, cambiamento climatico, erosione, perdita di foreste.
Come detto però, imputato principale del quadro determinatosi, è indubbiamente l’espansione dell’agricoltura industriale, con metodi di coltivazione metodi intensivi e l’utilizzo di prodotti agrochimici come pesticidi, erbicidi e fertilizzanti azotati, che per aumentare le rese hanno inferto un colpo durissimo alla sostenibilità a lungo termine.
Ad integrare un quadro così indiziale verso il modello di agricoltura industriale oggi prevalente anche un interessante documento del JRC (Centro di ricerca della Commissione Europea) uscito a giugno scorso, nel quale viene rilevato come, negli ultimi 20 anni, a fronte di una produzione agricola triplicata, la quantità di terra irrigata è raddoppiata, definendo un quadro che crea grande compromissione per la fertilità dei suoli, causando abbandono dei terreni non più produttivi e desertificazione infoltendo la sempre più corposa schiera dei profughi ambientali. Secondo il nuovo rapporto JRC, si osserva una riduzione della produttività sul 20% del terreno agricolo a livello mondiale, sul 16% di quello forestale, sul 19% dei prati e sul 27% dei pascoli. A seguire una mappa dell’Europa estratta dal “Global Land Outlook”, dove si evidenziano particolare aree di stress come quella della nostra area padana, oramai pesantemente impoverita da una agricoltura davvero stressante.

Ma tornando allo studio JRC, è l’Africa sub-sahariana a subire gli impatti più gravi con una Europa che non sta certo molto meglio. La cattiva gestione dei terreni nel vecchio continente è causa di perdita per erosione di circa 970 milioni di tonnellate l’anno, con impatti che,oltre alla produzione alimentare,impattano sulla biodiversità, sulla riduzione del carbonio assorbito e sulla resistenza agli eventi meteorologici più intensi.

Sauro Secci

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