L’importanza di un approccio sistemico per le sfide del futuro
L’approccio sistemico è il migliore per affrontare le sfide future, ma c’è chi usa ancora quello lineare. Articolo di Sergio Boria, Psichiatra- Psicoterapeuta, Presidente AIEMS – Associazione Italiana di Epistemologia e Metodologia Sistemiche, Direttore delle riviste on line “Riflessioni Sistemiche” ed “Ecologia della Salute”, Coordinatore del Laboratorio di Ecologia della Salute.
L’approccio sistemico è anti-intuitivo. Concetti come “auto-organizzazione” o “causalità circolare” sono spaesanti per chi utilizza un approccio lineare ai problemi e ama le certezze. Anche l’idea che la conoscenza sia frutto di una costruzione sociale, quindi sempre contestuale e storicamente determinata, può dare fastidio a chi cerca un forte (seppur illusorio) radicamento ontologico.
Questo è il motivo per cui l’approccio sistemico è scarsamente rappresentato, minoritario, nei vari contesti disciplinari della conoscenza e delle professioni. Ciò non è vero per l’ecologia che per sua natura è sistemica. Studia l’interdipendenza tra i componenti degli ecosistemi, l’ordine, la dinamica, l’evoluzione e il modo in cui tutto è perturbato dalla presenza dell’uomo (Antropocene).
Proprio, ma non solo, per questa scarsa presenza dell’approccio sistemico nelle pratiche umane, sarebbe cruciale che le esperienze di studio-ricerca e di attivismo, si collegassero in rete in un sistema coerente e integrato. Ci vorrebbe il definirsi di un sistema dei sistemici. Per il momento non è accaduto e questo, anche se in linea con gli attuali processi di individualizzazione e frammentazione operanti nella dimensione sociale, è una contraddizione all’interno dell’arcipelago dei sistemici. La realtà in cui siamo immersi ha una natura ecologica. Le distinzioni tra le varie discipline di studio dovrebbero essere solo degli espedienti per non disorientarsi. E le conoscenze disciplinari dovrebbero connettersi e dialogare, proprio come la realtà della vita nella sua complessità.
C’è una differenza fra il costituirsi di una rete di soggetti che fanno e studiano le stesse cose, come per esempio nel caso dell’IPCC o dell’IPBES e il costituirsi di una rete di soggetti che operano in ambiti diversi, come dovrebbe essere per la rete dei sistemici. Nel primo caso, l’oggetto di osservazione e intervento, è lo stesso (cambiamenti climatici o biodiversità). Mentre nel secondo, a far da connessione, sono l’approccio e le premesse epistemologiche che fondano la conoscenza che dovrebbero riconoscere aspetti dinamico-processuali simili in diversi contesti appartenenti a diversi livelli di vita (micro, meso e macro). Qui risuona l’invito che Edgar Morin, sociologo e filosofo francese della complessità rivolge da anni ai sistemici a praticare il metodo della meta-trans-disciplinarietà.
Quali processi, regole, e vincoli, a livello auto-organizzativo ma anche quali possibili discontinuità e dinamiche non lineari, hanno in comune i sistemi viventi? Fare questo lavoro di tipo abduttivo, mettendoli a confronto vuol dire esercitare il metodo della meta-trans-disciplinarietà. E ricercare quello che Gregory Bateson chiamava il “pattern with connect” (“modello con connessione”).
Si tratta di un lavoro che attraversa le discipline di studio-ricerca-intervento che può essere realizzato con la collaborazione di biologi, medici, ecologisti, economisti, sociologi, psicologi, filosofi, pedagogisti, ecc., che condividono l’orientamento sistemico.
Quale può essere per i sistemici una buona motivazione a fare sistema esercitando la meta-trans-disciplinarietà e sviluppando una comune consapevolezza epistemologica nonché un metodo condiviso? … continua a leggere gratis su l’ECOFUTURO MAGAZINE