La transizione energetica, sarebbe una vera riforma di struttura
Cosa si può fare, se il Governo e la politica pensano ad altro?
E’ possibile una inedita convergenza nell’azione concreta tra settori dell’ambientalismo, dell’imprenditoria, del mondo del lavoro e del sindacato?
Nella crisi economica e occupazionale che continua, incombe il dibattito sulle riforme istituzionali: ma che relazione c’è tra non eleggere più i senatori, avere un sistema elettorale maggioritario e una possibile ripresa economica e sociale del paese?
C’è chi sostiene che così si deciderà prima. Ma forse il problema è anche come e cosa si decide.
Intanto, sulle questioni energetiche, non si cambia verso, si continua a decidere male. La penalizzazione del fotovoltaico e dell’autoconsumo, a favore delle fonti fossili, inserita nel decreto “spalma-incentivi” approvato al Senato, o le dichiarazioni di Renzi sulle trivellazioni per (irrisorie) estrazioni di idrocarburi, ne sono esempi concreti.
La questione energetica invece è sempre più un tema strategico a livello globale. Il deficit energetico europeo lo scorso anno è stato di 423 mld, 64 per l’Italia. Ridurre le importazioni di combustibili fossili (e le relative emissioni) puntando sulle fonti rinnovabili e sull’efficienza energetica, farebbe bene all’economia, oltre che all’ambiente e al clima.
Nel prossimo ottobre il Consiglio Europeo dovrà trovare un accordo sugli obiettivi per il clima e l’energia al 2030, pur tra diverse contraddizioni, si prospetta un’intesa più avanzata sulla riduzione delle emissioni climalteranti, sull’aumento del contributo delle rinnovabili e anche su quello dell’efficienza energetica. L’Italia, che detiene la presidenza, guiderà questo processo o si allineerà con i paesi più arretrati?
Una decisa scelta verso obiettivi più ambiziosi su clima e energia, implicherebbe una profonda trasformazione del modello energetico, non solo per la produzione di elettricità, ma contemporaneamente per tutti i fabbisogni energetici, per i trasporti e la logistica, per il riscaldamento, il raffreddamento, l’efficienza degli edifici e dei cicli produttivi, degli stessi cicli di vita dei prodotti, promuovendo anche diversi stili di vita e di consumo.
Una straordinaria opportunità per settori e filiere produttive nei quali diverse aziende italiane sono presenti, anche a livelli di eccellenza; investimenti in questi comparti indurrebbero importanti innovazioni, che possono aumentare la competitività del sistema produttivo italiano e know-how per i mercati interni e per l’export.
Naturalmente, questo processo di transizione, da un modello energetico centralizzato basato sul fossile, alla generazione distribuita, a tutte le fonti rinnovabili, gli accumuli, l’efficienza energetica, va governato. Le normative dovrebbero agevolare questa transizione, non difendere gli interessi forti legati al vecchio modello.
E’ solo in questo processo di transizione che si possono tutelare i posti di lavoro, anche con le necessarie riconversioni, nei settori energetici convenzionali (sia gli addetti diretti che quelli delle manutenzioni e degli appalti) e quelli della filiera delle rinnovabili (in rapida contrazione, ma ancora significativi, dopo la fine degli incentivi – si vedano i dati recenti del GSE sulle ricadute economiche e occupazionali). Questo processo creerebbe anche nuovi posti di lavoro, soprattutto nello sviluppo di nuovi servizi energetici, in particolare per l’efficienza, la cogenerazione, l’assistenza, la manutenzione e il controllo (O&M), che indurrebbero un nuovo sviluppo nei settori della componentistica elettrica, elettronica, informatica, della termomeccanica, della domotica, ecc..
Per questa visione strategica, alcune convergenze si stanno trovando, non solo tra gli ambientalisti, ma anche tra settori imprenditoriali e sindacali, tuttavia mancano ancora scelte politiche e industriali organiche. Per questo, dovremo continuare a batterci con forza per ottenere provvedimenti normativi coerenti: sui target europei al 2030; per correggere alla Camera il decreto spalma-incentivi; per la concreta applicazione delle direttive sull’efficienza energetica; per misure concrete sul settore dei trasporti, ecc..
Ma non possiamo solo aspettare che i decisori politici “intendano”, assieme a queste rivendicazioni, in alcuni casi è possibile comunque per i soggetti interessati (singoli consumatori, Enti Locali, sistema delle imprese, ecc.) realizzare iniziative concrete, “praticare l’obiettivo”, utilizzando al meglio le opportunità e le norme esistenti, a livello nazionale, regionale, territoriale.
Si può contribuire alla transizione energetica anche in questo modo, sapendo che ogni Kwh (elettrico o termico) stabilmente risparmiato, attraverso maggiore efficienza o prodotto da fonti rinnovabili, toglie in modo irreversibile spazio alle fonti fossili, ma può produrre anche risparmi sulle bollette energetiche, in questo caso reali (non come gli effetti di pura immagine dell’ultimo decreto).
Indichiamo solo due esempi, tra altri possibili, applicabili a tutti i settori del sistema produttivo e dei servizi, ed in particolare alle PMI:
Sviluppo dell’autoproduzione e dell’autoconsumo. La normativa sui SEU – i Sistemi Efficienti di Utenza – e sui RIU – Reti interne di Utenza, nonostante le tante limitazioni, può essere una occasione, in particolare per parecchie piccole e medie aziende per vendere o comprare direttamente energia prodotto in loco, utilizzando in futuro anche sistemi di accumulo, con un benefico economico per entrambi i contraenti.
Interventi di efficientamento energetico nei sistemi produttivi. Secondo diverse ricerche si potrebbero quasi dimezzare i consumi dell’industria entro il 2020, affermando che quasi tutte le tecnologie per l’efficientamento energetico (inverter, rifasamento dei carichi elettrici, motori elettrici più efficienti, riduzione perdite impianti ad aria compressa, cogenerazione, sistemi efficienti di combustione, recuperi di calore refluo, ecc., oltre che interventi per il riscaldamento e il raffrescamento) risultano economicamente sostenibili, spesso convenienti anche in assenza di sistemi di incentivazione, ossia si ripagano da sole. In tante aziende, anche solo verificare lo “stato dei consumi energetici” con un audit energetico, può essere la base per impostare programmi di efficientamento.
Relativamente all’efficienza energetica, abbiamo ritenuto significativo il documento congiunto Confindustria/ Cgil Cisl Uil del 2011 “Efficienza energetica, opportunità di crescita per il paese”, anche se finora non ci sembra abbia prodotto molti risultati.
E’ possibile avviare azioni di promozione per realizzare questi interventi concreti? La nostra Associazione, assieme a tante altre, è disponibile e, a questo fine, chiederemo incontri specifici con tutti coloro che possono essere interessati: Associazioni, Movimenti, Organizzazioni Sindacali e Associazioni di Imprese.
Nel massimo rispetto dei ruoli e delle autonomie reciproche, riteniamo sia più produttivo per tutti, piuttosto che cercare la “competitività” tagliando diritti e costo del lavoro, innovare ed efficientare i cicli produttivi in una prospettiva di sviluppo sostenibile.
Su questi terreni, forse, si può trovare una inedita convergenza, che possa accelerare la transizione energetica e condizionare anche le scelte politiche, industriali, normative da parte dei Governi.
di Vittorio Bardi, Associazione “Si alle Rinnovabili No al Nucleare” vittorio.bardi@oltreilnucleare.it
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