La storia della Casa della Capinera, presidio di ecologia affettiva
Piccole storie. Raccontare le storie di chi fa piccoli passi verso il cambiamento significa stimolare anche i macrosistemi. A cura di Andrea Degl’Innocenti, giornalista ambientale, socio fondatore di Italia che Cambia
Ogni tanto mi chiedo quanto abbia senso, con la crisi ecologica che rende la nostra esistenza sempre più precaria, raccontare storie di chi fa piccoli passi. Non sarà troppo tardi per iniziative su scala ridotta? Non dovremmo forse puntare tutte le (poche) fiches rimaste in una giocata spettacolare come tentativo di cambiamento collettivo? Sarà forse l’ammissione dell’impotenza di fronte all’inazione di una classe politica pavida, di un sistema politico e di governance antiquato e inadatto a fronteggiare le sfide contemporanee?
Anche se c’è qualcosa di vero in queste riflessioni, finisco sempre per concludere che continua ad avere senso raccontare le storie di cambiamento di persone o piccole comunità perché hanno – molto più dei grandi processi sistemici – una potenza narrativa impressionante.
Una storia piccola, se ben raccontata, ha la capacità di innescare cambiamenti molto più grandi
Ho ripensato a questi aspetti di recente, quando ho letto la storia della Casa della Capinera, che la collega Maria Enza Giannetto ha raccontato su Italia che Cambia. Si tratta di un rifugio, che prende il nome dal famoso romanzo verghiano, diventato un vero e proprio presidio di ambientalismo, ecologia, turismo ambientale, biofilia ed ecologia affettiva che sorge alle pendici dell’Etna. Un progetto che sembra racchiudere i cambiamenti che vorremmo.
Tutto è iniziato con la vittoria del bando dell’ente parco per prendere in gestione la Casa della Capinera. Proprio in questi boschi attigui a monte Ilice si svolge una parte della vicenda. Le prime attività sono state dedicate alla pulizia straordinaria del bosco e del sottobosco da vere e proprie discariche con il sostegno del Comune di Trecastagni. I volontari e le volontarie stanno creando mappe tattili e braille, un parco giochi con attrazioni per bambini in carrozzina, ipovedenti o non vedenti, sentieri sensoriali per avviare un progetto di turismo inclusivo. L’associazione Chiarìa, anima del progetto, sta sperimentando pratiche di ecologia affettiva e immersioni in foresta per adulti e minori con disabilità psichica, sensoriale e motoria, per ragazzi seguiti dal Ministero della Giustizia o accolti all’interno della rete SAI (richiedenti asilo o rifugiati)… Continua a leggere l’articolo gratis su L’ECOFUTURO MAGAZINE