La nuova frontiera della geotermia: trasformare la CO2 (e l’azoto) in energia elettrica

Un gruppo di ricercatori statunitensi del Lawrence Livermore National Laboratory sta sviluppando un nuovo tipo di impianto per lo sfruttamento della geotermia che dovrebbe stoccare sotto terra la CO2 in eccesso ed utilizzarla per aumentare la produzione di energia elettrica di almeno 10 volte rispetto alla geotermia convenzionale.


Si tratta di una tecnologia, elaborata dall’Ohio State University e dall’Università del Minnesot, destinata a far discutere molto, visto che somiglia all’incrocio tra due tecnologie molto discusse: il Carbon capture and storage (Ccs) e il fracking.

Infatti, il team guidato da Tom Buscheck, un geologo del Lawrence Livermore National Laboratory, utilizza una tecnologia già in uso diversi settori industriali e i ricercatori sperano che e il loro nuovo approccio amplierà l’utilizzo dell’energia geotermica negli Usa oltre i  confini dei pochi Stati che ora ne possono trarre vantaggio. La cosa è gestita dalla Heat Mining Company, LLC, una startup autonoma dell’University of Minnesota che punta ad avere nel 2016 un progetto operativo, basato su una forma precedente di questo nuovo approccio.

Il 13 dicembre Buscheck ed i suoi colleghi hanno presentato una versione ampliata del progetto al meeting annuale dell’American Geophysical Union ed hanno spiegato le sue possibili ricadute, anche nella lotta al cambiamento climatico, che può avere la produzione e lo stoccaggio di energia geotermica.

Come dicono gli stessi ricercatori, «La nuova progettazione di impianti energetici  assomiglia a un incrocio tra un impianto geotermico e il Large Hadron Collider: è dotato di una rete di anelli concentrici di pozzi orizzontali nel sottosuolo all’interno delle quali viene fatta circolare acqua con Co2 e azoto per estrarre calore dalle profondità della terra fino alla superficie, dove può essere utilizzato per attivare le turbine e generare elettricità».

Buscheck evidenzia che «Questo “well arrangement” circonda I fluidi iniettati nel sottosuolo con una diga idraulica, funziona proprio come una diga idroelettrica. L’intento è quello di  trarre il massimo vantaggio energetico dalle operazioni di iniezione del fluido, un grande miglioramento rispetto ai sistemi geotermici convenzionali». In effetti l’impianto è molto diverso da quelli geotermici che siamo abituati a conoscere e uno dei ricercatori, Jeffrey Bielicki, assistant professor di politica energetica al Department of civil, environmental and geodetic engineering dell’Ohio State University, spiega che «Le normali centrali geotermiche attingono l’acqua calda che è in profondità, estraggono il calore dall’acqua calda, utilizzano il calore per generare elettricità e quindi restituiscono l’acqua più fredda di nuovo in profondità nel sottosuolo profondo. Qui l’acqua è parzialmente sostituita con la CO2 e/o un altro fluido».

Nei bacini geotermici superficiali non ci sono vantaggi ad utilizzare la CO2, perché il calore dal sottosuolo viene estratto in maniera più efficiente con l’acqua, ma  Bielicki, sottolinea che «Questo approccio combinato (originariamente sviluppato da Martin Saar presso l’Università del Minnesota) può essere almeno due volte più efficiente degli approcci geotermiche convenzionali ed espandere la portata di energia geotermica negli Stati Uniti,  di includendo la maggior parte degli Stati ad ovest del fiume Mississippi».

Il team di ricerca ha utilizzato simulazioni al computer per progettare il sistema. In queste simulazioni, un sistema con 4 anelli concentrici di pozzi orizzontali a circa 3 miglia i sotto terra, con l’anello esterno che dovrebbe essere un po’ più di 10 miglia di diametro, produrrebbe mezzo gigawatt di energia elettrica, più o meno quanto una centrale a carbone di medie dimensioni e 10 volte di più dei 38 megawatt prodotti da un impianto geotermico medio negli Usa. Dimensioni e profondità che non renderebbero comunque applicabile questa tecnologia in Paesi come l’Italia e quindi con impianti realizzabili in Paesi con grandi spazi liberi e scarsamente abitati. Le simulazioni anche rivelato che un impianto di questo tipo potrebbe stoccare 15 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, grosso modo quanto emesso da 3 centrali a carbone di medie dimensioni. Un gigantesco impianto di Ccs con una forte ed ampia intrusione in  profondità, quanto basta (e forse molto di più) a scatenare l’opposizione di comitati locali e associazioni ambientaliste.

Jimmy Randolph, un ricercatore del dipartimento di scienze della terra dell’università del Minnesota non nasconde che «Uno dei nostri obiettivi chiave quando abbiamo iniziato a sviluppare la tecnologia CO2 plume geothermal è stato quello di individuare un modo per contribuire a rendere efficaci i costi dello stoccaggio della CO2, mentre si estendeva l’uso dell’energia geotermica».

Nel 2012 Buscheck aggiunto al mix da iniettare anche l’azoto ed è convinto che questa specie di acqua minerale molto frizzante consentirà di accumulo di energia ad alta efficienza ad una scala senza precedenti di almeno centinaia di gigawatt e per una durata di giorni o mesi, fornendo così una incredibile flessibilità operativa e riducendo il costo della produzione di energia da questa fonte rinnovabile.

Secondo Buscheck «L’azoto ha diversi vantaggi, può essere separato dall’aria a minor costo rispetto alla cattura della CO2,  è abbondante, non è corrosivo e non reagisce con la formazione geologica in cui viene iniettato. E poiché l’azoto è prontamente disponibile, può essere iniettato selettivamente. Così, gran parte dell’energia necessaria per trasportare i fluidi caldi dal sottosuolo profondo alla centrali elettriche in superficie  può essere spostato in tempo per coincidere con la domanda di potenza minimo o quando vi è un surplus di energia rinnovabile sulla rete elettrica. Perché stocchiamo energia sotto forma di fluidi a pressione, si può migliorare ulteriormente questo concetto producendo selettivamente fluidi caldi quando la richiesta di energia è alta, così come ridurre o interrompere la produzione quando la richiesta di energia è bassa. Ciò che rende questo concept trasformativo è che possiamo fornire energia rinnovabile ai clienti quando è necessario, piuttosto che quando il vento sembra soffiare, o quando in primavera disgelo provoca un maggior deflusso di acqua».

I ricercatori sono convinti che questa tecnologia “mista” potrebbe essere utilizzata per espandere l’utilizzo di energia geotermiche in tutti gli Usa dove ora le centrale geotermiche si trovano soprattutto in California e Nevada, dove una gradiente geotermico particolarmente forte riscalda acqua nel sottosuolo. Ma il nuovo progetto sembra molto più efficiente per estrarre calore anche in “hotspot” molto più piccoli degli Stati Uniti occidentali mentre negli Usa orientali scarseggiano anche i piccoli hotspot, geotermici e questo tipo di energia sarebbe comunque limitata ad alcune aree particolarmente attive come la West Virginia.

C’è però un altro problema: un impianto “CO2 plume geothermal” probabilmente dovrebbe essere collegato ad un grande fonte di emissioni di CO2, come una centrale a carbone, ma Buscheck dice che intanto l’impianto pilota che vuole realizzare potrebbe inizialmente essere alimentato esclusivamente con iniezioni di  azoto, «Al fine di dimostrare la fattibilità economica dell’utilizzo di CO2. Lo studio ha anche mostrato che questo progetto può lavorare efficacemente con o senza CO2 , ampliando le aree dove potrebbe essere installato questo approccio».

La tecnologia è comunque ancora a livello di sperimentazione, e il team di ricerca sta attualmente lavorando a più dettagliate simulazioni a computer e ad analisi economiche che riguardano specifiche aree geologiche negli Stati Uniti.

VIA | Greenreport

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