La grande problematica ambientale dell’Idroelettrico: “speriamo di sfangarla”
Anche le energie rinnovabili devono gestire criticità ambientali specifiche che, se fatte degenerare, ne limitano le potenzialità, con impatti ambientali crescenti. Non sfugge a questa considerazione, nemmeno l’antesignana delle fonti rinnovabili, come l’idroelettrico, che è stata la prima a popolare l’oggi variegato sistema elettrico sul finire del XIX secolo.
Il problema che assilla i bacini di accumulo è costituito dal progressivo interramento e riempimento del fondo, a cui ha corrisponde una progressiva riduzione di capacità e quindi di potenziale energetico.
Oggi quindi lo sfangamento di dighe e bacini idroelettrici, esteso anche ai nostri principali porti, che, per lo stesso fenomeno temporale, hanno visto progressivamente ridursi le proprie capacità di carenaggio, di accogliere cioè navi di una certa dimensione, diviene priorità. Per questi motivi infatti, lo sfangamento di dighe e porti è divenuta una emergenza importante, a tal punto che il governo Monti ha inserito una specifica norma orientata ad obbligare i soggetti responsabili a procedere in tal senso. Un ambito di intervento sicuramente complesso e che richiede tecnologie avanzate a basso impatto ambientale, dal momento che le pratiche di sfangamento non richiedono risposte solo quantitative nella rimozione dei fanghi e dei sedimenti, ma anche altamente qualitative e mirate ed adattabili alle singole specificità dei siti ed alla caratterizzazione chimico-fisica dei fanghi da trattare, dal momento che questi, sono in certi casi contaminati da sostanze inquinanti di varia natura. In questo senso è rilevante la riduzione della capacità di contenimento dei bacini, ridottasi di centinaia di milioni di m3 con pesanti conseguenze sulla capacità produttiva idroelettrica sia normale che post pompaggio. L’art 43 della manovra Monti e in particolare alcuni commi determinano la indicazione dei bacini di concerto con le regioni e finalmente l’indicazione che i concessionari dovranno farsi carico delle spese di risanamento.
Un pacchetto di interventi del valore economico di 1 miliardo di Euro, capace di portare un enorme beneficio economico per lo sviluppo delle rinnovabili e della loro capacita di coprire i fabbisogni anche di picco, consentendo nel contempo il recupero di una enorme quantità di sabbia da costruzione o per la ricostruzione degli arenili, incrementando notevolmente la capacità di autodepurazione dei bacini. Una richiesta, quella di procedere a ridare “nuova vita” a bacini, dighe e fiumi, nel senso più pieno del termine, sentita in ogni angolo del nostro paese, che anche nella zona in cui io vivo, l’asta del Fiume Arno, si è levata forte, soprattutto relativamente ai bacini di La Penna e Levane, che proprio sul fiume Arno si trovano a monte del Valdarno e di Firenze, dove le caratterizzazioni di fanghi e limi stimata in oltre 12 milioni di metri cubi tra i due bacini, effettuata da Arpat, ha evidenziato l’assenza di sostanze inquinanti evidenziando le grandi potenzialità di recupero dei fanghi depositatisi nel corso degli anni, con le sabbie che possono essere riutilizzate in edilizia ed i limi addirittura per il restauro. Importantissimi anche gli obiettivi che si conseguono con uno sfangamento dei bacini, effettuato con tecniche sostenibili sintetizzabili nel:
- ridare piena capacità di laminazione alle dighe per un loro pieno utilizzo idroelettrico;
- nuova capacità di trasporto solido del fiume, portando nuovo materiale sulle coste dando un contributo lenitivo nei confronti del crescente fenomeno dell’erosione costiera;
- ridare una grande capacità di depurazione al fiume fortemente ridotta proprio dai materiali fangosi depositati.
Un tema indubbiamente molto importante e che ha fatto registrare anche casi emblematici di forte impatto sui territori come nel caso della Diga del Furlo, in Provincia di Pesaro-Urbino. Una diga storica quella del Furlo (foto a destra), costruita agli inizi del ’900 (vedi documento storico archivio ENEL), che, dopo essersi completamente colmato, ha limitato l’accumulo di acqua di ottima qualità (quasi potabile) proveniente dall’immissario Candigliano, determinando, nell’estate 2003 (anno fortemente caldo e siccitoso) la chiusura per mancanza di acqua potabile di molti alberghi della costa marchigiana da Senigallia a Gabicce.
Un interramento, quello del Furlo, che grossi pregiudizi ha portato non solo all’indotto turistico ma anche all’agricoltura. Con un pompaggio in cima al reticolo idrografico che confluisce nei due rami del Burano e del Candigliano immissari del bacino infatti, si potrebbero creare piccole centrali ad acqua fluente nei bacini naturali che potrebbero funzionare quasi tutto l’anno incrementando notevolmente le produzioni di alta qualità dell’area come carni ed insaccati di maiale cintarello, una razza simile alla Cinta Senese, seppure meno nota, che vive da sempre nelle vicinanze dei ruscelli del comprensorio. Un influenza negativa che non risparmia un’altra delle eccellenze della zona, il tartufo bianco di Acqualagna, fortemente penalizzato nelle stagioni secche, per non parlare delle attività legate all’allevamento ed alla pesca della trota fario. In un tale contesto non è detto che serva raggiungere il 90% di efficienza nell’accumulo, spostando da un invaso all’altro al minimo di distanza e al massimo del dislivello enormi quantità d’acqua. In tanti altri casi in cui l’invaso a monte non c’è e non si può fare, infatti, basta accontentarsi di meno efficienza utilizzando piccoli salti a monte dell’unico invaso disponibile.
Il caso Furlo, renderebbe necessario preservare l’acqua potabile, non facendo mai miscelare in estate l’acqua del Candigliano con quella del più inquinato Metauro, che arriva alla confluenza proprio in prossimità del Furlo già esausto di scarichi urbani e industriali, per poi infiltrarsi nella piana che porta a Fano in una delle falde superficiali più inquinate in Italia, la cui acqua porta i nutrienti chimici fino al mare. Come possiamo quindi osservare, una pratica, quello dello sfangamento, importante per una serie innumerevole di riflessi sui territori, e che è fondamentale effettuare con tecniche e procedure corrette e sostenibili, in luogo di procedure approssimative e più economiche che determinano non pochi problemi e grandi impatti agli ecosistemi fluviali nei tratti a valle come dimostrano le immagine del video alla fine del post riferite alle operazioni di sfangamento della diga di Valle di Cadore (BL), dove con tecniche risparmiose per i gestori, i materiali sono stati riversati indiscriminatamente nei fiumi causandone la morte biologica per lunghi tratti.
Una parola anche per le tecnologie disponibili, dove quelle già disponibili per lo sfangamento sostenibile dei porti, impegnativo per i contaminanti presenti nei sedimenti e per i grandi impatti sugli ecosistemi con grandi difficoltà per gli stessi operatori portuali, potrebbero trovare applicazione proprio in molte delle dighe e dei bacini idroelettrici da sfangare, mitigando gli impatti ambientali sui sistemi fluviali su cui insistono. Infatti le tecniche convenzionali di dragaggio e di “mulinazione” possono creare impatti su vaste zone anche distanti chilometri dal punto di prelievo a causa del fenomeno di “risospensione” (per non parlare di operazioni discutibili effettuate senza il rispetto delle normative ambientali vigenti). Per questo si stanno diffondendo nuove innovative tecniche di dragaggio, meno invasive.
Tra queste quella di una azienda toscana come la Decomar Spa di Pontedera (PI) http://www.decomar.it/. Si tratta di una soluzione basata su una tecnologia a ricircolo che consente di operare in totale assenza di contatto con il fondale riducendo di fatto l’invasività ambientale operando “in situ” l’asportazione dei sedimenti, la separazione granulometrica degli stessi differenziando i materiali ingombranti, ed eliminando gli eventuali inquinanti dalla frazione a granulometria maggiore. Una siffatta operazione permette nel contempo di operare una riduzione in volume dell’eventuale frazione da conferire a trattamento. Di questa grande criticità si è parlato proprio ad ottobre scorso a Marina di Carrara durante il convegno Riferimento sito Ecquologia “Nuove tecnologie per lo sfangamento sostenibile dei porti”, una grande occasione di approfondimento per un tema dagli innumerevoli intrecci con la sostenibilità. Di seguito e scaricabile un file contenente una interessante animazione sui principi alla base della tecnologia Decomar per lo sfangamento sostenibile.
Sauro Secci
In esclusiva per Ecquologia.com
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