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Isola di Pasqua: la sfida della sostenibilità

Isola di Pasqua. Le 7 domande di Mauro Battocchi, Ambasciatore d’Italia presso la Repubblica del Cile.

Sulle pendici del Monte Terevaka, al centro dell’Isola di Pasqua, sette giganti in pietra fissano l’immensità azzurra del Pacifico. Tradizione vuole che i sette Moai rappresentino i sette esploratori inviati a terra dal grande re Hotu Matu’a, al termine di una lunga navigazione guidata solo dalle costellazioni celesti, allo scopo di trovare il miglior approdo nell’isola. L’approdo avverrà sulla spiaggia di Anakena, dando inizio alla colonizzazione umana del luogo più isolato della Terra.

Isola di Pasqua
Foto di Jean-Paul Corlin – Opera propria, CC BY-SA 4.0

La visita che ho compiuto nell’isola mi ha aperto gli occhi su un mondo a sé, carico di energie, fascino e misteri. Mi ha posto mille interrogativi che ancora mi scavano dentro. Condivido qui sette di queste domande—sette come i primi umani che hanno messo piede sull’isola.

1. L’energia de luogo

L’isola é pervasa da un’energia particolare, unica. Si sente. Si respira. Sara il viaggio di cinque ore in aereo sulla distesa dell’Oceano, una distanza quasi uguale giungendo dalla costa cilena o dalle isole della Polinesia francese. Sarà la vista di questo triangolo verde che spunta improvvisamente dal blu, coi suoi tre vulcani spenti. Oppure l’aria brillante e limpida che percorre le sue colline. Sarà lo sguardo millenario dei giganti di pietra che in vari angoli dell’isola torreggiano vicino al mare, enigmatici. Da dove viene questa energia?

Azzardo una risposta: l’isola é la sommità di una grande montagna di oltre 3000 metri che spunta solitaria dall’Oceano. Sembra un perfetto punto di congiunzione tra il mare, la terra e il cielo: Henua, Moana, Rangi. Un ombelico del mondo.

2. I moai

Allineati su lunghe piattaforme funerarie lungo il mare, alle estremità dei villaggi, con gli occhi rivolti al cielo ma lo sguardo protettore diretto agli abitanti del luogo, questi giganti in basalto hanno rappresentato per secoli l’energia spirituale di questo luogo. Rappresentazioni degli avi delle famiglie reali, i moai hanno concentrato l’ingegno di generazioni di abitanti dell’isola, impegnati nella scultura e nell’ingegneria del trasporto dalla cava di Rano Raraku a tutti gli angoli dell’isola. Degli oltre 900 moai prodotti nel corso dei secoli, negli ultimi settant’anni molti sono stati riportati alla postura eretta grazie al lavoro di grandi archeologi. Ma le intemperie li stanno corrodendo, licheni e funghi penetrano nella superficie. L’umanità saprà preservare questo patrimonio dell’umanità?

Mi dà speranza e orgoglio vedere gli italiani in prima fila in questo sforzo. L’Istituto Lorenzo De Medici di Firenze da anni sta lavorando pro bono per trasporre sui moai le tecniche di conservazione e restauro sviluppate in Italia. Ho scoperto che il Signor Lorenzo Casamenti, responsabile del restauro dell’Istituto, é considerato il “Lorenzo De Medici” di Rapa Nui: bravissimo! 

Isola di Pasqua
Moai Rano raraku

3. Catastrofe ecologica

Rapa Nui ha vissuto una catastrofe ecologica che la portò ai limiti della distruzione dell’ecosistema naturale e alla quasi estinzione dell’etnia rapanui. Una catastrofe da cui solo oggi l’isola si sta lentamente riprendendo. La rivalità tra i clan nel costruire moai sempre più grandi e dispendiosi e l’incapacità di comprendere la finitezza delle risorse naturali sull’isola condusse al disboscamento e al depauperamento della flora e della fauna. I moai furono tutti abbattuti a pancia ingiù dai clan rivali. 

A fine Ottocento, il dramma sfociò in tragedia. La deportazione in massa degli abitanti dell’isola per il lavoro in schiavitù in Perù, le stragi generate dalle epidemie di malattie trasmissibili e il confinamento forzato dei sopravvissuti in un’unica località. Tutto il resto dell’isola fu dedicato all’allevamento delle pecore.

Quest’isola persa nel nulla, a lungo senza contatti col mondo esterno, é la metafora della nostra Terra, il nostro “pallido puntino azzurro” nell’immensità dell’universo. Proprio come l’aveva descritto l’astronomo Carl Sagan guardando alla foto inviata dalla sonda Voyager. Per il mondo che vive oggi una nuova catastrofe ecologica e una crescente rivalità tra blocchi geopolitici, la lezione di Rapa Nui é inequivoca. Sapremo noi umani imparare dagli errori e dagli orrori vissuti a Rapa Nui ed evitare l’estinzione?

4. Resilienza e sapienza

Ragioni per sperare ci sono. Dai 111 sopravvissuti del 1877 oggi l’isola é passata a circa 5000 abitanti, di cui oltre 4000 di etnia rapanui. É un grande esempio di resilienza. 

Mi ha colpito scoprire che, per porre fine alle guerre intestine, gli abitanti dell’isola affidarono ad una gara sportiva il compito di decidere annualmente il clan che avrebbe dominato l’isola per l’anno successivo. Ad inizio della primavera, i leader dei clan si ritrovavano nel villaggio di Orongo, sulla cresta di un grande cratere vulcanico affacciato sul mare per il rito dell’uomo uccello. All’avvicinarsi dell’arrivo stagionale dei gabbiani Manutara, gli atleti dei rispettivi clan raggiungevano a nuoto un isolotto. E facevano a gara per trovare il primo uovo deposto dagli uccelli, simbolo di prosperità e continuità. L’atleta che per primo trovava l’uovo se lo legava in testa senza cercare di romperlo, tornava a nuoto e risaliva fino ad Orongo, dove veniva proclamato “uomo uccello”. Il suo clan acquisiva potere supremo sull’isola.

Sarebbe forse il caso di prendere Rapa Nui come modello di soluzione delle dispute internazionali?

Isola di Pasqua
Moto Nui, l’isola del culto dell’uomo uccello, vista dal villaggio di Orongo

5. Senso del sacro

Molti a Rapa Nui vivono ancora in simbiosi con la propria isola e con gli elementi. Hanno conservato un senso di riverenza per la natura che li circonda e gli dà la vita. Noi che viviamo sulla terraferma abbiamo perso il senso di dove veniamo e dove andiamo. Pensiamo alla natura come qualcosa di separato da noi stessi, ne facciamo un mero oggetto di consumo. Molti degli abitanti dell’isola sentono ancora l’oceano, la terra e le stelle come entità vive. Le famiglie danno ai figli l’indicazione di un animale con cui identificarsi: chi il delfino, chi la tartaruga di mare, chi il gabbiano. Non si sentono individui isolati, ma il frutto di una lunga sequela di antenati, il cui spirito é ancora presente nella natura. La domanda per noi visitatori é: Come recuperare questo profondo senso della sacralità della vita, in tutte le sue forme?

6. Salvare la lingua e la cultura rapanui

Il popolo rapanui affronta la grande sfida di conservare la propria lingua, che é ormai diventata secondaria rispetto allo spagnolo, e di preservare la propria cultura. Internet funziona ancora molto lentamente nell’isola. Ed i giovani hanno meno che altrove la tentazione di passare gran parte del loro tempo chini sullo schermo di uno smartphone. Ma sarà così anche in futuro? Riuscirà l’isola a modernizzarsi senza disperdere la propria essenza linguistica e culturale? Dipenderà dalla saggezza dei propri leader e dall’aiuto e consulenza che riceverà dall’esterno. 

7. La sfida della sostenibilità per l’Isola di Pasqua

In definitiva, la sfida di Rapa Nui s’identifica con quella dell’umanità nel suo insieme. Riuscire a sopravvivere e prosperare senza esaurire le risorse disponibili, che sono limitate. L’apertura al turismo dopo due anni e mezzo di chiusura per la pandemia dovrebbe congiungersi con la volontà di fare di Rapa Nui un modello di sostenibilità. Un ombelico del mondo che, sfiorata la tragedia, sappia proporsi come esempio di saggezza collettiva. E far vivere gli umani in simbiosi con la natura di cui sono parte. Riuscirà l’isola a riaprirsi al mondo esterno senza precipitare, col passare dei decenni, in una nuova catastrofe ecologica? Si tratta di una sfida che coinvolge tutti gli uomini e le donne di buona volontà, che condividono il destino del “pallido puntino azzurro” nell’immensità dell’universo chiamato Terra.

Iorana!

Immagine di copertina di William Hodges – Leggi anche L’Universo visto dal telescopio spaziale JWST

Redazione

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