Il rifiuto non rifiuto: una riflessione di Francesco Girardi
Proseguendo nella proposizione di articoli apparsi sulla rivista di Ecofuturo, Ecofuturo Magazine, il bimestrale delle innovazioni di Ecofuturo, proponiamo oggi una interessante riflessione sul recupero da rifiuti di un grande esperto come l’Amministratore di ASA Tivoli Francesco Girardi, responsabile settore rifiuti nel Comitato Tecnico Scientifico e Ecofuturo.
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Migliorare la raccolta dei rifiuti per incrementare l’economia circolare. Una ricetta difficile ma necessaria. 1973-1986: erano gli anni in cui si emanavano le prime leggi in materia di discariche di rifiuti e in cui si cominciò ad avvertire la necessità di servire adeguatamente il modello di crescita imbastito a fine ‘800 che accelerò, dopo la seconda guerra mondiale ed ebbe presto impellenze nello smaltimento dei suoi scarti. Risultato: grandi buchi fino a 30 metri dove nascondere dalla vista dei consumatori i loro scarti quotidiani nonché quelli industriali non digeribili nelle prassi antesignane dell’“end of waste”.
In quegli anni nascevano i distretti dello smaltimento dei rifiuti, avi delle moderne ATO e concettualmente legati a una visione dei rifiuti negativa e nefasta, una visione irresponsabile che considerava i rifiuti un problema da occultare. E i rifiuti sono un problema nella misura in cui gli stessi sono considerati un prodotto ineluttabile della vita umana, dunque qualcosa che fa parte di noi e intrinsecamente connesso alla nostra vita sul pianeta Terra.
Nel momento in cui si accetta l’ineluttabilità della produzione dei rifiuti stiamo ammettendo la possibilità di proseguire nell’attuale modello economico irresponsabile, scriteriato e fallimentare, che sta portando all’estinzione di tante specie viventi, minando la biodiversità del Pianeta e la permanenza della nostra specie.
Avremo modo di dilungarci nei prossimi numeri ma ci soffermiamo, per ora, su come ci si ponga di fronte alla scelta delle modalità di raccolta differenziata che rappresenta il primo passo contro una visione foriera di sprechi e di nefaste assuefazioni sociali.
I sistemi di raccolta dei rifiuti domiciliari nascono a Napoli o meglio, nell’intero Regno delle Due Sicilie a seguito dei primi editti Prefettizi datati 1832, anni in cui la raccolta delle “immondezze” e delle “sfabbricine” avveniva “al lato delle rispettive abitazioni” per consentire “l’esposizione delle immondizie avendone cura di separarne tutti i frammenti di ferro, di cristallo e di vetro ammonticchiandole al lato delle rispettive abitazioni”.
Il senso di circolarità dell’economia è leggibile in questi editti e proclami dei regnanti che arricchivano le loro disposizioni di sanzioni e le impreziosivano di frasi dense di morale ed etica, volta alla responsabilizzazione dei sudditi e alla dedizione per il rispetto del decoro e dei sistemi naturali.
È con l’avvento del consumismo in piena era plastic trap che le esigenze di raccolta sfuggono alle logiche di responsabilizzazione dell’utenza sempre più dedita al consumismo e all’usa e getta, come religione e scopo vitale: è l’intera economia che impone le discariche lontane dal cuore e lontane dagli occhi e i cassonetti diventano in questo contesto l’avamposto salvifico in cui riporre gli scarti di ieri per far posto a quelli di domani.
Questo sistema di raccolta permetteva agevolmente il trasporto fuori città nella discarica dei rifiuti permettendo la continua anche se abnorme produzione degli stessi, favorendo macchine sempre più potenti nelle fasi di compattazione e dunque sempre più capaci di “divorare” quanto prodotto dalla società.
Erano questi i momenti storici in cui le comunità più sensibili e responsabili, le piccole comunità che sentivano più e prima degli altri il peso dell’insostenibilità dei grandi centri metropolitani avviarono, non certo per decreto, nuovi modelli di raccolta associati quasi sempre a prassi di produzione dei rifiuti più attente, sia per vocazione agricola, sia per capacità manuali e artigiane più spiccate.
È senza dubbio nell’analisi urbanistica, nella conoscenza dello sviluppo socio-economico e nelle attitudini all’ecologia che vanno ricercati i modelli più efficaci di raccolta e gestione industriale degli oggetti dismessi e dei rifiuti. E in questo quadro è senza dubbio imprescindibile, da parte degli organismi deputati alla gestione del servizio di raccolta, l’essere dotati di sensibilità e profondo grado di conoscenza di tutto ciò.
Ecologia significa “relazioni di sistema” e in un contesto urbano, l’ecologia nei servizi pubblici è tutto: se non si sente e non si vede in modo ecologico, ogni più complesso e articolato modello di raccolta è destinato al fallimento. Si badi bene che anche l’impostazione di sistemi di raccolta domiciliari che generano maggiori costi è uno degli indicatori che mettono in evidenza come un sistema possa non essere adatto a quella realtà o contesto.
Non tutti i porta a porta riescono col buco. È dunque ammissibile un modello di raccolta domiciliare efficiente ed efficace che possa far funzionare in modo ecologico la collettività ma non è ammissibile la standardizzazione dei modelli di raccolta che non sono e non saranno mai degli “oggetti” omologabili, anche perché sono indissolubilmente legati all’intimità domestica delle utenze servite che meritano rispetto e che gli si tagli un vestito su misura. Ecco dunque che l’evoluzione naturale del porta a porta in una visione ecologica ed eco futuribile, non può che essere una raccolta sempre più responsabilizzante, per le nuove economie e le ecologie di scala. Però si pone il problema di come far meglio e con meno esborso economico.
Alcune realtà in Europa ma anche in Italia, stanno sperimentando il “ritorno allo stradale”, quello fatto bene che riesca a ricreare tutte le condizioni della percezione ecologica dell’economia circolare e della partecipazione a questa rivoluzione dolce chiamata raccolta differenziata.
Se non di sola percentuale di raccolta raggiunta si nutre il vero porta a porta, non di sola raccolta differenziata si nutre l’economia circolare: essa può esistere e svilupparsi se a monte si innescano spiccate capacità intellettive da parte dei produttori dei rifiuti ed è importante trovare il modo per muovere queste leve emozionali per l’ambiente e il futuro.
Bisogna saper coinvolgere gli utenti, l’essenza vera delle comunità. Per magia quando si trova il modo più consono, gradito e coinvolgente, i rifiuti spariscono, non certo smaterializzandosi,non si smaterializzano d’emblé tutti quanti, ma sono elevati al rango di materia prima per nuovi processi produttivi forieri di nuove “ecologie di scala” e risparmio energetico nonché nell’approvvigionamento di materia prima vergine minerale. Divengono “gli oggetti di lavoro”, simili a quelli presenti in natura senza intervento dell’uomo, di cui parlava Karl Marx.
Ecco il modo per consentire all’uomo di ritrovare se stesso riconoscendo quanta natura c’è negli oggetti dismessi fatti di sostanze minerali ed energia, di sostanze biodegradabili al pari della sostanza umana. E se l’uomo sente una cosa sua, la sente buona e positiva e sente che può far meglio, già da domani scatta il riuso, magari di una bottiglia di vetro e da qui al vedere “quanto costa l’acqua al supermercato”, oppure al cercare “i pannolini lavabili per il futuro del mio bimbo”, il passo è breve. E così s’innesca un’economia che oltre a essere circolare è virtuosa, sia per il Pianeta, sia per le persone.
Francesco Girardi – Ingegnere Ambientale
Amministratore ASA Tivoli SpA
Comitato Tecnico Scientifico Ecofuturo