Il mondo oscuro della salviette monouso

C’è un mondo di qualche metro immerso tra i km di scaffali dei supermercati,  coinvolgente, semplificante, efficiente, di cui noi consumatori sappiamo veramente poco, ma che può riservare qualche sorpresa in termini di gravità per il suo impatto ambientale: è il mondo delle salviette umidificate che puliscono il corpo e sporcano il mondo attraverso la plastica di cui sono costituite.

    {tweetme} #salviettemonouso #plasticfree “Il mondo oscuro della salviette monouso: sono di plastica e nessun consumatore lo sa” {/tweetme}

Ci sono quelle per i neonati, per  l’igiene intima, per gli animali da compagnia,  per il cibo, per uso professionale, per aiutarci in casa o solo rinfrescarci durante gli assolati percorsi estivi in barca come in montagna. Ma quali sono i volumi di tale business globale? quali i punti di forza e quelli di impatto ambientale? Che cosa sono per la legge? E cosa sono per il consumatore? Ma soprattutto cosa sono per il Pianeta?

Internet aiuta poco e in modo filatelico: occorre raccogliere francobolli di notizia sparsi per il web e provare a incollarli; in altri casi ricerche più professionali esigono ”esborsi  di soldi consistenti, o password riservate ai membri di associazioni che assomigliano più a lobbies e che se li possono permettere. Sembra che il consumatore non debba sapere, importante sappia solo usare senza chiedersi perché.

Cominciamo da questi siti professionali. Il sito dell’editore Smjitherpira nel suo rapporto pubblicato 31 gennaio 2018 ci dice che:

  1. il valore  planetario del settore è stimato in 16,6 bilioni di USD e consuma circa 1,2 milioni di tonnellate di tessuto-non-tessuto ovvero di fibre che si vedrà oltre non sono per lo più biodegradabili  e di soluzione detergente che per almeno il 90% del peso è acqua;
  2. il mercato delle salviette per bambini è stato superato in corsa dalle salviette umidificate per la pulizia della casa ( il monouso si usa anche per lavare i piatti del pranzo?) anche se il peso delle salviette dei bambini  è ben 4 volte superiore a quello della pulizia casa;
  3. Infine ci dice (prima di  oscurare i contenuti e quindi paghi se vuoi saperne di più) che da qui al 2023 il settore crescerà a 21,8 miliardi di dollari  (+31%) e il peso dei materiali usati per le salviette salirà 1,6 milioni di tonnellate (+33,3%). – nonostante ci rassicura invece Edana (ass. produttori con tessuti europei) che il peso delle salviette è diminuito del 7% (che però essendo aumentati i consumi non varia nel suo impatto sull’ambiente).

Ricapitolando scopriamo che un pacchetto da 80 salviette  del costo massimo all’uscita dalla fabbrica di 0,60 USD, di 200 gr di peso totale di cui 100 gr di materiale fibroso, produce un valore economico di 1,383 USD ovvero il 230,5%: pare un buon business visto che quasi la metà del peso è  materiale a basso costo come acqua e l’altra metà fibre tessili il cui valore all’origine non supera i  0,35 USD (80 salviette 20,x15 cm); I maggiori costi sono dunque dati dalla tecnologia usata il cui costo per una linea di produzione completa, oggi supera facilmente  i 14 milioni di dollari ed è chiamata spunlacing  ovvero usa idrogetti d’acqua ad alta pressione che poi viene recuperata, filtrata e reimmessa in circolo ad una velocità di produzione da centometrista stimabile per difetto in  16,200 Ton di fibra  (Nota1) consumata ogni ora, con impatto ambientale e  i consumo energetici oggi veramente ridotti all’osso per m2 di prodotto fibroso.

Molto interessante è anche il processo di impacchettamento. Oggi una linea di produzione moderna di confezionamento arriva a sformare 600 pacchetti il minuto comunica la società  italiana Tecnoweb sul proprio sito. Quindi in media per difetto in 1 turno di lavoro fino a 170.000 pacchetti, che in un anno vogliono dire  148 milioni  di pacchetti da 80 salviette poco più grandi di una mano (20×15 cm)

Tuttavia questi numeri non sono sufficienti  a impressionare il semplice consumatore che nel suo quotidiano è chiamato ad acquistare da uno scaffale senza avere coscienza piena di quello che la sua azione può incidere sulla sostenibilità del Pianeta – mentre per la parte economica ci riesce abbastanza bene –  e soprattutto non riesce a spiegare il comportamento della Comunità Europea che i cittadini è chiamato a tutelarli e soprattutto a progettare e guidare il futuro della sua comunità anche se del tutto ormai interconnessa con il resto del Pianeta.

Ecco dunque i punti di debolezza del mercato delle salviette umidificate: 1- sui pacchetti si informa circa la parte detergente normata da una legge  sulla cosmesi ma NON si dice niente sulla parte che invece va a costituire un rifiuto da 1,2 miliardi di kg annui. Perchè?  L’associazione Edana, la potente lobby dei produttori di nontessuti e dei prodotti igienici monouso, evidenzia nel suo report grafico che: “se nel 2012 il driver  del cambiamento era la richiesta del consumatore nell’82% dei cassie nel 2017 invece è lo stesso cliente (ndr: del produttore della pacchetto –  cioè un distributore o una catena di supermercati – a richiedere l’innovazione green  (80%) con un trend in crescita rispetto al 2012/14. 

Il dato inquietante è che la politica NON guida il cambiamento (se non per il 25% dei casi analizzati) mentre i fornitori – cioè chi dovrebbe/potrebbe fornire l’innovazione sul prodotto che diventa rifiuto (la salvietta) sono ancora più giù, al 14%. Questo significa che i fornitori seguono quello che l’industria gli chiede, che segue quello che  il cliente gli chiede (supermercato).

Ma chi influenza il cliente? Le ricerche di mercato al consumo? Il consumatore forse? Il driver resta infatti il consumatore, più attento di un tempo ma sempre spesso impreparato. Quello che cerca infatti sembra un prodotto che sia viatico per la coscienza, almeno a quanto deduciamo da un altro punto del report in questione circa i punti critici del sistema  da evidenziare nella comunicazione sui pacchetti:”…but baby cleaning and cosmetic wipes must go in the bin, not the toilet! ….Gettare nel cestino, non nel wc. Questo fenomeno ricorda quello dei bastoncini per le orecchie che si trovano sulle spiagge  – anche italiane (v.foto) – in quantità industriale:…Wet wipes made up more than 90% of the material causing sewer blockages  that Water , UK investigated in 2017, rivela il sito: friendsoftheearth.uk. In altre parole le salviette sono percepite con un oggetto sporco una volta usato da far sparire dalla vista o da gettare in terra una volta usato lungo i sentieri di montagna dopo aver fatto il bisognino. 

Forse la percezione di un utente è che le salviette  siano fatte di materiali naturali, biodegradabili?  Come cotone o addirittura carta, cioè cellulosa proveniente  da alberi. Certo se dipendesse dall’informazione ricevuta sui pacchi circa il materiale usato – cosa che tutte le associazioni dei produttori non evidenziano –  forse si potrebbe eccepire il fatto che la colpa sia la malafede del consumatore che sapendo, decide comunque di compiere una azione socialmente ingiusta: gettare in terra, gettare nella fogna che scarica nel fiume che porta fino al mare, che si trova nella pancia della balena. Invece nè il produttore, né le associazioni, né tantomeno, lo Stato o la EU, si preoccupano che 1,2 milioni di kg di rifiuti annuali di salviette nella maggior parte dei casi non soltanto non sono computabili ma neppure biodegradabili come ci evidenzia per es un utente  del professionale social linkedin. https://www.linkedin.com/pulse/raw-material-wet-wipes-production-2-what-zoe/  la combinazione di fibre più comune nelle salviette umidificate è pet/viscosa ovvero poliestere (fibra sintetica di derivazione petrolifera, non biodegradabile) e viscosa  (nome tecnico sarebbe rayon -fibra artificiale ottenuta da cellulosa di albero, biodegradabile e sostenibile solo se ottenuta da foreste coltivate certificate  da standard come: fsc o pefc) e in alternativa: polpa di cellulosa (base della carta), pet o polpa cellulosa e polipropilene (quindi anche questa plastica non biodegradabile). Dove la fibra di cellulosa serve per trattenere e incorporare  l’umidità della salvietta e il poliestere per impedire che si sfaldi quando viene usata (ndr.e costa meno del rayon).

Ma la conseguenza è che almeno il 30% di 1,2 milioni di kg di rifiuto nel mondo NON è biodegradabile. Inoltre la legge almeno italiana stabilisce che se un rifiuto è composta da 2 materie prime NON omogenee questo rifiuto deve andare nel bidone della indifferenziata che tra l’altro è quella frazione che costa di più nelle tasche degli italiani (il doppio del rifiuto organico in media).

Dunque sarebbe meglio le salviette fossero 100% di poliestere piuttosto che in mescola con fibre biodegradabili o che fossero 100% di fibra cellulosica come il cotone,  se non il più economico rayon, perdendo i benefici di entrambi.

Se ne conclude che se forse la legge obbligasse con chiarezza a riportare sulla confezione quello che è il  vero scarto – impatto –  potenziale delle salviette, il consumatore potrebbe fare una scelta critica, scegliere tra le alternativi possibili (ndr: che ci sono già in commercio ma in quantità limitatissime e vendute spesso a peso d’oro cioè in odore di speculazione). 

L’Italia è tra i maggiori produttori mondiali sia di tecnologie per la produzione del materiale fibroso della salvietta che delle macchine confezionatrici ma è anche produttore di pacchetti di livello europeo con ben 6-7 tra i market leader del settore in Europa come da tradizione  industriale. Siamo infatti grandi trasformatori di beni. Difficile in conclusione fare un calcolo di quante salviette vengono consumate in Italia o in Europa (forse intorno a 10 miliardi pacchetti anno?) ma sicuramente chi leggerà questo articolo, se fosse un politico, si dovrebbe interrogare  su come mai il consumatore di prodotti monouso debba di abitudine consolidata restare ignorante sui gesti che compie quotidianamente, spesso inconsapevolmente parte di un sistema dove la regola è comunque consumare senza pensare che il futuro non appartiene a noi (magari a tuo figlio, ma questa è un’altra storia). Frattanto l’associazione europea dei produttori  di semilavorati fibrosi e di pacchetti di salviette Edana, nelle linee guide verso la sostenibilità e l’encomia circolare scrive ai suoi membri: Building trust (costruire la fiducia): 1- incrementando la trasparenza e salvaguardando la la qualità ai consumatori; 2 gestione del prodotto con comunicazione e etichettature trasparenti, trcciabilità  della filiera di fornitura su base volontaria.  Di scrivere chiaramente in chiaro la composizione, non c’è traccia ma la strada della tracciabilità volontaria si potrebbe interpretare anche in questo senso. Da incoraggiare comunque, da normare sarebbe meglio.

Il fenomeno in numeri:

  • 200.000.000 kg di fibre usate per fare salviette ogni anno nel Pianeta
  • Composte in media da 70% fibra biodegradabile 30% fibra sintetica (360.000.000 kg non biodegradabili)
  • Peso medio salvietta 40 gr
  • Dimensione 20×15 cm
  • Peso pacchetto da 80 salviette circa 200 gr (120 di liquido – 2,4 mt2 tessuto)
  • Superficie salviette prodotto 1 anno nel mondo circa: 30 miliardi mt2
  • Se messe una accanto all’altra: superficie 30.000 km2 come Toscana+Umbria (31.441 km2)
  • Se messe una sopra l’altra in un campo di calcio di 1etaro: 3 km di altezza (3 volte l’attuale grattacielo più alto del mondo 828 mt a Dubai)
  • Se spedite nello spazio: creata una passerella larga 15 cm e lunga fino al sole (149.600 km) + circa 1/3 di strada di ritorno.

Marco Benedetti
Email: m.benedetticonsulting@gmail.com

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