Il difficile riciclaggio del polistirolo: una soluzione per produrre energia

Il mondo del riciclaggio dei rifiuti è indubbiamente molto composito, con alcuni materiali ancora molto difficili da recuperare per mancanza di metodi efficienti ed affidabili di recupero. Uno di questi è indubbiamente costituito da un materiale che ha visto un crescente impiego sia come isolante ma anche nel settore degli imballaggi come il “polistirolo”, nome commerciale con il quale viene individuato il polistirene.


Proprio questo materiale, così difficile da riciclare, sembra arricchirsi oggi di una nuova tecnologia messa a punto dagli scienziati della Purdue University, che consente di risolvere il problema producendo l’opportunità di produrre energia. Il grande decollo del polistirolo nell’imballaggio, risale al 1965, quando il gigante della chimica Dow Chemical,inventò una speciale tipologia di polistirolo pensata per assicurare il trasporto di materiali fragili, costituito da piccole “noccioline” (letteralmente dal termine inglese di peanuts) proprio di polistirene. Da allora, ogni anno miliardi di queste noccioline venivano gettate, con una percentuale di riciclo che sfiora appena il 10% di un materiale che impiega intere generazioni a decomporsi, ma soprattutto contiene delle sostanze chimiche ritenute cancerogene.

Sono stati proprio gli scienziati della Purdue University a condurre una specifica ricerca che renderà  presto possibile riciclare queste “noccioline”, potendo quintuplicare nell’arco di cinque anni la percentuale di riutilizzo a circa il 50%. Si tratta di una nuova tecnologia che renderà possibile impiegare le “noccioline” di polistirene per fabbricare anodi di carbonio, impiegabili poi, come componenti costruttivi di batterie ricaricabili, vista la loro composizione di carbonio, idrogeno e ossigeno.

processo

L’idea originaria del team di ricerca statunitense, è stata quella di utilizzare il carbonio per creare un anodo di una batteria ioni litio, attualmente tra le più utilizzate per smartphone, computer, apparecchi elettronici e batterie per auto elettriche. Riscaldando le “noccioline” in condizioni specifiche, i ricercatori hanno osservato che potevano isolare il carbonio, disponendo così dell’idrogeno e dell’ossigeno sotto forma di vapore acqueo, evitando così di avere dei residui dannosi per l’ambiente. Inoltre grazie al calore è possibile anche modellare il carbonio in fogli sottili, utilizzabili come anodi della batteriaLa nuova batteria così ottenuta, è in grado di immagazzinare circa il 15% di energia in più, con tempi di ricarica decisamente più rapidi rispetto alle batterie agli ioni litio convenzionali. Secondo i ricercatori infatti, gli anodi così ottenuti funzionano talmente bene da superare quelli in commercio, presentando una capacità massima specifica di 420 mAh/g, a fronte del teorico 372 mAh/g massimo della grafite. Il processo secondo il team, è poco costoso, più sostenibile e potenzialmente adatto alla produzione su larga scala. Le analisi microscopiche e spettroscopiche hanno dimostrato che le microstrutture responsabili di queste prestazioni elettrochimiche superiori si mantengono per molti cicli di carica-scarica. Particolare certamente non trascurabile, nel nuovo processo, è costituito dal fatto che il processo di isolamento del carbonio puro dalle “noccioline” di polistirolo, richiede decisamente molta meno energia rispetto alle temperature necessarie per produrre carbonio per gli anodi delle batterie, pari a circa 1.100 gradi Fahrenheit (600 gradi °C) contro 3.600-4.500 (2000-2500 °C).

Una ricerca innovativa che è già sfociata in un brevetto da parte del team di ricerca statunitense, che spera di portare sul mercato il nuovo processo nel giro di cinque anni.

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A seguire un breve video che ci illustra i principi su cui si basa il nuovo brevetto

 Sauro Secci

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