Green deal europeo: Italia distratta
L’ex coordinatore di gruppo alla commissione Itre dell’Europarlamento, Dario Tamburrano, che attualmente svolge il ruolo di consulente sui principali dossier energetici europei, spiega in un’intervista a QualEnergia che non solo l’opinione pubblica, ma anche le stesse associazioni italiane, sono spesso distanti dai processi legislativi dell’Unione Europea.
È grave che la stampa generalista italiana diffonda sempre più frequentemente notizie allarmistiche e infondate sulle norme europee in arrivo. Ma per certi versi è anche comprensibile.
Più difficile da capire è, invece, che la maggioranza delle associazioni di categoria italiane, peraltro preparate tecnicamente, dimostri di non avere il polso di cosa succede a Bruxelles e di quanto sia importante. La preoccupazione è che così si interviene poco e in ritardo. Con il risultato di essere ininfluenti. O di far sentire la propria voce quando i giochi sono ormai fatti e i testi quasi impossibili da modificare.
Queste sono le due facce della pericolosa distanza italiana dai processi legislativi europei che emergono parlando con chi segue da vicino quel che accade in Europa.
Ecco l’intervista di Giulio Meneghello a Dario Tamburrano, dal 2014 al 2019 europarlamentare M5S e coordinatore del gruppo EFDD alla commissione Itre (Industria, ricerca ed energia) del Parlamento Ue, tuttora attivo come policy advisor sui principali dossier energetici Ue.
Rivoluzione legislativa in atto
Questa scarsa coscienza di quanto si decide a livello europeo è particolarmente pericolosa in questo momento in cui in Europa “c’è una rivoluzione legislativa in atto quanto mai rapida per adeguare il quadro giuridico Ue agli obiettivi del Green Deal”. “Le tensioni geopolitiche, forse più che quelle climatico ecologiche, come la dipendenza energetica dalla Russia e le sue ricadute economiche e sociali, sono alla base di questa spinta politica ad accelerare”.
“Molte delle proposte che fino a non molti anni fa venivano solo da alcune aree politiche progressiste all’interno del Parlamento europeo, ed erano regolarmente rigettate dalla maggioranza, ora sono diventate la linea politica della Commissione”.
Ora, come consulente di un’eurodeputata, Tamburrano sta seguendo in particolare il Green Deal Industrial Plan, importante pacchetto legislativo che comprende la legge sull’industria a zero emissioni nette, la riforma del mercato dell’energia elettrica e la normativa sulle materie prime critiche.
I lavori sulla riforma del mercato elettrico
“La Commissione europea non ha intrapreso in questa riforma il percorso del decoupling del chilowattora di origine rinnovabile da quello di origine fossile. Ma è intervenuta modificando l’impianto normativo preesistente, le cui basi sono state concepite oltre 20 anni fa. Un modello di mercato dell’energia nato quindi per un sistema energetico di tipo fossile e molto meno elettrificato di oggi e di quanto dovrà esserlo nel breve periodo. Senza osare quindi grandi rivoluzioni. È una riforma di transizione, dettata dall’urgenza di ridurre gli impatti della volatilità dei prezzi, utile e necessaria, ma probabilmente bisognerà rimetterci le mani nella prossima legislatura”.
Diversi sono gli aspetti positivi come la spinta sui PPA (ndr. contratti di acquisto dell’energia a medio e lungo termine) e soprattutto sulla condivisione dell’energia. “Si rende un diritto l’energy sharing non solo nelle comunità energetiche, ma per tutti gli utenti finali”.
Nella riforma per ora è rimasto anche il contestato tetto ai ricavi dei produttori da fonti inframarginali, nonostante le proteste di molte associazioni delle rinnovabili.
In sostanza, ci spiega il policy advisor, questo è avvenuto anche perché molte delle associazioni di categoria interessate non hanno inviato i propri position paper ai deputati in tempo per i primi emendamenti nella commissione Itre. Con il rischio che il processo legislativo prenda una piega difficile da correggere successivamente.
Mancanza di consapevolezza
“In Italia e in alcuni Paesi membri manca un’attenzione all’inizio del processo normativo. Ovvero la Commissione europea elabora le proposte legislative, queste poi passano al vaglio delle varie commissioni competenti del Parlamento e del Consiglio Ue. Il momento in cui è consigliabile ed efficace intervenire è quello della presentazione dei primi emendamenti nelle commissioni competenti”.
Quei primi emendamenti, prosegue, “se c’è la volontà politica e una convergenza, entrano a far parte dei cosiddetti emendamenti di compromesso. E vanno a formare la posizione del Parlamento che, a differenza di quanto comunemente si crede in Italia e soprattutto dopo il Trattato di Lisbona, ha un potere non indifferente nel modificare le proposte legislative avanzate dalla Commissione Europea”.
“Adesso, sia per il regolamento sui materiali critici che per la riforma del mercato elettrico, siamo alla formazione degli emendamenti di compromesso. Per gli emendamenti iniziali la deadline era la settimana scorsa”. Tradotto, ora è tardi per chiedere modifiche.
A livello europeo c’è un’accelerazione del processo legislativo, spinta dalle citate urgenze climatiche e geopolitiche. “L’iter normativo in precedenza occupava due-tre anni, a volte più. Ora i tempi si sono ridotti a sei mesi-un anno. Motivo per cui sarebbe opportuno aumentare ulteriormente l’attenzione e la reattività, perché intervenire successivamente è estremamente complicato, se non impossibile”.
Cattiva informazione e direttiva Case green
In Italia, facciamo notare, la consapevolezza di quel che si decide in Europa è però bassa. Anche per un cattivo servizio di gran parte della stampa. “Il livello dell’informazione su quello che avviene in Europa è estremamente basso e assai impreciso. Si leggono articoli generalisti su norme europee, dove chi scrive evidentemente non conosce il processo legislativo né ha mai letto i testi. Viene raramente indicato a quale stadio è il testo stesso. Se è una proposta, se è quello votato nella commissione competente o nella plenaria, se è quello finale concordato con il Consiglio Ue”.
Articoli, rincara Tamburrano, “scritti per sentito dire, con titoli allarmistici su cose che poi in realtà non esistono nei testi. Oppure sono proposte decadute, o articoli che danno per approvate norme che invece ancora devono essere discusse”.
Di cattiva informazione ne abbiamo vista tanta, ad esempio, sulla riforma della direttiva sulla performance energetica in edilizia, con allarmi ingiustificati, cavalcati anche dal Governo. Perché succede? “Essenzialmente a scopo di consenso, cioè per convogliare il sentiment dell’elettorato verso una parte politica o l’altra. È molto più facile lanciare l’allarme e polarizzare emotivamente, piuttosto che spiegare”.
“Per quanto riguarda la direttiva Case green ci sono effettivamente criticità e possibili difficoltà di applicazione in futuro. Ma vi è una certa libertà degli Stati membri per raggiungerne gli obiettivi. Vi è del tempo per adeguarsi. E secondo me una corretta informazione dovrebbe spiegare che una casa cosiddetta green, che viene ormai vissuta come una vessazione, non è una spesa a perdere, ma un investimento che se programmato da qui al 2030, può essere fatto gradualmente, che ha un tempo di ritorno certo, e più rapido tanto più aumentano i costi dell’energia”.
Lobbismo distratto
Oltre che di opinione pubblica, per capire l’altra faccia della pericolosa distanza italiana dall’Europa, è interessante capire come gli eurodeputati formano le loro opinioni. “Il parlamentare europeo è soggetto in primis alla pressione del partito politico di appartenenza. Quelli che afferiscono a una forza politica che governa, tendono a prendere la stessa posizione del governo nazionale. Una distorsione, visto che il Parlamento europeo per statuto rappresenta i cittadini mentre è il Consiglio europeo a rappresentare gli Stati membri”.
“Poi ci sono i gruppi con grandi risorse di tipo tecnico. Producono position paper assai puntuali ed esercitano pressione sui singoli parlamentari. In maniera particolare su quelli più influenti che sono i relatori del provvedimento, i relatori ombra o i coordinatori del gruppo politico. Quello che manca è una pressione puntuale e nei tempi giusti da parte della società civile e delle organizzazioni italiane che sia almeno pari a quella dei grandi gruppi”.
“A me è capitato, per esempio, per la riforma del mercato elettrico del 2019, di ricevere da portatori di legittimi interessi nazionali una richiesta, a 15 giorni dall’approvazione di un testo che di fatto era già chiuso. Si trattava di una modifica che avrebbe comportato l’inserimento di un nuovo articolo. Cosa impossibile a quel punto del processo, dopo che si è trovato un accordo sul testo all’interno del Parlamento e del Consiglio. E parliamo di una proposta di modifica condivisibile, che avrebbe avuto buona possibilità di essere accolta se fosse arrivata nel 2016 all’inizio del processo legislativo”.
Un problema di mancata conoscenza dei meccanismi? “La cosa sorprendente è che ci sono alcune associazioni di settore ben centrate sulle questioni tecnico-normative, le quali però non hanno contezza di quello che succede a Bruxelles e fanno sentire la loro voce solo a livello nazionale quando le norme ormai scritte vengono recepite. Eppure, piaccia o meno, è noto che buona parte delle norme nazionali discendono da provvedimenti europei e quindi è lì che bisogna insistere. Farsi sentire in Italia significa provare a intervenire tardivamente in maniera parziale e inefficace, o addirittura affrontare procedure di infrazione, che poi paghiamo noi tutti”.
Link QualEnergia.it: La pericolosa distrazione italiana su quel che si decide a Bruxelles – Leggi anche Regolamento UE sui gas refrigeranti. Davide contro Golia