Geotermia tra energia e lavoro: ecco il progetto

Castel Giorgio, la società pronta a realizzare gli impianti esce allo scoperto e illustra caratteristiche e opportunità


CASTEL GIORGIO – Mentre l’assessore regionale all’Ambiente Silvano Rometti sollecita un tavolo con la Regione Lazio per approfondire il tema, invitando anche le associazioni ambientaliste e i vari comitati, la Itw Lkw Geotermia Italia per la prima volta esce allo scoperto e cala il progetto per la realizzazione degli impianti pilota sull’altopiano dell’Alfina, tra i comuni di Castel Giorgio e Acquapendente. Progetti che sono ancora al vaglio del ministero per lo Sviluppo economico, ma l’iter è bene avviato. La società che li realizzerà fonda le sue basi tra la Svizzera e la Germania. Fino a oggi ha preferito rimanere dietro le quinte e non replicare mai alle dure contestazioni che in questi anni si sono sollevate contro gli impianti.

Ma adesso ha deciso che è giunto il momento di «un’operazione verità» ed ecco le linee guida da cui prenderanno forma gli impianti. «Saranno basati su una innovativa piattaforma tecnologica a ciclo binario, che consentirà di sfruttare serbatoi geologici a media entalpia (a bassa temperatura, intorno ai 140° C), restando ad una profondità di circa 1000 metri – spiega una nota dell’azienda, che aggiunge -: sono dunque infondate le obiezioni che associano il progetto di Geotermia Italia alle centrali ad alta entalpia, ormai obsolete e presenti, in Italia, sul monte Amiata. Le tecnologie a media entalpia rappresentano la nuova frontiera della geotermia a livello internazionale: il progetto di Geotermia Italia consentirà all’Italia di allinearsi alle buone pratiche internazionali, utilizzando appieno un grande potenziale di risorse non sfruttate, in Italia impianti così oggi non esistono».

E le rassicurazioni non terminano qui. «A differenza delle centrali geotermiche ad alta entalpia, come quella di Larderello – spiega ancora l’azienda -, gli impianti a media entalpia garantiscono elevati standard di tutela ambientale e paesaggistica: la produzione non prevede emissioni in atmosfera di fumi, vapori o altre sostanze, essendo basata su un circuito chiuso a ciclo binario; non ci sono rischi per le falde acquifere, grazie alla predisposizione di sistemi anticorrosione e di controllo, anche in remoto e non essendoci emissioni in atmosfera, non c’è alcun impatto olfattivo.

Dal punto di vista paesaggistico, gli impianti pilota avranno dimensioni ridotte, occupando una superficie assai inferiore rispetto a centrali di pari capacità produttiva energetica annuale. In particolare, non è prevista la costruzione di torri di trivellazione come quelle da 40 metri dell’Amiata. Quindi chi si oppone ai progetti di Geotermia Italia sulla base di timori associati alle centrali ad alta entalpia parte da un presupposto non corretto».

Se sfruttare la risorsa geotermica sarà un modo nuovo per produrre energia – sull’Alfina si prevede che ogni impianto sia in grado di rilasciare 5 mw -, allo stesso tempo potrà essere anche un’opportunità economica e lavorativa per il territorio. Geotermia Italia prevede, infatti, un versamento una tantum al Comune di Castel Giorgio che ospiterà la centrale di un milione e 500mila euro, «pari al 4% dell’investimento». Un’iniezione di liquidità che ovviamente sarebbe oro per le casse comunali e quindi per la collettività. Inoltre, nei due anni di cantierizzazione «il progetto creerà lavoro per circa 40 persone», fanno sapere dalla società. «Mentre, una volta a regime, gli impianti creeranno occupazione per 23 persone». La nota diffusa da Geotermia Italia si prolunga anche con tutta una serie di vantaggi pratici che il territorio potrebbe ottenere dagli impianti e soprattutto evidenzia come la centrale «non creerà alcun problema sotto il profilo sismico, non ci saranno sollecitazioni sulle formazioni geologiche interessate».

Tutte rassicurazioni che con ogni probabilità non metteranno a tacere i comitati contrari al progetto, ma quantomeno sono il grimaldello per entrare in una nuova fase: quella del dialogo aperto.

FONTE | Giornale dell’umbria

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