Fotovoltaico di terza generazione: il colorante organico raggiunge l’efficienza del silicio
Il fotovoltaico di terza generazione cosidetto “organico” raggiunge in temrini di prestazioni i predecessori.
Più abbiamo volte parlato della grande vivacità della ricerca fotovoltaica, che oggi vede affiancata, alla prima storica generazione basata sul silicio come materiale anche la seconda generazione, basata su materiali alternativi al silicio, ed una terza generazione che raggruppa il cosiddetto “fotovoltaico organico”, quello cioè, che vede alla base del suo funzionamento materiali organici ampiamente disponibili in natura e comunque facilmente coltivabili e capaci di portare enormi economicità di scala, ispirandosi a processi fondamentali della vita e delle piante come la fotosintesi clorofilliana.( “Il fotovoltaico organico cresce grazie alle nanotecnologie“).
Questa tecnologia solare economica, fino ad oggi in fase pre-commerciale per le ancora basse efficienze di funzionamento potrebbe essere ad una svolta, visto quanto realizzato dal fisico Michael Grätzel della Scuola Politecnica di Losanna. Grätzel è noto per aver realizzato fino dagli anni ’90 celle fotovoltaiche composte da un colorante organico, che assorbe la luce ed emette fotoni, e uno strato di trasparente biossido di titanio, che li cattura trasmettendoli all’elettrodo (vedi figura a destra). Si tratta della tecnologia fotovoltaica organica definita DSSC (Dye-Sensitized Solar Cell), le cui celle, secondo NanoMarkets, sono prossime alla consacrazione commerciale, dal momento che raggiungeranno la maturità industriale tra pochi anni, aprendo le porte a un importante giro d’affari.
Una tecnologia che vede anche l’Italia presente con i buoni risultati ottenuti dal Polo solare organico della Regione Lazio, ‘Chose’, che ha oggi pannelli in fase di preindustrializzazione. Sino ad oggi le caratteristiche salienti in termini di efficienza energetica delle celle DSSC, presentano come detto una minore efficienza, rispetto al silicio, che si assesta intorno al 9%, ma con una produttività equivalente analoga, in virtù delle migliori performance di tali celle anche in presenza di radiazione riflessa e diffusa ed una vita utile ancora non competitiva con le tecnologie fotovoltaiche tradizionali.
A seguire una figura che raggruppa le attuali tre grandi famiglie tecnologiche sulle quali si sta sviluppando il fotovoltaico organico, compresa ovviamente la DSSC che sto trattando in questo post.
Una grande adattabilità in termini di forme e colori poi, rendono tali celle estremamente versatili ed adattabili in ambito di integrazione architettoniche diverse. E’ proprio di questi giorni l’annuncio, da parte dello stesso Grätzel sulla rivista Nature (link in calce al post), del perfezionamento di tali celle, molto economiche, dove ha annunciato la realizzazione di una cella a colorante con un rendimento molto più alto, addirittura del 15%, pari a quella di una normale cella in silicio policristallino.
Come già accennato, questi dispositivi, oltre ad essere semitrasparenti e quindi utilizzabili come superfici vetrate, oltre che particolarmente efficienti anche con copertura nuvolosa, usano come raccoglitori di luce, composti chimici organici relativamente economici (all’Università Tor Vergata creano queste celle con estratti di frutta come il mirtillo, prodotti oltretutto con un ridottissimo impiego di energia). Quindi, sciogliendo ancora il nodo della loro vita utile, ancora da sviscerare, le nuove celle organiche DSSC a colorante potrebbero costituire davvero una alternativa competitiva alle celle al silicio, soprattutto in paesi a basso livello di insolazione.
La figura seguente mostra in maniera comparativa la diversa modalità di funzionamento tra una cella fotovoltaica tradizione di prima generazione, basata sul silicio ed una cella fotovoltaica organica dove sono presenti una sostanza “donatrice”, che sovrintende all’assorbimento della luce, ed una sostanza “accettatrice” preposta invece al trasporto ed alla raccolta agli elettrodi delle cariche generate dal processo (vedi figura comparativa seguente).
Nella ultima versione della cella elaborata da Grätzel, è stato utilizzato come accettore di elettroni della “perovskite”, di fatto un comune ossido di titanio e calcio. Finora tale tipologia di cella era stata realizzate semplicemente stendendo il composto su uno strato metallico. In questo modo però le innumerevoli imperfezioni nella deposizione facevano precipitare il rendimento finale.
Per far fronte a tale problematica, il ricercatore svizzero ha invece avuto l’idea di far reagire due precursori della perovskite direttamente sull’elettrodo, conseguendo una ricopertura perfettamente uniforme del substrato e incrementando notevolmente la superficie di deposizione del colorante con il risultato di ottenere una altissima efficienza nell’assorbimento e nella conversione della luce in elettricità. Un altro passaggio fondamentale per rendere competitiva questa terza generazione del fotovoltaico ancora più sostenibile e compatibile a livello ambientale, non fosse altro che per la filosofia di base alla quale si ispira.
Sauro Secci