Esiste un limite allo sviluppo? di Franco Donatini

Proseguendo nella pubblicazione del terzo di una serie di articoli tratti da un libro “Più benessere meno Energia. Un futuro possibile“, scritto dall’ingegner Franco Donatini, caro amico di Ecquologia ed esperto di lungo corso del mondo dell’energia oltre che sopraffino scrittore (vedi scheda biografica in calce al post) affrontiamo oggi il tema cardine del limite allo sviluppo. Si tratta di un libro vincitore nel 2013 del primo premio per la sezione ecologia al XXXII Concorso Letterario Nazionale Franco Bargagna.

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“La cosa importante nel mondo è non tanto dove stiamo, quanto in che direzione stiamo andando.”
Oliver Wendell Holmes

Capitolo 3 – Esiste un lavoro allo sviluppo?

La domanda del titolo è assolutamente pleonastica, in quanto la finitezza delle risorse non può che porre un limite allo sviluppo dell’umanità. Esiste tuttavia una differenziazione delle risposte riguardo l’entità di questo limite, che dipende non solo dalla quantità delle risorse disponibili ma anche soprattutto dal modo più o meno intenso e contemporaneamente intelligente di utilizzarle. Questo significa che l’umanità ha in mano la chiave della sua distruzione e allo stesso tempo del suo sviluppo.

Filosofi, scienziati, economisti si sono cimentati su questo tema. Già alla fine del settecento Malthus nel suo Saggio sul principio della popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo futuro della società [6], sosteneva che l’incremento della popolazione avrebbe spinto a coltivare nuove terre, sempre meno fertili con conseguente penuria progressiva di alimenti fino ad arrivare all’arresto dello sviluppo economico. Secondo la sua teoria ciò si verificherebbe per il fatto che la popolazione cresce in progressione geometrica, quindi più velocemente della disponibilità di alimenti, che crescono invece in progressione aritmetica. Si tratta di una teoria con significativi fondamenti scientifici e profondamente innovativa rispetto alle convinzioni consolidate del suo tempo che affermavano che l’incremento demografico era un aspetto positivo di sviluppo e valorizzazione della specie umana. Tuttavia le conclusioni della teoria di Malthus non si rivelarono corrette. Esse infatti prevedevano erroneamente che la crescita della popolazione avrebbe superato la disponibilità di cibo entro la metà del XIX secolo e che si sarebbero verificate carestie e conseguentemente un picco e una successiva discesa della popolazione mondiale. Ciò non si è verificato non solo a metà dell’800 come prevedeva Malthus, ma nemmeno fino ad oggi, in quanto la cosiddetta “rivoluzione verde” determinata dalle nuove conoscenze prodotte dalla ricerca agronomica ha trasformato l’agricoltura, incrementando addirittura di due volte e mezzo la produzione di cereali nella seconda metà del XX secolo.

La teoria di Malthus, malgrado le previsioni non corrette, è tuttavia molto importante, in quanto stabilisce per la prima volta una relazione tra sopravvivenza della popolazione e disponibilità di risorse. L’errore sta nel fatto che l’elemento critico per quanto riguarda le risorse non è rappresentato dall’alimentazione, ma piuttosto dalle materie prime e in misura preponderante dall’energia. Questo fatto è evidente dalle considerazioni riportate nel capitolo precedente che evidenziano come in termini energetici l’alimentazione costituisca una quota molto limitata del fabbisogno, che oscilla dall’1 al 10% passando dalle società più ricche e tecnologiche a quelle più povere e arretrate. Il problema  della fame nel mondo non è un fatto strutturale dipendente dalla mancanza di territorio idoneo allo sfruttamento agricolo. Significativo è il fatto che grandi quantità di terreno devono essere lasciate incolte per evitare il collasso dei prezzi dei prodotti agricoli. Le cause della denutrizione di numerosa popolazione sono di tipo politico e organizzativo, mentre a livello tecnologico è possibile rendere produttivi anche terreni aridi e sviluppare coltivazioni idonee e  altamente produttive.

La teoria di Malthus è invece molto preziosa se applicata al contesto dell’energia, piuttosto che a quello dell’alimentazione. Sono infatti le risorse fossili la vera criticità per l’umanità; per queste esiste la prospettiva che il picco ipotizzato da Malthus per la produzione agricola, si verifichi effettivamente in un futuro ormai prossimo.

Petrolio, gas, carbone hanno continuato ad alimentare l’economia mondiale a partire dalla rivoluzione industriale iniziata circa due secoli fa. Tuttavia la crescita di produzione di energia fossile, non potrà proseguire all’infinito. Le risorse attualmente ritenute accessibili secondo dati riferiti al 2009 [7] ammontano ai valori riportati in tabella 1

Tabella 1 – Consumi e riserve accertate dei combustibili fossili (BP 2010)

Da questi dati è possibile ricavare il valore energetico di queste riserve e per quanto tempo saranno ancora disponibili al consumo attuale (figura 3)

Figura 3 – Riserve accertate delle fonti fossili e anni di disponibilità

Questo significa che agli attuali consumi avremmo meno di cinquanta anni di disponibilità per il petrolio, circa ottanta per il gas e un secolo e mezzo per il carbone. In realtà la criticità potrebbe avvenire molto prima.   L’attuale produzione di combustibili fossili si basa su risorse cosiddette “facili”. Infatti petrolio e gas vengono ancora prelevati da giacimenti non eccessivamente profondi e il carbone da miniere spesso a cielo aperto con costi di estrazione relativamente bassi. Quando queste condizioni verranno a mancare saranno necessari elevati investimenti per la ricerca e l’estrazione di nuove risorse a grandi profondità e i costi saliranno in maniera vertiginosa. La produzione raggiungerà un valore massimo che non potrà essere superato, sia per motivi di costo che di disponibilità. Oltre questo punto se il fabbisogno di combustibile continuerà a crescere, si verificherà una grave instabilità tra domanda e offerta con relativa impossibilità di approvvigionamento se non a prezzi sempre più proibitivi

[1] Gt = miliardi di tonnellate.  Gmc = miliardi di metri cubi.  Gtep = miliardi di tonnellate equivalenti di petrolio, equivalenti a 10 miliardi di chilo-calorie.

Figura 4 – Raggiungimento del picco del petrolio nelle diverse aree del mondo (fonte ASPO – Association for the Study of Peak Oil))

Questo fenomeno è stato per la prima volta scoperto nel 1956 dal geologo americano Marion Kung Hubbert, il quale, studiando l’estrazione dei minerali, aveva notato che la produzione mostra una tendenza del tipo a campana, cioè un picco oltre il quale inizia la diminuzione col progressivo esaurimento della risorsa [8]. Un’avvisaglia di questo fenomeno si è già avuta nel corso del 1973 in occasione del conflitto arabo israeliano, noto come guerra del Kippur. In quella occasione l’OPEC, l’organizzazione dei paesi produttori di petrolio, ridusse l’estrazione di greggio, con la finalità di dimostrare ai paesi occidentali, schierati con Israele, la forza dello strumento di ricatto costituito dal petrolio nei confronti dell’occidente. Pur essendosi trattato di un fenomeno di breve durata,  ad esso seguì una lunga fase di stagnazione dell’economia mondiale che interessò in larga misura tutti gli anni settanta. Tuttavia è difficile pensare che la causa di questa stagnazione sia stata soltanto un evento circoscritto, sia localmente che temporalmente, come la guerra del Kippur. Questo evento infatti è stato solo il campanello di allarme dei potenziali effetti legati ad una condizione di scarsa disponibilità delle fonti energetiche. Quanto è avvenuto è spiegabile in maniera più credibile proprio dalle risultanze degli studi di Hubbert. Lo studioso americano  nel 1956, analizzando l’andamento del consumo di petrolio negli Stati Uniti, aveva ipotizzato il raggiungimento del picco nel 1970. Mai previsione fu più corretta di questa, in quanto il picco in USA fu effettivamente raggiunto nel 1971. Altri studiosi hanno applicato la teoria di Hubbert ad altri scenari, determinando il raggiungimento del picco per diversi paesi produttori. Il raggiungimento di questi picchi è avvenuto in tempi diversi nei vari paesi del mondo e in alcuni deve ancora avvenire, anche se in tempi molto prossimi, come mostra la figura 4.  Questo da una risposta anche al dibattito in corso sul fatto se il picco sia avvenuto o meno su scala mondiale. In realtà il verificarsi dei picco dipende dall’area di produzione del petrolio e la sua influenza sull’economia mondiale dipende anch’essa in maniera  significativa dall’importanza del paese interessato. Si può quindi affermare che la crisi degli anni settanta non fu legata ad un evento contingente come la guerra arabo israeliana, ma piuttosto a un fatto strutturale come il raggiungimento del picco di estrazione negli Stati Uniti, un paese in grado di condizionare pesantemente l’economia mondiale. Gli eventi politici e militari avvenuti nel Medio Oriente e quelli più recenti nel Nord Africa e in particolare in Libia hanno accelerato e stanno accelerando questo trend di criticità, in quanto l’economia è particolarmente sensibile ai fenomeni di instabilità politica, ma gli attuali elevati prezzi del petrolio, non sono attribuibili soltanto ad essi. Ci stiamo di fatto avvicinando su scala più vasta, rispetto a quanto avvenuto negli anni settanta,  a una condizione  strutturale di squilibrio tra domanda e offerta, a meno che non si verifichino scoperte significative di nuove risorse. Qualcosa di questo genere sta accadendo negli Stati Uniti, dove un gruppo di compagnie petrolifere ha cercato di renderne competitiva l’estrazione di gas da scisti bituminosi (shale) del Texas. Grazie all’introduzione di un nuovo processo di fratturazione idraulica, hanno reso accessibili economicamente enormi riserve di gas, equivalenti a circa 100 miliardi di barili di petrolio[1]. Le proprietà energetiche dello shale sono note da decenni, ma il processo di estrazione era considerato economicamente non sostenibile in quanto fondato su una complessa tecnologia che utilizza grandi quantità di azoto, acqua e additivi chimici iniettati fino a 4000 metri di profondità per creare la pressione necessaria a frantumare le rocce. L’estrazione di questa risorsa pur essendo divenuta oggi competitiva a causa del notevole aumento del prezzo del greggio, presenta comunque elevate criticità ambientali legate alla disgregazione e al potenziale inquinamento del sottosuolo. Ad oggi quindi questa soluzione non sembra quindi che possa supplire a livello strategico alla riduzione della disponibilità del petrolio.

L’incremento del prezzo del greggio, derivante solo in parte da situazioni contingenti legate alla instabilità politica dei paesi produttori, avrebbe almeno l’effetto, paradossalmente positivo, di riproporre al mondo la drammaticità di un possibile scenario caratterizzato dalla penuria di fonti energetiche.

Purtroppo la reazione dei paesi occidentali a questo allarme derivante dalle turbolenze politiche nell’area medio orientale e nord africana non è mai andata nel senso giusto. La risposta è stata essenzialmente sul piano militare o nel migliore dei casi diplomatico, invece che su quello dello sviluppo di una nuova politica energetica.  Le potenze occidentali hanno demandato la soluzione del problema, nell’occasione di ogni crisi, all’intervento militare, spesso mimetizzato sotto forma di missioni di pace, sostanzialmente con la finalità di ristabilire accordi economici di sfruttamento delle risorse di questi paesi. L’intervento militare, a parte la discutibilità dal punto di vista etico, rappresenta una forzatura pericolosa sul piano economico, in quanto consente di mantenere basso il prezzo della risorsa, prescindendo dal suo valore reale, legato alla disponibilità della materia prima e all’effettivo rapporto tra domanda e offerta.

 La forzatura militare sulla corretta contrattazione economica determina l’attuale condizione di ingiustizia nell’accesso alle risorse. In questo modo le potenze occidentali riescono a monopolizzare l’impiego di esse condividendole con altre potenze dell’estremo oriente come la Cina e il Giappone e lasciando gli altri in una condizione di penuria energetica che ne frena fortemente lo sviluppo socio economico. Fino a quando sarà possibile tutto questo? Fino a quando, e siamo molto vicini, i paesi meno sviluppati non lo metteranno in discussione, con esiti drammatici inimmaginabili. Le rivoluzioni avvenute in Nord Africa nel corso del 2011 sono solo una piccola avvisaglia di ciò che può succedere in un futuro molto prossimo.  Una reazione più intelligente a questo problema, ma non certo  risolutiva, adottata dai paesi più ricchi è quella di spostare il consumo da una risorsa fossile ad un’altra. E’ quello che sta  avvenendo oggi con il passaggio al gas naturale che ha avuto un trend di penetrazione molto elevato negli ultimi decenni. Il gas, usato essenzialmente per impieghi termici distribuiti, è entrato pesantemente nella generazione elettrica. In molti paesi, come ad esempio l’Italia, l’elettricità prodotta dal gas sfiora il 50%, fenomeno favorito dal fatto che le tecnologie sviluppate per l’utilizzo del petrolio sono compatibili con l’impiego del gas. Purtroppo la scelta non è esente da rischi, in quanto è pensabile che a breve anche questa risorsa possa diventare critica. In più il gas, oltre ad avere un mercato oligopolistico come quello del petrolio, ha strutture di trasporto rigide ed onerose, critiche nel caso di crisi politiche e rispetto a condizioni di libera concorrenza. Questa criticità è stata in parte ridimensionata dal trasporto del gas in fase  liquida con navi gasiere, ma si tratta ancora di un fenomeno di diffusione abbastanza limitata anche per l’opposizione che spesso le comunità locali mettono in atto rispetto alla installazione dei rigassificatori sul proprio territorio.

[1] Un barile di petrolio equivale a 0,136 tonnellate

Questa tendenza spinta allo sfruttamento del gas naturale rende sempre più prossimo il raggiungimento del picco di questa risorsa, per altro già raggiunto in alcuni contesti geografici.

Una soluzione di maggiore respiro è rappresentata dal passaggio da un economia come quella di oggi basata su olio e gas a una basata sul carbone. Oggi il carbone è essenzialmente utilizzato nella generazione di elettricità, mentre è sostanzialmente assente in altri comparti, almeno nei paesi più sviluppati. L’estensione del carbone al comparto degli usi termici distribuiti e degli autoveicoli passa per la sua trasformazione in gas o in combustibili liquidi, per migliorarne la logistica, l’utilizzabilità e la compatibilità ambientale. Le tecnologie a questo scopo esistono, ma dovrebbero essere implementate su larga scala, con tempi e costi di investimento veramente significativi. Una scelta di questo tipo non rappresenta comunque la risposta globale al fabbisogno energetico; può essere un’alternativa valida per la Cina che possiede notevoli risorse di carbone e ha bisogno di incrementare il consumo energetico per il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione.

Oggi  si ritiene che il carbone abbia un tempo di esaurimento molto lungo, oltre centocinquanta anni, ma una possibile concentrazione dei consumi energetici sul carbone, indotta dalla penuria delle altre fonti, potrebbe determinare una condizione di criticità di questo combustibile già entro la fine di questo secolo.

Da quanto detto emerge che i problemi di approvvigionamento energetico si verificano ben prima dell’esaurimento delle fonti. Si può dire che i limiti dello sviluppo ipotizzati dallo studio del Club di Roma, si stanno verificando puntualmente, con la precisazione che benché tali limiti interessino tutte le risorse, dagli alimenti ai materiali per l’industria manifatturiera, la vera criticità è costituita dalle fonti energetiche.

Un altro aspetto da considerare in questa analisi è l’incremento demografico a livello mondiale, che a partire dalla seconda metà del secolo scorso ha avuto un andamento di tipo esponenziale. Nella storia dell’uomo la crescita della popolazione è avvenuta con un tasso molto inferiore a quella di questo ultimo periodo e soprattutto con fasi altalenanti legati a fenomeni contingenti. Di fatto decrementi della popolazione si sono verificati spesso in passato, di solito legati a improvvisi eventi naturali o a alla propagazione di malattie.

Molti ricercatori sostengono, sulla base della teoria della catastrofe di Toba, che 70.000 anni prima di Cristo l’intera specie umana fu decimata da un terribile cataclisma naturale, che la ridusse a poche migliaia di individui  A partire dal disastro, fino alle prime scoperte nel campo dell’agricoltura, la popolazione si stabilizzò su circa 1 milione di abitanti. In questo periodo lo stile di vita, basato sulla caccia e sui viveri forniti spontaneamente dalla natura, non permise l’instaurarsi di un andamento di crescita demografica.

La scoperta delle tecniche agricole avviò un processo di crescita, rafforzato successivamente dalla strutturazione di antiche civiltà che iniziarono ad adottare processi di integrazione urbana.  Si stima che nell’Impero Romano, tra il 300 ed il 400, vivessero tra 55 milioni e 120 milioni di abitanti.  Tale popolazione fu duramente colpita dalla cosiddetta Peste di Giustiniano, che secondo le stime più quotate portò a circa 25 milioni di decessi totali, fino alla sua estinzione, avvenuta finalmente attorno al 750

Nel 1340 la popolazione Europea conta settanta milioni di individui, mentre quella Cinese nello stesso periodo, alla nascita della dinastia Ming, ha ne ha circa sessanta milioni. L’intenso processo di crescita di questa fase storica si arresta nel XIV secolo con la pandemia della Morte Nera, provocando una riduzione dellla popolazione umana da 450 a 350 milioni di abitanti. Fu necessario oltre un secolo per recuperare  questo decremento; infatti solo dopo il 1500 si raggiunse un numero di abitanti superiore a quello registratosi alla metà del XIV secolo.

La colonizzazione europea delle Americhe contribuì fortemente allo sviluppo della popolazione mondiale, nonostante l’ingente perdita di vite umane tra le popolazioni indigene provocata dalla invasione dei colonizzatori. L’apertura di nuove aree geografiche  da antropizzare e la scoperta di specie vegetali quali il mais, la patata, il cotone ed il pomodoro, fornì nuovi spazi e nuove prospettive per l’evoluzione quantitativa e qualitativa della popolazione Europea.

Nel corso della rivoluzione industriale i progressi della medicina e l’aumento esponenziale della qualità della vita nei paesi sviluppati portarono alla cosiddetta rivoluzione demografica. La discesa del tasso di mortalità e il contemporaneo incremento di quello di natalità portarono al raddoppio della popolazione mondiale in solo due secoli, Tra il 1650 e il 1850 la popolazione mondiale passa da 500 milioni a  1 miliardo di individui; precedentemente aveva impiegato ben 16 secoli per passare da 250 a 500 milioni. 

Nel 1975 la popolazione mondiale raggiunge i 4 miliardi di individui, raddoppiando in soli 35 anni,  con una velocità di crescita mai registrata in passato, pari al 2% annuo. In meno di mezzo secolo la Terra si è popolata di un numero di persone pari a quelle esistite in tutti i millenni precedenti.

Da quanto detto emerge che la crescita della popolazione in passato è stata spinta essenzialmente dallo sviluppo tecnologico e dal conseguente miglioramento delle condizioni di vita, che ha determinato una riduzione del tasso di mortalità. Sulla base di questa logica si può prevedere che il trend di crescita possa durare ancora complessivamente al ritmo attuale con incrementi più sostenuti nei paesi in corso di sviluppo. Tuttavia il miglioramento delle condizioni di vita ha due effetti sull’andamento demografico, per fortuna contrastanti, e quindi in grado di stabilizzare il fenomeno; infatti, se da un lato riduce la mortalità, dall’altro determina anche una riduzione del tasso di natalità. Se nelle società più povere un elevato numero di figli rappresenta una ricchezza, perché costano poco e allo stesso tempo forniscono manodopera a basso costo, in quelle ricche la situazione è rovesciata, in quanto i figli rappresentano un costo anche significativo, legato al loro mantenimento  e al soddisfacimento dei loro bisogni educativi e sociali. L’esplicarsi contemporaneo di questi due effetti consente di prevedere una stabilizzazione del livello di popolazione mondiale già nella seconda metà di questo secolo. Secondo le proiezioni dell’ Organizzazione delle Nazioni Unite [9], l’andamento demografico dovrebbe seguire il trend riportato in figura 5, da cui emerge che i paesi ricchi stabilizzano il loro livello di popolazione già a partire dal duemila, mentre quelli poveri continuano a crescere raggiungendo il picco a circa tre quarti del secolo in corso. Il picco complessivo, essenzialmente determinato da questi ultimi, dovrebbe sfiorare i dieci miliardi di individui.

Questa crescita poderosa di tipo quantitativo e allo stesso tempo qualitativo determinerà un fabbisogno energetico senza precedenti per sostenere questo sviluppo. Si stima che in assenza di azioni correttive il fabbisogno energetico dovrebbe circa raddoppiare al 2050 e triplicare, stabilizzandosi a questo livello, al 2100.

E’ indubbio che questo fabbisogno non potrà continuare ad essere coperto interamente dalle attuali fonti fossili, nemmeno da quella nucleare, né probabilmente dalle fonti rinnovabili anche se adeguatamente sviluppate. E’ ovvio che la soluzione del problema passa per l’impiego di nuovi strumenti che potranno venire dallo sviluppo tecnologico, ma non solo. Occorrerà sviluppare nuovi modelli di organizzazione e integrazione socio economica, in grado di contenere i consumi, senza penalizzare il livello di benessere che il mondo avrà raggiunto complessivamente nel corso di questo secolo.

Biblografia

6. Arrhenius, Svante. Worlds in the Making: The Evolution of the Universe. New York: Harper & Row (1908)

7. Thomas Robert Malthus. An Essay on the Principle of Population. 1798

8. BP Statistical Review of World Energy, June 2010

9. Ugo Bardi, Energia, materie prime e ambiente: il manifesto di ASPO-Italia www.aspoitalia.net dicembre 2008

Franco Donatini, ingegnere, esperto di energetica, ha lavorato in Enel come responsabile delle politiche di ricerca e sviluppo per le fonti rinnovabili.

E’ docente universitario di Energia Geotermica. È stato tra i fondatori del Master sulle Energie rinnovabili dell’Università di Pisa. È autore di oltre cento pubblicazioni scientifiche in ambito nazionale e internazionale nel campo delle tecnologie e dei sistemi energetici. È redattore della rivista «Locus», di ambiente e cultura del territorio.

Come esperto di fonti rinnovabili ha partecipato a trasmissioni televisive quali Linea Blu, Rai Utile ed «Evoluti per caso: sulle tracce di Darwin».

Autore di poesia e narrativa, ha pubblicato nel 2008 la raccolta di racconti In viaggio, con Patrizio Roversi, nel 2009 i testi narrativi Galileo, i giorni della cecità (prefazione di Carlo Rubbia) e Intorno a lei. Chagal, amore e arte, nel 2011 il libro storico Giuseppe Verdi e Teresa Stolz. Un legame oltre la musica, nel 2012 la biografia La vestale di Kandinsky e il romanzo Dov’è Charleroi.

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