Effetti delle attività umane nei ghiacciai: sostanze radioattive ed altro
I Ghiacciai costituiscono indubbiamente un grande indicatore nell’ambito dei cambiamenti climatici, anche a livello simbolico, dal momento che è proprio la mente umana a richiamarsi a loro.
I ghiacciai costituiscono da sempre una memoria climatologica del nostro pianeta, visto che dalle piattaforme di ricerca in Antartide per esempio, provengono le maggiori fonti informative sulle evoluzione temporali della climatologia planetaria. Ma i ghiacciai sembrano andare ben oltre a livello di fonti informative e di monitoraggio, dal momento che secondo uno studio di un team di ricercatori dei Dipartimenti di Scienze dell’Ambiente e della Terra e di Fisica dell’Università di Milano-Bicocca, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), dell’Università di Genova e del Laboratorio per l’Energia Nucleare Applicata (Lena) dell’Università di Pavia, gli stessi siano capaci di trattenere, confinandoli, metalli pesanti e sostanze radioattive, una conclusione giunta attraverso l’analisi di particolari sedimenti chiamati crioconiti sul ghiacciaio del Morteratsch, nelle Alpi svizzere.
Si tratta di una ricerca pubblicata recentemente su Scientific Reports che da conto delle misurazioni effettuate sul ghiacciaio del Morteratsch, dove è stata rilevata presenza di sostanze radioattive come il cesio-137, l’americio-241 e il bismuto-207 i quali, dopo la loro deposizione al suolo con la neve, possono essere conservati per decenni. La ricerca ha dimostrato la capacità dei ghiacciai di assorbire varie sostanze e impurità (sostanze radioattive, metalli pesanti e metalloidi come zinco, arsenico e mercurio) come se fossero autentiche spugne. Nello studio di evidenzia come le sostanze potenzialmente nocive raggiungono concentrazioni significative solo all’interno delle singole coppette crioconitiche e come, quando il ghiaccio fonde e la crioconite viene rilasciata nell’ambiente attraverso l’acqua di fusione, queste sostanze vengono enormemente diluite, evitando quindi qualsiasi rischi diretti e immediati per la salute.
La presenza di sostanze radioattive viene imputata esclusivamente ad attività antropiche, corrispondenti ai test ed agli incidenti nucleari avvenuti negli scorsi decenni, anni passati, per questo vi sono tracce dell’incidente di Fukushima del 2011, rilevate anche in Italia seppure in bassissime concentrazioni da alcuni degli autori di questo studio. Tra queste sostanze, la maggiore presenza è quella del cesio-137, uno dei nuclidi artificiali più conosciuti oltreché il più abbondante fra quelli trovati nelle crioconiti alpini, è correlato ad incidenti come quelli di Chernobyl e Fukushima oltre che ai test nucleari degli anni Cinquanta e Sessanta.
Passando alla presenza di metalli pesanti, secondo i ricercatori le concentrazioni rilevate sono imputabili ad attività antropiche come industria e trasporti, accumulatosi durante gli ultimi decenni di accelerazione dei due comparti sui ghiacciai. In questo ambito, più misteriosa l’origine del bismuto-207, rilevato per la seconda volta nei ghiacciai, dal momento che non è ancora del ben chiaro il processo antropico alla sua origine, anche se una ipotesi secondo i ricercatori, è che un ruolo importante lo pssa avere avuto l’esplosione nucleare nella Novaja Zemlja, allora parte dell’Unione Sovietica, dove nel 1961 fu esplosa la “Bomba Zar”, la più potente bomba all’idrogeno mai sperimentata e principale indiziata per la presenza di bismuto-207 nella regione artica ed europea.
Come sottolinea uno dei membri del team di ricerca, Giovanni Baccolo, “Questo lavoro dimostra la capacità della crioconite di trattenere inquinanti di origine atmosferica con estrema efficienza, incluse sostanze molto rare come i nuclidi radioattivi prodotti durante i test nucleari degli anni Sessanta. Considerando il perenne stato di ritiro dei ghiacciai alpini, questa ricerca è di grande interesse perché tutto ciò che è rimasto ‘intrappolato’ nei ghiacciai negli ultimi decenni sarà presto rilasciato nell’ambiente“.
Nonostante questo i membri del team ricerca non hanno manifestato alcun rischio per la salute umana.
Sauro Secci